PROLOGO:
Il Daily Bugle,
Come tornare a casa, niente da ridire su questo.
Aprendo la porta degli uffici, la donna nera fu
accolta da una cacofonia sensoriale che le era fin troppo mancata –mitragliare
di tastiere, bestemmie ineguagliate concernenti metà della linea genealogica di
Bill Gates, telefoni dalla voce quasi umana, e le più potenti sigarette che il
mercato potesse mettere a disposizione, in barba ad ogni ordinanza sul fumo.
Fattorini si affrettavano come furetti, intenti o a spingere monumentali
carrelli di documentazione, o in mirabolanti giochi di equilibrio con vassoi di
panini e bicchieri di caffè. Le stampanti diffondevano un distinto odore di
stireria...
“Stento a crederci! Glory Grant è tornata fra i mortali[i]!”
Una dolce ironia, che il primo a salutarla fosse
proprio il suo migliore amico, Peter
Parker. Glory si tolse il cappello, mostrando una splendida acconciatura
‘Rasta’. “Sarei tentata di credere che mi stessi tendendo un agguato, Peter.”
Peter fischiò –capperi, non fosse stato per il
familiare volto sorridente, avrebbe stentato a riconoscerla! Si avvicinò, e le
diede un breve abbraccio. “A...dire il vero, ero qui solo per proporre un
pezzo. Adesso faccio anche lo scribacchino part-time.”
Glory si tolse l’impermeabile. “La verità è che
entrambi non possiamo fare a meno di questo posto. Per molti, qui, è una
seconda casa, nel bene e nel male. Persino lui
mi mancava.”
Come se quelle parole fossero state un segnale, in
quel momento ogni singolo interfono nei telefoni emise un tremendo fischio di
feedback, fortunatamente breve, al quale seguì una voce di donna che, per la
pura ira che essudava, poteva essere scambiato per il ruggito di un’arpia
durante il periodo di cambio delle piume. “E NON MI IMPORTA QUANTO FOSSERO
BRAVE ED EFFICIENTI LE SCHIAVE AI SUOI SCIOVINISTI TEMPI, MR. &%£$!#*@ç
JAMESON! SOLO IL MIO RISPETTO PER LA (censura) LEGGE MI IMPEDISCE DI FARLE
QUALCOSA DI FISICO!”
I cristalli del piano non avevano finito di tremare,
che dai condotti dell’aria condizionata iniziò a fioccare una tempesta di carta
tritata. Un minuto dopo, una specie di matrona, rossa in volto, i capelli neri
quasi a porcospino, e gli occhi invasati uscì borbottando parole che avrebbero
scandalizzato un vecchio lupo di mare. Solo per un miracolo non travolse Peter
e Glory.
Con la coda dell’occhio, Peter vide dei soldi
cambiare di mano fra fattorini e giornalisti, ricordandosi che anche un paio di
dollari dei suoi dovevano fare la stessa fine... “Devo ammetterlo, nessun’altra
era riuscita a fare una cosa simile.” Ridacchiò, imitato subito da Glory.
La donna si diresse verso l’ufficio dell’amabile
Editore del Daily Bugle. “Quante, fino ad oggi?” Chiese, quasi distrattamente.
Peter fece spallucce. “Comprese quelle chiamate il
fine settimana? Ti posso solo dire che con questa, abbiamo esaurito tutte le
agenzie fino al New Jersey disposte a concederci personale.” Cinse le mani come
in preghiera. “Ti prego, accetta anche una riduzione dello stipendio, se
servirà a fargli pagare i miei articoli!”
Glory voltò la testa, sfoggiando un sorriso
predatore. “Tranquillo, Petey: se non me ne intendo io, di animali feroci...”
Mentre si chiudeva la porta, si udì la voce fra
l’offeso ed il sollevato di J.J. Jameson. “Glory! Adorabile figliola, meno male
che ci sei almeno tu, su cui contare! Questo è un mondo davvero crudele, se un
onesto lavoratore come me...”
La porta si chiuse, e Peter non seppe se essere
felice o preoccupato. Felice, perché finalmente lei era tornata quella di
sempre, e addirittura venata di una sicurezza che le era mancata per molto
tempo. Preoccupato, per quel riferimento agli ‘animali feroci’...L’ex-fotoreporter
del Bugle poté solo sperare che, questa volta, i Fratelli Lobo l’avrebbero tenuta lontana dai loro schemi...
Non sapeva ancora, quanto si sbagliava. Ma è
un’altra storia...
MARVELIT presenta
Episodio 11 – CACCIA A
FENRIS
Un bacio.
Qualcuno lo definì: ‘Un apostrofo rosa fra due
parole: t’amo’
Naturalmente ci sono delle eccezioni.
Fermo restando il sentimento, che in questo momento
teneva avvinghiati questi due giovani come se volessero trasformare il loro
abbraccio in fusione fisica, l’apostrofo era nero e bordato di pelliccia come
le loro labbra, e non c’era bisogno di parola alcuna. I loro corpi parlavano
con sincerità più viva di qualunque parola, ai loro sensi.
Wolfsbane e Jon Talbain terminarono riluttantemente l’intimo contatto dei musi,
restando tuttavia con i tartufi neri a contatto, occhi verdi contro occhi
rossi.
Che buffo. Era dalle prime tempeste ormonali, che la
licantropa scozzese aveva temuto un
momento del genere. Raramente, si era immaginata al fianco di qualcuno cui dare
il cuore, ricambiata. Meno che mai a un ‘qualcuno’ come lei. Si sentiva di
nuovo piccola, un po’ spaventata, ma sicura di trovare nel suo maschio
l’appoggio e la forza che le servivano.
E anche di più. Un compagno stabile, per la famiglia
che li attendeva!
Jon lesse quei sentimenti nello sguardo di lei, nei
sottili segnali del suo corpo dalla rossa pelliccia. E ne fu fiero –la sua vita
era stata come un peregrinare, concentrata sul suo ruolo di Sidar-Var, campione del Popolo. Tante volte aveva dovuto
rinunciare ai riti della Luna Piena, sacrificare le sue passioni, canalizzarle,
nella lunga attesa della compagna perfetta…
“Ci sono dei problemi, mia rjein?”
Improvvisamente, le orecchie di lei avevano iniziato
ad arrossire e fliccare. “Uhm, come hai detto?”
“Un termine molto antico, forgiato durante la prima
alleanza fra l’Uomo ed il Popolo. Sta ad indicare quando uno è parte
dell’altro, nell’unione che dura una vita.”
Rahne gli appoggiò la testa al petto. Un suono
dolce, come il quieto ronfare di un gatto… “Uhm…Potremmo continuare…in casa?
Voglio dire..?” voleva dire che, per quanto piacevole, intenso, potesse essere
–be’ lei era ancora abbastanza educata alla vecchia maniera, da non trovare
‘conveniente’ baciarsi con ardore
sulla pubblica piazza di Starkesboro, davanti a molti occhi ammirati.
Jon le strofinò il muso con il palmo di cuscinetti
ruvidi e morbidi insieme. “Ti chiedo scusa…Ma, come sai, qui siamo tutti come
un grande branco. È istintivo accettare meglio una coppia, quando questa mostra
pubblicamente il suo legame.” Ridacchiò. “Dovresti vedere quando è la sta*” fu
zittito da un leggero ringhio di avvertimento.
“Lo posso immaginare
bene, grazie,” disse lei, che ormai, alla vista infrarossa dei lupi, era accesa
come una torcia. Si staccò. “Allora, quali sono i programmi per oggi?”
Jon sospirò. “Il Consiglio
del Popolo vuole radunare il Pack. Mio padre sospetta che sia a causa della
nostra deludente prestazione in Patagonia[ii].”
I due mannari si incamminarono verso la chiesa del
paese. Per la Main Street, dove il solo traffico era quello pedestre, si
potevano vedere cuccioli di licantropi inseguirsi ed azzuffarsi in piccole nubi
di polvere. Adulti, umani solo all’apparenza, in coppia e gruppo o con altri
‘simili’ o con mannari in forma ibrida.
A Rahne scappò un risolino, alla vista di un paio di
mannari maschi, in forma animale, portati allegramente al guinzaglio da una
‘donna’.
Jon portò gli occhi al cielo. “Feticismi. Un segno,
almeno innocuo,dell’influenza delle scimmie.”
“Jon!”
Spallucce, e uno scodinzolio. “Perché? Non lo sono,
forse?”
Fu lei, a levare gli occhi al cielo –quando parlava
come Karnivor, le faceva venire voglia di morderlo! “E poi, perché tuo padre
dice che siamo stati deludenti? Il Power
Pack è riuscito a recuperare un Occhio
di Set, a uccidere un Generale...”
Lui scosse la testa. “Se non fosse stato per quei
due umani, saremmo stati massacrati.
Un branco intero contro solo due Generali, e abbiamo fatto la figura di un
cucciolo di fronte ad un grizzly...Senza contare che un Generale non muore, non
almeno finché vive il suo infame padrone. E Thulsa
Doom è, per quanto ignobile, più ostinato di un lupo in caccia. Se
decidesse di usare tutti i suoi nove
Generali insieme...” una mano gli chiuse il muso, trasformando le sue parole in
un borbottio inarticolato.
“Non ora. Ti prego.”
Rahne scosse la testa. “Nuovi Mutanti, X-Men, X-Factor...So quanto sia
importante terminare la minaccia di quel mostro. Ma ho visto troppe volte i
miei amici farsi ossessionare dalle
responsabilità. Ho bisogno del mio rjein, adesso, non di un crociato. Per
favore.”
Lui le leccò il muso. “Mi dispiace. Ma dobbiamo.”
All’uggiolio di lei, aggiunse, accarezzandola dietro un orecchio, “Appena verrà
il momento, ti prometto interi giorni e notti di pace, solo per noi e nessun
altro...Ma non possiamo abbassare la guardia per un solo istante.”
La coppia riprese a
camminare verso la chiesa.
Vetrate decorate con immagini di lupi e lupi
mannari, questi ultimi vestiti o con antiche armature, o con altri abiti e
costumi dei secoli lontani. Cariatidi mannare per le travi di supporto. Un
simbolo di lupo bifronte contro un sole stilizzato sulla parete dietro
l’altare...
L’aria era tesa, nella Chiesa Lykeana. L’intero Power Pack, rappresentato da,
-
Sir Wulf, capobranco, il grigio lupo
antropomorfo nella sua armatura rossa e blu; non un mannaro, ma un prodotto
della scienza deviata dell’Alto
Evoluzionario
-
Karnivor, dal pelo rosso, un tempo
il nefasto Uomo-Bestia, un altro, precedente ‘prodotto’ dell’Evoluzionario.
-
El Espectro, nero-bluastro, dagli occhi
di fuoco, indossante un’armatura hi-tech,
-
Warewolf, la versione tecno-organica di un mannaro, ultimo
acquisto del Pack
-
Il Predatore nel Buio,
sedicente alieno da un mondo ancora sconosciuto, ma non per questo meno letale
di un licantropo terrestre,
-
Jon e Rahne,
stava in piedi, in cerchio, intorno alla figura in
armatura blu ed oro di Tyr di Asgard.
Il Dio della Guerra sostenne i loro sguardi inquisitori, interrogativi,
curiosi, diffidenti, uno ad uno, senza un’esitazione nel volto.
Fu Sir Wulf a rompere il lungo silenzio, con una
voce dura, bassa. “La tua condotta nell’ultima battaglia è stata a dir poco deplorevole, Tyr. Persino di fronte
all’imminente sconfitta, hai preferito evitare di fare intervenire Fenris...”
“...”
Gli occhi d’ambra si accesero di rinnovata minaccia.
“Se contiamo così poco, per te. Se il Popolo stesso non ha importanza, per te,
dillo adesso, e spiegaci cosa ti ha
spinto ad unirti a noi, oppure...”
“Non volevo essere catturato.” La voce che
interruppe Wulf era un qualcosa di sinistro, profondo, gutturale. Una voce che
non apparteneva minimamente a Tyr. La mano destra, sostituita da una nera zampa
di lupo, si contrasse.
“Solo di recente,” continuò la voce di Fenris, “ho
appreso che Asgard è sopravvissuta alla Teomachia
dalla quale ero fuggito[iii]
grazie a Tyr. E, con Asgard, molti dei suoi abitanti; inclusi i maledetti Odino e Thor. Loro, come ogni Asgardiano a loro fedele, non avranno pace
fino a quando non sarò stato riportato nella mia prigione, a Lyngvi, incatenato
fino al Ragnarok. E non intendo
permetterlo.
“Quando mi sono unito a voi, ho pensato che obbedire
agli ordini di un fratello mortale fosse un piccolo prezzo in cambio della
libertà...Ma ora...Ora ho bisogno di restare nascosto. Mi sono esposto già
troppo quando ho colpito il Generale Nacrom. Il cacciatore Asgardiano mi ha visto[iv].
Presto, Thor in persona potrebbe essere qui. Non posso restare.”
“Fenris...”
“Ha ragione,” disse Tyr, ora con la propria voce.
“Siete in pericolo. Thor è un osso duro per gente molto più potente di voi. Non
ce la far...”
“Stronzate!”
ringhiò Karnivor. “Mi sono battuto contro Thor personalmente[v],
e sono stato ad un passo dallo sconfiggerlo con queste mani! Contro un intero
branco, le sue possibilità sono pressoché nulle.”
Sir Wulf lanciò una breve occhiata alla figura
femminile, vestita di una tonaca bianca e verde, dai lunghi capelli biondi ed
il volto degno di una Dea Greca. Ma la Sacerdotessa
rimase seduta sulla panca, impassibile –non sarebbe toccato a lei, prendere una
decisione. Sir Wulf era il responsabile per ogni lupo del suo branco, e
spettava solo a lui...
“Sei in grado di
rintracciare i cacciatori?,” chiese.
Tyr levò la testa di scatto.
“Hai intenzione di portarli qui?”
Sir Wulf annuì. “In un certo
senso. Voglio incontrare i
cacciatori, ma su un territorio neutrale, dove nessuna vita del Popolo possa
essere messa in pericolo. Un’esistenza da fuggiaschi, sempre a guardarsi le
spalle, mentre ben altre sono le nostre priorità, è inaccettabile; credo sia
meglio cercare la via del dialogo, invece di iniziare una battaglia che, alla
lunga, ci vedrebbe perdenti. Se anche potessimo battere Thor, Odino è un altro
discorso.”
Dentro Tyr, Fenris dovette
annuire. La sua vendetta contro coloro che lo imprigionarono per millenni
avrebbe dovuto aspettare. Per ora...
Circa un’ora dopo, lo scenario era pronto.
In un bagliore di mistico teletrasporto, i
cacciatori si materializzarono dentro una sala grande come il Colosseo.
“Su la testa, gente. Se credono di...?” il
gigantesco umano, vestito di pelliccia e di una cotta d’oro, l’elmo vichingo
decorato da enormi corna ricurve, e i folti capelli e barba rossi che ben gli
valevano il nome di ‘Red’ Norvell,
sembrò finalmente realizzare i dintorni ad alta tecnologia. “Maccheccavolo..?”
Levò il suo martello di Uru dalla lunga staffa in posizione difensiva, indeciso
sul cosa farci.
“Strano, invero,” disse Fandrall, la cui espressione guardinga mal si intonava con un volto
dai biondi capelli e baffi fatto per sorridere. L’Asgardiano tenne pronta la
sua fedele spada. “Non ho mai saputo che il vile mostro potesse essere
familiare con la tecnologia dei mortali.”
Hogun il Fosco stava immobile, la mazza
borchiata levata all’altezza della vita, i suoi occhi esaminare i dintorni con
consumata esperienza. Lui stesso non aveva avuto sufficiente esperienza con i
mortali per potere riconoscere alcunché nel design ambientale.
“Degno figlio di suo padre, Fenris adora giocare con
gli inganni, evidentemente,” sbottò il voluminoso (per carità non diteglielo in
faccia!) Volstagg. “Ma non riuscirà
ad impedire al Leone di Asgard di
somministragli la giusta punizione per i suoi misfatti.”
“Non è una finzione,” disse il quinto membro di quel
gruppo, un lupo antropomorfo dal candido pelo dai riflessi argentei.
Parallelamente ai suoi sensi fisici, capaci di trovare il proverbiale chicco di
riso in una spiaggia, la sua vista astrale
esaminava i dintorni, non trovandovi altro che una conferma alle sue parole.
“Siamo davvero in un ambiente artificiale, ma...”
“HRIMHARI!”
Arrivò veloce come il fulmine! Il Principe-Lupo ebbe
appena il tempo di voltarsi, che una specie di cometa rossa lo abbrancò! I due
rotolarono a terra diversi metri, prima che egli riconoscesse il suo
‘aggressore’. E la sua sorpresa divenne all’istante una gioia quasi
incontenibile. “Rahne!”
Era un sogno! Quasi non voleva crederci, ma lei, la sua lupa con il fuoco dentro, era lì,
sopra di lui, scodinzolante e felice, e bella come non mai! “Sei qui!
Sei...Dio, come mi sei mancato.”
Si strinsero in un abbraccio, sotto le espressioni
fra l’incuriosito e l’esterrefatto di Norvell e dei Tre Guerrieri.
Fandrall fece per rinfoderare la spada, ma ci
ripensò. “Non posso dire che non siamo lieti di rivederti, mortale. Molte volte
il Principe ha cantato il tuo nome alle stelle, ma...Puoi forse renderci edotti
su quello che sta succedendo?”
Fra le varie qualità che annoverava Hrimhari, una
era la capacità di sapere concentrarsi su quello che era importante. In un
attimo, la gioia per quell’inaspettato incontro fu sostituita dal ricordo della
sua missione...e da un odore che non aveva notato prima. Odore di un altro
maschio, odore che si era insinuato in lei così a fondo da diventare parte del
suo corpo...
Wolfsbane si accorse del cambio di umore di lui, e
sciolse gentilmente l’abbraccio... “Mio Principe, io*Yawp!*
Una manona la prese per la collottola e la sollevò
come fosse stata una cuccioletta.
“Norvell!” ringhiò Hrimhari. “Lasciala. Lei non...”
“Chiedo scusa per l’intrusione, Maestà,” disse
Norvell, il martello posato su una spalla, “Ma credo che in questo momento sia
più importante stabilire se questa palla di pelo sia chi voi pensiate o no. E
vedo che voi non siete il più idoneo allo scopo. E per quanto riguarda noi,
bellezza...”
In quel momento, una catena dorata si avvolse intorno al polso che reggeva la
licantropa! “Così, Odino finalmente rivela la sua vile natura, e manda
all’attacco individui capaci di colpire una fanciulla!”
Mentre Rahne cadeva a terra, gli Asgardiani
sussultarono all’unisono, riconoscendo prima la voce e poi il suo proprietario.
“Che prodigio è mai questo?!” fece
Hogun, che molto di rado si permetteva di mostrarsi scosso. “Ti abbiamo
lasciato in Asgard, al fianco del Sire Thor!”
Hrimhari studiò attentamente quell’impossibilità, il
Dio della Guerra in persona, nella sua armatura blu ed oro, intento a reggere
l’invincibile Gleipnir che partiva
dalla sua... “La tua mano!”
“Il che prova l’impostura, mi sembra,” disse
Norvell, usando l’altra mano per puntare il martello su Tyr. “Con tutto il
rispetto, Principe, ti sei arrugginito non poco, se non riesci a riconoscere un
travestimento quando...”
“NO!” scattò Hrimhari. “Quello non è Fenris! È davvero Tyr di Asgard!”
“Invero,” ghignò il Dio. “Impulsivo come sempre,
mortale. Morire, anche più d’una volta[vi],
non ha fatto molto bene al tuo carattere, vedo.”
“Sai che segreto,” disse Norvell, pronto a colpire.
“Lo sanno anche i sorci, cosa successe durante quel finto Ragnarok! Non credere
di potermi fregare con delle belle paroline!”
Tyr fece spallucce. “Allora, dovremo convincerti
diversamente.”
“Dovremo..?” ma prima che potesse chiedere
spiegazioni, le ebbe. La presa di Gleipnir fu sciolta.
E il cerchio di lupi entrò nella stanza. Entrarono
con calma, con la certezza dei signori del territorio.
Sir Wulf si avvicinò al gruppo, e fece le
presentazioni. “Quanto alla locazione, signori, siamo a bordo dell’Umbra.”
Se il famoso Eli-Velivolo
dello SHIELD era considerato la più superba struttura artificiale mai posta in
orbita intorno alla Terra, allora tale giudizio sarebbe stato riscritto
alquanto in fretta, alla vista
della Umbra.
Una nave di dimensioni doppie rispetto all’E-V. Una nave la cui fusoliera,
dalle torri armate alla prua simile alla bocca di un mostruoso cannone, tradiva
in ogni suo centimetro la sua funzione principale: la guerra.
L’Umbra,
in conformità al suo nome, procedeva su un orbita geostazionaria sulla
verticale del Brasile, invisibile ad ogni strumento elettronico ed ogni talento
psichico, grazie ad un oscillatore di fase che le permetteva di restare
de-sincronizzata rispetto all’universo. Un suo attacco rapido, senza preavviso,
avrebbe potuto facilmente avere ragione degli USA o di una qualunque altra grande
potenza nucleare.
“Ritengo che siate abbastanza saggi,” continuò Sir
Wulf, “da comprendere la stupidità di una battaglia nello spazio vuoto,
battaglia che non vedrebbe alcun vincitore.”
Stallo. I due gruppi si confrontarono in
silenzio...E, alla fine,
Fandrall rinfoderò la spada per primo, imitato dai
suoi compagni -anche Red Norvell tornò a posare il martello sulla spalla, pur
tenendo i muscoli del braccio tesi al massimo. “Non sia mai detto che un
Asgardiano non sia pronto ad ascoltare la voce della ragione, quando ce n’è la
possibilità. Quali ragioni, dunque, o Sir Wulf, puoi dare al nostro Sire Thor
per questa strana alleanza, se di tale si tratta?”
Il lupo grigio annuì. Fece un cenno a Tyr, e in un
attimo il corpo del Dio della Guerra fu sostituito dal titanico, quadrupede
lupo nero, alto 5 metri al garrese, gli occhi due braci accese, minaccioso come
non mai.
Gli Asgardiani quasi fecero un salto in avanti.
Quasi.
“La ragione è molto semplice, Fandrall di Asgard,”
rispose Wulf, “e si condensa in una domanda:
cosa ha fatto, Fenris, per meritare la sua prigionia?”
Al minuto di silenzio allucinato che seguì, Norvell
si mise a...ridere. “Tu stai scherzando,
vero??”.
“Fenris ucciderà il Padre di Tutti,” disse Hogun,
come se bastasse quella risposta.
“Conosciamo la leggenda,” disse Karnivor,
sogghignando. “Poi Vidar ucciderà Fenris, mentre dalle ceneri della fine di
Asgard e del nostro mondo, sorgerà un paradiso fecondo. Uno scambio alla pari,
direi...Ma nel frattempo? Perché imprigionarlo? Avete paura che cerchi di
adempiere alla profezia prima del tempo?”
“Il Ragnarok giungerà a suo tempo,” disse Hogun.
“Fenris fu imprigionato perché era diventato pericoloso. È pur sempre il figlio di Loki e di una gigantessa.”
“Un strano cucciolo, lo ammetto,” disse Wulf. “Un
cucciolo che voi Asgardiani avete allevato con amore, tuttavia. Crescendo, ha
mostrato di possedere un carattere così caparbio che solo Tyr poteva
avvicinarlo per nutrirlo...Uno strano legame, il loro: un legame in nome del
quale, alla fine, Fenris stesso ha accettato
di farsi imprigionare, quando avrebbe potuto facilmente evitare la sfida delle
catene e stare lontano a seminare terrore fino al Ragnarok. Non è vero?”
Altro silenzio.
“Allora, Asgardiani? Fenris dice di non avere ucciso
nessuno, durante la sua prigionia, e che solo delle armenti erano cadute sotto
le sue zanne, durante la sua gioventù burrascosa. La sua malefatta più grande è
stata minacciare, sotto mentite spoglie, Iduna,
la custode delle mele d’oro. Una
macchia, vero...ma difficilmente degna, da sola, di una prigionia lunga secoli.
In fondo, ci sono Dei oscuri, nel vostro regno, che non solo hanno fatto molto
di peggio, ma sono anche liberi di muoversi in una quasi completa
libertà...Devo fare nomi? O potete dire, in tutta certezza, che Fenris ci abbia
mentito?”
Mai come in quel momento, si stava sfiorando il
conflitto aperto –quei miseri, bestiali
mortali, osavano dubitare della saggezza di
una decisione di Odino..!
Ma cosa ne avrebbe pensato Thor? Il nuovo Sovrano
non pensava solo come un Dio, e nei giorni scorsi ne aveva dato una prova che,
non fosse stato egli designato da Odino e dall’Althing al trono[vii],
sarebbe stata dichiarata blasfemia!
E la verità era, che Fenris non aveva mentito!
Hrimhari guardò Rahne. La licantropa gli si avvicinò.
“Ho passato una vita con la paura di me stessa, mio Principe. Sono stata odiata
per la mia natura, e non posso negare che, qualche volta, dentro di me, ho
provato anch’io il desiderio di ricambiare quella violenza, quell’odio. Io ho
avuto la fortuna di avere trovato prima degli amici per i quali dare la vita,
ed ora un branco di miei simili, e...” sospirò, e guardò brevemente Fenris,
seduto, cauto, la bocca chiusa. Tornò a rivolgersi a Hrimhari. “Non posso dire
di conoscerlo veramente, ed egli è
una figura inquietante...Ma non credi che le cose sarebbero diverse, se non fosse più imprigionato, perseguitato per il suo retaggio? Ho
imparato il valore di una seconda
possibilità. Non potete chiedere al vostro Sovrano di dargliela?”
Ebbe la risposta appena l’aria sopra i due gruppi
esplose in un assordante tuono! Allo stesso tempo, un bagliore accecante salutò
l’ingresso
di Thor in persona.
“Il Sire di Asgard ha pesato le tue parole,
onorevole fanciulla,” disse il Dio del Tuono, atterrando, “e le ha trovate malriposte,
per quanto sincere. Il destino di Fenris ed il suo retaggio sono una sola cosa,
scritti col sangue dei suoi infami genitori. La sua natura è selvaggia e la
menzogna è la sua filosofia, come dimostra il suo assurdo travestimento.” Puntò
il martello verso il nero lupo. “Troppe volte il Regno Dorato ha sofferto per
avere sottovalutato i Suoi nemici. Io dico basta!
In nome del braccio che ho personalmente tagliato
al perfido Loki che tante volte ho chiamato fratello, più nessuna minaccia si
muoverà incontrastata!”
A quel punto, il branco intero si strinse davanti a
Fenris. Anche se a malincuore, Wolfsbane si mise al fianco di un minaccioso
Talbain.
“Hai espresso la tua opinione, Asgardiano,” disse
Sir Wulf, estraendo l’elsa della sua spada. Accendendo la lama-laser, aggiunse,
“E io ti dico che Fenris resterà con noi. Resterà perché siamo un branco.
Perché, fin quando respira, un lupo non abbandona un suo fratello. Perché,
indipendentemente dalle sue motivazioni, ci ha salvato la vita in più di un’occasione...E
se i suoi nemici dovessero sconfiggerci per arrivare a lui, dovranno farlo al
più caro dei prezzi!”
“Questo è
parlare, animale!” esclamò Red Norvell, puntando il martello. Aveva
pazientemente atteso, caricando l’artefatto con ogni iota della sua volontà.
Sapeva che i fulmini non sarebbero serviti a nulla, e fece ricorso alla sola
arma che gli rimaneva per trasformare la bestia in un oscuro ricordo era l’anti-potere.
Una raffica sufficiente a fare vacillare Thanos in persona, vero...Ma Fenris, fra
le tante cose che si potevano dire di lui, non era uno stupido. Quella mossa
gli era stata praticamente telegrafata, e quando la raffica partì, si era già
spostato –si ritrovò il fianco destro strinato, vero, ma il peggior colpo
dovette subirlo
la parete? L’anti-potere, per un attimo, sembrò
potere atomizzare la paratia...prima di venirne fagocitato, come un’ameba assorbita da un organismo ben più vorace!
“Co..?” lo stupore di Norvell come degli Asgardiani
fu spezzato dalla risata di Karnivor.
“Poveri idioti!”
disse il lupo rosso. “I dispositivi di questa nave sono stati concepiti per
assorbire le energie delle Gemme
dell’Infinito! Una tecnologia ampiamente sperimentata, come potete vedere[viii].”
“Mentre tu, abominio
che cammina in guisa d’uomo,” disse Thor, facendo roteare il martello, “non hai
ancora visto quale sia il destino di chi intraprende la strada del male!” E lanciò un Mjolnir crepitante di
energie.
Successero due cose contemporaneamente: il Power
Pack si divise per combattere contro gli Asgardiani, che a loro volta
attaccarono appena il martello fu partito.
Karnivor, per conto suo, lanciò contro Thor la sua
migliore raffica psicocinetica,
sottoforma di un raggio smeraldino dall’ovale sulla fronte del suo elmo. Un
colpo, naturalmente, insufficiente a ferire il Dio del Tuono. Sufficiente,
tuttavia, a farlo vacillare! L’istante successivo, ancora prima che Mjolnir
iniziasse la sua traiettoria di ritorno nelle mani del padrone, il lupo rosso
fu addosso al Dio, e completò l’opera con un violento uppercut, potenziato
dall’esoscheletro dell’armatura! Thor volò letteralmente fino all’altro lato
della stanza. Mjolnir cadde a terra, inerte.
“Mio Sovrano!”
Fandrall l’Intrepido fu il primo a reagire a quella vista, ma il tentativo di
soccorrere il suo amico di tante battaglie fu interrotto da una guizzante lama
di luce che incrociò la lama incantata.
Fandrall
ricorse ad ogni manovra imparata nel corso della sua secolare esperienza, ma
Sir Wulf parava ogni colpo con la fluidità del mercurio. Ancora una volta, le
lame si incrociarono in uno scoccar di scintille. I guerrieri si ritrovarono
faccia-a-muso.
“Non me lo –hnn- aspettavo,” Fandrall stava
spingendo con tutta la forza, ma l’altro non cedeva. “Cotanta abilità è invero
rara.”
Sir Wulf stava lentamente spingendo la lama nemica
in basso. “Dovresti aspettartelo…nella…mia…specie!”
Un ultimo sforzo, e la lama-laser salì di colpo verso il braccio armato di
Fandrall! Fu solo con un salto laterale, che l’Asgardiano evitò una brutta
ferita.
“State solo sprecando forze,” disse Hogun, cercando,
invano, di arrivare con la mazza ad El Espectro. “Non potrete prevalere, alla
fine. Intere legioni vi verranno
addosso, ad un comando del Sire!”
Carlos Lobo avrebbe benissimo potuto essere fatto
d’aria, per come la mazza non faceva che colpire il punto dove si era trovato
un secondo prima. “Io dico di cominciare a preoccuparsi del presente, amigo.” schivata “E della tua salute,”
altro salto, “che ora come ora,” salto. E si portò alle spalle del Fosco,
dandogli la schiena. Lo afferrò, “mi sembra più importante!” e lo lanciò
contro la parete! Un colpo che, in condizioni
normali, non avrebbe certo causato danno al Fosco, abituato a situazioni ben
più difficili...Purtroppo, era anche vero che i Tre Guerrieri erano reduci
freschi dalla battaglia contro il nuovo Uomo dei Miracoli. Erano stanchi, e
Hogun non fece eccezione. Si ritrovò sdraiato a terra, due futuristiche pistole
puntate su di lui, e dovette cedere alla situazione.
Volstagg, per conto suo, apparentemente impegnato a
perdere tempo, stava decidendo quale avversario scegliere per primo, quando la
decisione fu presa per lui da un ringhiante Warewolf, che gli si parò davanti!
“Patetico,” disse Karnivor. “Sei fortunato, che Wulf
abbia deciso di darvi una scrollata alla collottola, invece di lasciare a me la
decisione finale...Ed ora...” a un suo comando mentale, la nave rispose
protendendo tentacoli di indistruttibile adamantio dal pavimento...
L’ordine di imprigionare Thor,però, non fu mai
portato a termine, perché il potente Mjolnir colpì il lupo alla schiena!
Mentre i tentacoli rientravano da dove erano venuti,
Thor si rimise in piedi, la mano ad accogliere la sua arma. “Sei diventato più
forte ed esperto, animale...Ma il traguardo dei tuoi nefasti fini resterà
sempre lontano, per te! Preparati a*Huff!*”
“Pomposo arrogante!” ringhiò Karnivor,
affondando un diretto allo stomaco, poi un gancio al mento. “Sei così perso
nelle tue santimonie, da non volerti neppure curare di conoscere il tuo
avversario. Di me, tu non sai niente!”
“Rahne, ti conosco abbastanza da sapere che non
stringeresti mai un’alleanza con un essere vile come Fenris! Cosa ti è
successo, per cambiarti così?” Il Principe-lupo era da solo contro Wolfsbane e
Talbain, che lo stringevano ai lati.
Ma Rahne non rispose, limitandosi a fissarlo con
ostilità. Era chiaro che, fino a quando il Pack non avesse dato prova della
sincerità delle proprie intenzioni, non ci sarebbe stato spazio per il dialogo
–ringhiò sommessamente. Perché Thor doveva intervenire proprio in quel momento?
Il ringhio era stato un verso puramente automatico,
di frustrazione. Purtroppo, nel calore della battaglia, il lupo di Asgard lo
interpretò diversamente. E reagì di conseguenza.
Hrimhari saltò, e a mezz’aria, il suo candido corpo
fu sostituito dalla sua forma estrema
–una manifestazione quasi demoniaca, nella sua ferocia, di ruvido pelo grigio
acciaio, occhi gialli e orecchie nere ed appuntite come corna, che Loki aveva a
buon motivo chiamato, a suo tempo, Cuorenero…
Un mortale qualunque ne sarebbe stato impressionato,
avrebbe esitato. Jon Talbain non apparteneva a una simile schiatta, e la sua
reazione fu immediata. In un fluido movimento, unì i nunchaku nella sua mano in
un bastone, che si allungò all’istante. Portò il bastone sotto lo stomaco del
Principe, e usò l’inerzia di quell’attacco,
per spedirlo contro la parete!
Tuttavia, neppure Hrimhari era un novizio della
lotta. Roteò a mezz’aria, e atterrò sulle zampe, per ri-utilizzare la stessa
inerzia per un nuovo attacco.
Jon era già pronto a riceverlo...ma fu preceduto da
un altro lampo grigio-acciaio. Dalla forma estrema di Wolfsbane, per la
precisione. Avrebbe potuto passare per la sorella gemella del Principe-lupo, in
quel momento, per la decisione con cui incontrò il ‘nemico’, a difesa del
proprio compagno.
“Il Principe non esagerava, descrivendola come una
creatura del fuoco,” commentò Volstagg, masticando un pasticcino, mentre i due
lupi in questione rotolavano a terra, avvinghiati, le mascelle scattanti come
tagliole. “Un vero peccato vedere quei due giovani cuori impegnati in lotta.”
Inghiottì il resto con la voracità di un buco nero. “Una vera rogna, per il
valoroso Volstagg, dovere restare fuori da questa lotta, a causa di ferite
riportate nella precedente battaglia...Ma se avranno bisogno di me, dovranno
solo fare il mio nome e accorrerò come una furia vendicatrice...” si leccò le
dita. “A proposito, grazie per l’offerta di cibo: te lo dico io, le migliori
trattative dovrebbero essere fatte davanti ad una buona tavola imbandita e una
banda di menestrelli.”
“Non potrei essere più d’accordo,” disse Warewolf,
in piedi al suo fianco. “E, per il cibo, ringrazia pure il cuoco automatico di
questa nave...Anche se, devo dire, sei davvero una buona forchetta. Questa nave
non è stata programmata per servire cibo solitamente consumato da umanoidi. E
prima che tu me lo chieda, lo so perché me l’ha detto il sistema centrale.”
Fu a quel punto, che Volstagg divenne stranamente
verde. Prontamente, a un altro digitar di pulsanti, dallo stesso sportello da
cui aveva estratto il cibo, Warewolf prese un sacchetto di carta. “Prego.” E si
tappò le orecchie, sghignazzando.
“Malediz..E stai &%$! ferma, bestiaccia!” Red
Norvell stava scoprendo che una velocità sovrumana poco poteva contro la
velocità naturale del Predatore nel Buio. E non si rendeva conto, preso com’era
dalla rabbia, che il lupino alieno avrebbe potuto ferirlo seriamente in almeno
un paio di occasioni. Per qualche ragione, invece, l’impellicciato preferiva
schivare e scansare, mentre i sonori colpi del martello venivano assorbiti
dagli smorzatori inerziali della nave.
Preferiva guidare il suo avversario nella
direzione desiderata...
Gli occhi del Predatore erano pressoché ciechi,
a vantaggio di tutti gli altri sensi, incluso un senso di energia, una
capacità di percepire le più sottili variazioni elettromagnetiche, un senso capace
sia di permettergli di ‘vedere’ il corpo di un essere vivente come mappa
termica, sia di potere osservare le alterazioni del martello –di fatto, il
Predatore nel Buio sapeva che Norvell stava per colpire con la sua arma.
Così che, quando arrivò il momento...
“L’apparenza è tutto, non è vero, ‘Sire’?”
Karnivor e Thor erano impegnati in un feroce corpo a
corpo. Thor stringeva in una morsa d’acciaio il polso del lupo rosso. Il lupo
stringeva, in una morsa altrettanto feroce, il braccio armato di Thor.
“Le tue azioni hanno parlato per te, Uomo-Bestia,”
sibilò Thor a denti stretti. Effettivamente, non ricordava una simile forza nel
suo vecchio nemico! “E la vostra alleanza col mostro non depone a
tuo...favore...”
Dove la fronte di Thor era imperlata di sudore,
Karnivor stava cominciando ad ansimare. Ed a cedere. “Sai qual’è...l’ironia?
Degli umani, dei semplici...mortali...hanno saputo vedere dove tu non
riesci...Sire...”
...Il Predatore finse un attacco. Norvell sorrise, e
scatenò una tempesta di fulmini contro l’avversario,
che, invece, scartò, lasciando che il potere
scatenato si scaricasse contro Thor!
“Ommio...” e non ci fu tempo, per il semidio dalla
rossa barba, di aggiungere altro. La sorpresa gli impedì di reagire per tempo
al nuovo scatto in avanti del Predatore, che lo afferrò per un braccio. Nello
stesso movimento, sollevò il guerriero come fosse stato senza peso...
E lo scagliò contro Thor! Dio e semidio rovinarono a
terra in un mucchio scomposto. Allo stesso tempo, una gabbia di energia
si formò intorno a loro.
I Tre Guerrieri ed Hrimhari furono circondati dal
resto del Pack.
“Una cosa dovrete ammetterla, signori,” disse Wulf
ai due Thor, rinfoderando la spada. “Se vi avessimo voluti morti, lo sareste
già stati. La gabbia che vi intrappola è fatta dell’Anti-Potere assorbito dal
martello di Norvell, e avremmo potuto usarlo direttamente contro di voi. I
vostri amici sono in inferiorità tanto numerica quanto di potere. E Fenris non
è intervenuto una volta sola. Allora? Possiamo contare sulla vostra
ragionevolezza, adesso?”
In risposta, Red Norvell levò il martello...e lo
sbatté contro le ‘sbarre’! “Puoi contare solo sulla tua sconfitta,
mostro! Per il potere di Odino che mi ha dato questo martello, mi riprenderò
le energie che ne avete indegnamente rubato!” E, effettivamente, i campi
energetici tremarono, le sbarre si deformarono, mentre l’energia tornava a
confluire nel martello...
Espectro si tese, pronto a trasformare la sua
armatura nella potente Unigun. Un ringhio di avvertimento dal capobranco
lo fermò. “Lascia che faccia. Voglio che sia chiaro che non ammetterò inutile
spargimento di...” poi, il suo naso lo sentì.
“C’è qualcosa che non va,” disse Hrimhari, annusando
l’aria nella stessa direzione. “L’odore di Norvell...sta cambiando. Non
capisco, è come se adesso la sua ira fosse alimentata...dalla paura.”
“Scanalisi conferma,” disse Warewolf. “Gli squilibri
chimici in corso nel corpo di Norvell sono compatibili con una crescente
intensità emotiva associata alla paura.”
“Muerte!” Bestemmiò el Espectro. “Tyr non
aveva detto, prima, che Norvell es un hombre che puedes morir?”
Sir Wulf abbassò le orecchie. “E’ umano?”
“Aye,” fece Hogun. “Anche se trasmutato in divinità
da artifici Asgardiani, il retaggio di Roger ‘Red’ Norvell appartiene a
Midgard.”
“La phobia,” disse Jon, ora veramente
preoccupato. “Un antico incantesimo, in virtù del quale ogni essere umano ci
teme fino a volerci uccidere. Norvell deve avere resistito grazie alla
sua natura ibrida...ma sta cedendo, adesso.”
“Le menzogne non serviranno, lupi!” Thor iniziò a
fare roteare il martello crepitante di arcane energie. “L’Uomo vi teme perché
la vostra stessa natura bestiale è corrotta!” Le sbarre di energia erano state
quasi completamente assorbite. Mjolnir aveva perso tutte le apparenze di un
oggetto solido, era ora parte di un tremendo cerchio luminoso.
Red Norvell levò il martello alto sulla sua testa, e
questa volta, anziché sprecare l’Anti-Potere in una raffica, calò il martello a
terra con tutta la sua forza!
Gli smorzatori inerziali funzionarono –nel senso che
impedirono allo scafo di spaccarsi in due. Ma la scossa che travolse l’ambiente
artificiale fu l’equivalente di un potente terremoto! Lupi ed Asgardiani ne
furono egualmente travolti. Solo Fenris rimase in piedi, anche se stordito.
Thor approfittò di quel momento, per lanciare un
martello veloce come non mai! Un colpo definitivo, la battuta finale della
Caccia! Non ci sarebbe stato*
Mjolnir colpì, oh sì! La mira era perfetta, diretta
al cranio del nero lupo. Colpì, in un’esplosione luminosa.
Gli altri lupi sfoggiarono espressioni dall’ammirato
di Espectro, all’incredulo di Wolfsbane, al terrorizzato di Karnivor!
Ma mai si sarebbe potuto raggiungere l’assoluto
stupore degli Asgardiani, uno stupore che Thor bene espresse in una parola
appena sussurrata. “Impossibile..!”
Perché il potente Mjolnir era stato non solo intercettato
da Sir Wulf...Ma ora, il capobranco del Power Pack stava addirittura serrando
l’arma fra le mani, chiuse a coppa intorno al campo di energie! Le zanne
scoperte nello sforzo brillavano del riflesso del potere, ma Sir Wulf non
cedeva!
“Nessun mortale può fare una cosa simile,” disse
Thor, ancora incapace di comprendere appieno la portata di quell’evento
miracoloso. “Nessuno, tranne...”
“Tranne chi ne sia degno, figlio mio, come io stesso
ho inciso sul metallo di Uru.” La voce di Odino
rimbombò come l’eco del Giudizio. Poi, fu la sua figura ad apparire –una
maestosa proiezione, degna di chi aveva detenuto il Trono di Asgard nel corso
dei millenni, una proiezione che si ergeva sulla figura di Wulf come a volerlo
benedire. “Ancora una volta, Thor, hai lasciato che le tue emozioni
prendessero il sopravvento sulla ragione. Sir Wulf non è umano, ma è un
guerriero d’onore, dallo spirito puro ed il cuore saldo, pronto a pagare il
prezzo finale in difesa dei suoi compagni.
“In un’altra occasione, il tuo errore di giudizio
sarebbe stato trattato meno severamente...Ma ora sei il Sovrano, e devi
comprendere che le conseguenze di uno sbaglio sono più gravose. Devi bere
l’amaro calice fino in fondo.”
Mentre la proiezione scompariva, Sir Wulf ringhiò,
“Non...lo...trattengo...”
Guidato dall’infallibile volontà di Odino, Mjolnir
partì dalle mani che lo trattenevano, velocemente esattamente come era
arrivato.
Thor ne fu colpito in pieno! Un volo che lo avrebbe
proiettato all’indietro per chilometri terminò contro una parete, nella quale
fini con l’incassarsi. Fu solo per pura forza di volontà, che rimase, a stento,
cosciente.
“NO!” urlò Norvell. “Io vi*Unnh!*” Due pugni ben
mirati alle tempie dal Predatore, e lo pseudo-Dio del Tuono fu a terra,
incosciente...Ma il biondo dio vichingo era più concentrato su una scena che
non credeva di potere vedere...
“Anima mia!” Karnivor si era subito chinato
su Wulf. Uggiolava, mentre gli leccava il muso. In quel momento, non era un
guerriero, non un diabolico nemico, ma un individuo spaventato per colui
che...amava...
A parte un tremito muscolare diffuso a causa dello
stress, il più giovane lupo rossiccio, in ginocchio, sembrava stare bene.
“Non...preoccuparti...” ma lasciò che il suo compagno di vita lo aiutasse ad
alzarsi. “Gli...altri..?”
“Stiamo bene,” rispose Jon. “E così gli Asgardiani,
a parte quei pazzi agitamartelli. Capobranco, che cosa facciamo, ora?”
Sir Wulf guardò i loro
‘nemici’, fissandoli negli occhi uno ad uno. “Per l’ultima volta...Parliamo.”
E, ad Karnivor, “Quanto a te, mio unico compagno d’anima, c’è un’ultima cosa
che devi sistemare con Thor.”
“Conosco bene il maligno Set, il
Dio-Serpente, avendolo combattuto anche di persona,” disse Thor dopo che ci fu
stato il tempo per riprendersi e per dettagliate spiegazioni. “Ma non ho mai
sentito il Sommo Odino menzionare questa inimicizia fra lui ed il Popolo.”
Jon Talbain annuì. “Perché tale inimicizia è più vecchia
della stessa Asgard. Molti Dei che la videro nascere sono ormai morti[ix].
E Set non ha alcuna ragione di pubblicizzare l’esistenza di una forza capace di
opporsi ai suoi adoratori.
“Thor, ogni aiuto che vorrete darci in nome della
lotta al Serpente sarà benvenuto...Ma è altresì vitale che le nostre comunità,
la nostra stessa specie, per ora, continuino ad appartenere al mito. Come hai
potuto vedere di prima persona, un essere umano può facilmente perdere il
controllo, alla nostra sola presenza. Come Power Pack, il nostro compito è
difendere il Popolo da ogni minaccia di Set...Sarebbe davvero prezioso, sapere
di non dovere temere dalla comunità dei super-esseri.”
Thor annuì. “Comprendo. E rispetteremo questo vostro
desiderio...Ma,” e si voltò, “Sir Wulf, hai detto all’Uomo-...a Karnivor, che
doveva sistemare un’ultima cosa, con me.”
Il lupo rosso fece avanzare il suo compagno. Uno
scambio d’occhiate fu sufficiente.
Karnivor si tolse i guanti metallici, che passò poi
a Sir Wulf. Avvicinò quindi le mani alla testa di Thor. “Non fare resistenza,
adesso.”
Thor si irrigidì istintivamente, mentre le mani
artigliate si posavano sulle sue tempie.
Contatto!
Ci volle poco più di un minuto, a Karnivor, per
trasmettere ogni singolo ricordo. Un’eternità, per il Dio del Tuono.
Quando le mani si staccarono dalle sue tempie, Thor
si sentì come...sporco, per quello che aveva pensato fino a quel momento
del lupo rosso[x].
Gli occhi di Karnivor brillavano ancora di quel
terribile rancore, rancore per tutto quello che gli era stato inflitto, per
l’innocenza perduta nel più brutale dei modi. Rancore, e la consapevolezza.
Consapevolezza di dovere vivere con il ricordo delle malefatte portate avanti
in nome di un odio cieco, inutile.
Incapace di pronunciare alcunché di degno, Thor si
voltò verso Tyr. “In questo giorno di sorprese, cosa debbo aspettarmi da te,
che non sei Fenris?”
Una scrollata di spalle. “Solo la verità. Adesso so
che Fenris può contare su un branco compatto...e mi dispiace sinceramente, di
avere permesso che si arrivasse a questo. Anche se è stato maledettamente
divertente!”
Asgardiani e lupi, rinfoderate le armi, guardavano
tutti Tyr, che ora sorrideva –un’espressione carica di una strana, allegra
malizia, allo stesso tempo innocente ed antica come il mondo.
“Ve lo ripeto, Asgardiani: vi credevo morti, e se
anche il solo Thor fosse sopravvissuto –un’abitudine alquanto perniciosa, devo
dire- non avrebbe dubitato del travestimento. Mi sbaglio?”
Thor fece un cenno di diniego. “Non sbagli. Se non
ti avessi visto poco prima nella Sala del Trono...”
“Ad ogni modo,” lo interruppe ‘Tyr’, godendo del suo
breve corruccio, “è andata come è andata, e non ci sono più ragioni di portare
avanti la mascherata.”
Ancora una volta, i contorni del Dio della Guerra
tremarono,
cambiarono colore e forma,
fino a quando non rimase non il lupo nero, bensì
un...coyote. “Sorpresa!”
Gli rispose un pauroso ingobbimento generale con
rumorosa caduta di mascelle!
L’animale, un maschio in perfetta forma dal pelo
rossiccio/grigio venato di nero, ed il muso appuntito dall’allegra espressione,
si sedette e si grattò un orecchio. “In fondo, chi meglio di Coyote il
Burlone, poteva fregare voi saputelli ammassi di fango e sputo?
“Quando le armate di Seth –quel pollo egizio,
beninteso- ebbero raggiunto anche le Grandi Praterie, e i miei ‘fratelli’
decisero di diventare Quintessenza, mentre Manitù si sacrificava
per permettere la fuga, io decisi di non volerne sapere di tutte quelle balle
lì. Mi misi al sicuro, e stetti a guardare.
“Purtroppo, mi resi subito conto che, alla lunga, me
la sarei mica cavata, da solo. C’era poco da scegliere, e mi diressi a Lyngvi,
dove Fenris era imprigionato, presentandomi sotto la forma del solo che lui
avrebbe rispettato abbastanza da non volere uccidere, una volta liberato.
Fenris è uno tosto, più di quanto voi capelloni pensiate, e sarebbe stato un
alleato prezioso –almeno, con lui me la sarei spassata, per un po’.
“Lo convinsi ad unirsi a questo branco di matti,
perché solo fra il Popolo avrebbe trovato adoratori disposti a fondare una
chiesa di loro volontà, così come ora ci sono degli umani che stanno costruendo
i primi templi di Thor. L’adorazione può essere una fonte di grande potere,
utile tanto per lui quanto me.” Coyote si mise in piedi, e si scrollò. “E
questo è tutto.”
Il silenzio meditativo che seguì fu interrotto da
Thor. “Cosa intendi fare, adesso?”
“Io? fortunatamente, sulla Terra stanno maturando
eventi che potrebbero portare alla liberazione dei miei fratelli[xi],
e dovrò seguirli con muy atencion...E non credo che il buon Fenris abbia voglia
di sentirsi vincolato da me...”
In risposta, il lupo nero si materializzò
esattamente sopra la figura di Coyote. “Dici il vero. E per quanto avverta il
bisogno di farti pagare col sangue l’avermi ingannato, è anche vero che senza
il tuo aiuto sarei caduto sotto l’attacco di Seth, o peggio.” Guardò gli
Asgardiani, sfidandoli a contraddire quanto disse dopo, “E il selvaggio Fenris
riconosce l’onore dei lupi, dei quali ha preso le sembianze.”
Per la prima volta, Thor non seppe cosa dire o fare.
Per la prima volta, avvertì tutto il peso del suo rango –qualunque decisione,
nel bene e nel male, avrebbe dovuto essere solo sua...
Lasciare libero Fenris? Non su Asgard, lì sarebbe
stato esca allettante per i piani di suo padre o di qualche altro malvagio. No,
la scelta di Midgard, con il Power Pack, era obbligata.
Imprigionarlo nuovamente? Magari in qualche
dimensione deserta, dove non avrebbe nuociuto a niente e nessuno...Ma sarebbe
stato giusto? Di certo, il male scorreva nelle sue vene; era innegabile.
Ma era anche vero che, avendone avuta la possibilità, convinto com’era che
nessuno lo avrebbe fermato, aveva scelto di combattere al fianco dei mortali...
La verità, alla fine, era che Thor non conosceva
Fenris. Poteva solo fare supposizioni...
E quelle non bastavano. “Sir Wulf...Puoi
assicurarmi, almeno, che non sarà lasciato libero di agire senza redini?”
Il lupo grigio annuì, lanciando una breve occhiata a
Fenris. “Se dovesse uscire dal branco, uscirà da ogni protezione, e tu sarai il
primo a saperlo. Hai la nostra parola.”
Thor stese la mano, che venne presa in una stretta
salda. “Così sia, dunque. E, Karnivor...”
Karnivor posò la sua mano su quella del Dio.
“Qualunque sia successa in passato,” sorrise, “spero solo che il nostro
prossimo incontro possa avvenire in circostanze...meno turbolente.”
“Aye, questa è una speranza comune...Dovremmo
prendere proprio esempio dai più giovani...” E guardò verso i due in
particolare.
“La Terra è abbastanza piccola,” disse Wolfsbane,
stringendo fra le sue mani quelle di Hrimhari, come avevano fatto tanto tempo
prima, la prima volta che dovettero lasciarsi. “Almeno, se sei con i Campioni
dello Zilnawa, saprò come trovarti.”
Hrimhari
strofinò il muso contro quello di lei. “Voglio che tu sappia che sono fiero
di te. E che sarò al tuo fianco non appena vorrai fare il mio nome.”
Lei
annuì. “E lo stesso vale da parte mia –da parte nostra,” specificò,
quando vide il sorriso di approvazione di Jon.
Thor
fece per chiamare il Principe-Lupo, ma Sir Wulf lo prevenne. “Ci pensiamo noi,
a farlo arrivare dai suoi compagni...O ritieni che la sua presenza sia
indispensabile ad Asgard?”
Thor
ci pensò, poi, “Nay. Comprendo bene quanto sia affascinante la vita su Midgard.
Ha il diritto di scegliere di restare...Spero che, almeno, saprete proteggerlo,
se fosse necessario.”
Una risatina. “Oh, ci puoi contare. Non credo che
Rahne permetterebbe altrimenti.”
Osservando
gli Asgardiani svanire nel vortice teleportante di Mjolnir, una voce carica di
un male tanto profondo quanto antico il suo proprietario sibilò, “Mille maledizioni!”
L’uomo,
dalla carnagione chiara, vestito di un elaborato abito blu e oro, decorato da
bordi di pelliccia bianca e un mantello rosso-sangue, aveva osservato gli
sviluppi a bordo dell’Umbra attraverso una sfera di cristallo sospesa
fra le zanne di un ardente braciere a forma di testa di serpente.
La
testa dell’uomo era un nudo teschio dalle orbite scintillanti. L’uomo
era il negromante Thulsa Doom, Primo Sacerdote di Set. “Gli Dei
Asgardiani sono poco più di mocciosi che giocano su una scacchiera disposta
lungo l’eternità. Irrilevanti, di fronte al potere del Padrone...Ma rilevanti
abbastanza da costituire una seccatura nella caccia al rimanente Occhio di Set.
Dovrò...”
“Dovrai
accettare il tuo fato, alla fine, negromante.” La voce venne dalle sue spalle.
Una voce quieta, eppure gravida dell’infallibilità divina. Una voce umana solo
perché percepita come tale da Thulsa Doom
“Chi
osa..?” voltandosi, le sue orbite nere già scintillavano di una luce
intensa...Poi, la luce si spense. La voce di Thulsa Doom si quietò. “Ah, sei
solo tu.”
L’essere
avanzò, fluttuando a un metro dal suolo. A guardarlo, chiunque avrebbe pensato
ad un fantasma, poiché era un mero sudario bianco dalle vaghe forme
umane. Il cappuccio non faceva che evidenziare il vuoto oscuro che conteneva.
“Sono
qui perché tu lo vuoi, Thulsa Doom,” disse Sayge, avvicinandosi. “Un
altro passo è stato compiuto, e una parte di te sa cosa ti riserva il futuro.
Una parte di te conosce la Verità.”
Thulsa
Doom rise, spalancando oscenamente la mascella, emettendo un suono dannato. “La
Verità, Sayge, è la parola del vincitore. Nulla di più. La tua profezia sulla
Grande Alleanza si è già compiuta, se non te ne fossi accorto. Niente
può uccidermi, ormai, la Lunga Caccia a danno del Popolo continua,
inarrestabile, e Set è prossimo a radunare i frammenti di sé dispersi da Thor[xii]. Le
tue verità sono evanescenti come la tua figura...Comunque, puoi restare, se
preferisci. Presto, sul tuo volto maledetto vedrò il regno di sangue che
attende questo infimo mondo!”
Sayge
seguì quietamente il negromante. Non era nella sua natura, insistere su un
punto; perché Sayge era la Verità incarnata. Non aveva nulla da temere, semmai
erano, fin troppo spesso, gli altri, a temere lui...
Episodio 12 - I fuochi del
male (I Parte) [un tie-in di INFERNO2]
Folta criniera leonina, bionda,
con un ciuffo castano-scuro. Un collare di pelliccia bianca non dissimile da
quello del famigerato mutante Sabretooth. Folta pelliccia rossiccia. Un
corpo che era un’esplosione di muscoli.
Si muoveva tra la neve, in
quel silenzio capace di trasformare i suoi passi altrimenti rumorosi in un
felpato movimento felino.
Il suo aspetto era bestiale,
anche più grottesco del solito, la sua massa si era accresciuta del doppio, le
sue fauci sporgevano dalla bocca come schegge di vetro, i suoi occhi erano rossi,
camminava ansimando. Era furioso, e proprio preda di quella furia si stava
muovendo.
Furioso per l'attacco delle
bestie dello Stige, furioso per la sparizione di Blaze, furioso per l'arrivo di
Steel Wind e Steel Vengeange, che aveva risvegliato i ricordi più dolorosi. E
più il suo animo era preda della rabbia, più il suo aspetto diventava mostruoso
e sentiva nel suo cuore crescere la voglia di sangue e distruzione...
L'aveva sempre saputo, fin da
quando era un bambino, che dentro di se covava un mostro e aveva sempre fatto
di tutto per cercare di tenerlo nascosto, ma così non aveva fatto altro che
accrescere la rabbia repressa rendendo più arrabbiato la bestia...E in quel
momento, si muoveva in preda alla furia cieca, deciso a massacrare qualsiasi
cosa fosse apparsa davanti ai suoi occhi...
Una voce giunse alle sue
spalle, "Sei tu Kody?"[xiii]
Si voltò, ringhiando.
Il ringhio si trasformò in un
uggiolio. La furia assassina non svanì, ma venne relegata in un angolino remoto
dei suoi pensieri.
Quello che vide gli sarebbe
sembrato impossibile, se non fosse stato che ogni altro suo acutissimo
senso ne confermava la veridicità.
Dal nulla, erano apparsi
altri quattro lupi mannari. Suoi simili!
Due maschi e due femmine. Uno
dei maschi, quello in testa, dalla pelliccia bianca, indossava una veste
porpora e rosa di foggia antica. Era un esemplare anziano, ma in qualche modo
ciò sembrava aumentare la solennità della sua presenza. L’altro maschio,
vestito degli stessi colori, ma con un berretto
sulla testa dalla pelliccia del color dell’acciaio, sembrava
l’incarnazione vivente della furia guerriera.
Una delle femmine era rossa
come il sangue, e la sua veste terminava in un ampio cappuccio. L’altra era
nuda, e nera, nera come la sua stessa ombra, come se non possedesse un corpo
solido a parte le tremende zanne bianchissime contro il nero.
Kody non li conosceva, ed
allo stesso tempo sapeva di trovarsi di fronte a quattro figure la cui
autorità era totale, indiscussa. Gli Alfa di tutti i lupi mannari. Non importa
quante domande avesse in mente di fare, non avrebbe mosso un muscolo senza il
loro permesso!
D’istinto, Kody si mise in
ginocchio, prostrandosi. Con un angolo dell’occhio, li vide annuire,
soddisfatti, prima che il maschio bianco si facesse avanti per primo. “Salute a
te, mezzosangue: noi siamo il Consiglio del Popolo.”
Kody sollevò la testa. La
voce del bianco era come un solido scoglio in mezzo al mare in tempesta, un
punto fermo, ed ascoltandola, fu riempito da una rara felicità...
“Sappi che il Popolo ha
seguito le vicende della tua esistenza fin dal giorno del tuo concepimento,”
proseguì il bianco, “figlio di Kara e di Radius.”
Kody non credette alle sue
orecchie. Si trattenne a stento dal saltare addosso all’Anziano. “Conoscete
i miei genitori?”
“Li conosciamo,” disse la
femmina cremisi. “Fui io stessa a convincere i miei fratelli ad esiliare
Radius, per avere mescolato il suo seme a quello di un’umana straniera agli
affari del Popolo.”
Rispetto istintivo o no, Kody
sentì la furia tornare a dominare i suoi pensieri. Il ringhio che gli scappò fu
qualcosa da fare tremare la neve sugli alberi. “Tu...”
“Esiliare, non uccidere,”
intervenne il maschio grigio. “Ad uccidere tuo padre sono stati dei bracconieri.
Ad uccidere tua madre, le sue stesse ‘sorelle’ streghe.”
“Sei
sempre stato un cucciolo interessante, Kody,” disse la femmina nera, con una
voce simile al sussurrare di uno spirito. “Non lo hai mai saputo, ma il Popolo
ti ha protetto in molte fasi della tua crescita, in modo che tu potessi essere
libero di esercitare il tuo arbitrio.”
Kody si passò la lingua fra
le zanne, in segno di sfida. “Bella ‘protezione’! Molti miei amici del Circo
Quentin sono morti sotto le orde di Centurios. E...il
mio...patrigno...”
“Sappiamo tutto,” disse il
bianco anziano. “Tuttavia, quegli eventi sono stati a loro modo necessari,
nella storia della tua formazione. Non puoi saperlo, ma i traumi della tua
esistenza ti hanno protetto.”
“...”
“Una parte di te lo sa, Kody.
Un grande potenziale mistico scorre in te. Potenziale rimasto tale a
causa della tua ignoranza nelle arti arcane.
“E’ nostra intenzione
aiutarti a raggiungere quel potenziale, ad affrontare i tuoi traumi. Intendiamo
darti la vita che ti è finora stata negata, Kody.”
Se fosse stato umano, il
giovane licantropo avrebbe sputato per terra. “Naturalmente non si tratta di
un’offerta disinteressata, vero? Cosa volete, in cambio? Guardate che il Medaglione
del Potere non lo porto io.”
“A parte il fatto che non hai
bisogno di alcun medaglione,” disse la lupa rossa, lasciando che fosse
il bianco a continuare il
discorso, “in un certo senso, è in gioco la tua stessa sopravvivenza.” Uno dei
suoi occhi brillò di energia.
Improvvisamente, fra Kody ed il
Consiglio, apparve una figura: una figura umana, vestita di un abito blu e oro,
con simboli arcani dorati dipinti dal petto alla cintura. Coronava l’abito un
mantello scarlatto ed orli di pelliccia bianca –ma poteva essere nudo, per
quello che riguardava Kody, morbosamente affascinato dalla vista del nudo
teschio dalle orbite infuocate. Un teschio la cui espressione era di
un’ostilità tale da fare rabbrividire il giovane mannaro...
“Si
chiama Thulsa Doom,” disse la lupa nera. “Un negromante, un sacerdote
del dio-Serpente Set. Un nemico giurato del Popolo, votato alla sua
distruzione. È morto una volta, ma la sua furia arde ancora con forza
ineguagliata. Persino il potente Dormammu avrebbe difficoltà a
combatterlo.”
Il bianco avanzò verso Kody,
senza nemmeno un frusciare della neve. “La scelta è semplice, Kody: combattere
come membro di un branco di guerrieri, difendere la tua gente, che a sua volta
difenderà te, o perire sotto il tallone di Thulsa Doom. Il sacerdote oscuro è
stato troppo occupato per badare a te...finora. Ma non durerà.
“Sarà una vita dura, non lo
neghiamo, ma avrai nel frattempo modo di costruire qualcosa per te, di ottenere
un po’ della felicità che hai vanamente perseguito. Questo, ti possiamo
offrire, fino a quando Set non sarà annientato dall’esistenza.”
E cosa poteva rispondere,
lui, che fino a pochi istanti prima era convinto di essere destinato alla
solitudine ed al tormento, vagabondo della propria vita? “Io...” Kody esalò un
lungo sospiro, non osando guardare il Consiglio. “Io non posso decidere subito,
su due piedi. Ho delle...questioni irrisolte, devo ancora...”
“Sappiamo quali sono i tuoi
fantasmi personali, Kody figlio di Kara e di Radius,” disse il lupo grigio.
“Siamo disposti a concederti il tempo di esorcizzarli. In fondo, sarà come un test:
riesci, e sarai un degno membro dei protettori del Popolo. Fallisci, ed almeno
Thulsa Doom non potrà averti.”
Spirali di fumo di giada
giunsero dal nulla, avvolgendo in turbini le quattro figure ammantate...
E quando il fumo si diradò,
Kody era di nuovo solo. Solo con la proiezione di Thulsa Doom, che scomparve
lentamente, come a volere ricordare a Kody la realtà di quello strano
incontro...
Perché non un’orma sulla
neve, non una particella di odore nell’aria, erano rimasti a testimonianza della
presenza del Consiglio...
“Accetterà,” disse Slajshe,
il maschio grigio, mentre il Consiglio riappariva nel mezzo di un salone
interamente costruito in pietra, dalle arcate gotiche perse in un soffitto
altissimo. Figure di lupi mannari facevano da cariatidi, con fuochi ardenti a
bruciare fra le fauci aperte. L’aria era fredda, ma fresca, non stantia. “E’
confuso, ma motivato. L’istinto lo spinge verso i suoi simili, deve solo
imparare ad avvicinarsi al lupo che ha in sé.”
“Avremmo dovuto rimuovere quell’inutile
blocco mentale imposto dalla madre,” ringhiò Ku’rrja, la femmina
sanguigna. “Se anche accettasse, dobbiamo assicurarci di disporre del suo pieno
potere. Nelle sue condizioni attuali, è come uno storpio per quanto
concerne combattere il negromante.”
“Sarà pronto...se supererà la
prova che ha davanti adesso,” ribadì il bianco, con tono conclusivo. Ancora una
volta, fece brillare l’occhio destro.
Sette immagini a grandezza
naturale apparvero nel mezzo della stanza. Sette lupi mannari, ognuno diverso
dall’altro.
Kody era il primo. Accanto a
lui stava una femmina, il pelo grigio-rosso, digitigrada, la testa e la
mascella contornata da ciuffi di pelo grigio-scuro, gli stessi ciuffi presenti
sulle spalle come intorno ai polsi ed alle caviglie.
“Anche costei ha un grande
potenziale inespresso,” disse il bianco, l’unico dei Consiglieri a non usare un
nome proprio. “Una dolce ironia, che proprio un essere umano abbia deciso di
trasformarla da Naturale a Guerriera.”
“Un’amara ironia, che Ferocia
si sia lasciata sedurre dalle folli promesse di Superia,[xiv]” disse Ku’rrja. “E’ forte
nel corpo, ma debole nello spirito.”
“Una
condizione correggibile, sorella, non appena avremo ottenuto l’armonia
dell’umana e della lupa,” disse la nera Darika. “Come Kody, questa guerriera
deve ancora trovare la sua identità.”
“Il nostro Power Pack sarà
uno stimolo sufficiente,” disse il bianco, passando al terzo mannaro. Questi
aveva una pelliccia azzurrina, con un ciuffo dello stesso colore sulla testa ed
occhi rossi. A torso nudo, indossava calzoni di cuoio bruno e una mantella di
un azzurro più scuro. Al collo portava un sottile collare metallico, identico
ai bracciali. “Volk accetterà volentieri la protezione del branco, pur
essendo un umano modificato geneticamente[xv].
Ha abbracciato il Lupo con una prontezza ed una spontaneità decisamente rara
nell’Uomo moderno. Sarà un guerriero formidabile.”
Il quarto mannaro sembrava
tutt’altro che indifeso. Era un esemplare grande quanto lo stesso Predatore
nel Buio. Ma al contrario dell’alieno semicieco, l’immagine mostrava una
pelliccia nero/bluastra, con malevoli occhi verdi. Indossava solo delle fasce
sulle braccia, cosce e petto, fasce di pelle nera piene di tasche.
“Questo è un raro caso in cui
la morte si sia dimostrata davvero utile,” disse Slajshe. “Il suo
indomito spirito è pronto a tornare ad un corpo vivo. Si tratta solo di
terminare gli ultimi canti di rinascita.”
“Sono molto interessato a
vedere come reagirà il nostro Carlos Lobo, sedicente Espectro,” disse il
candido anziano, indicando una massiccia figura grigio-nera, più simile ad un
orso che ad un lupo, con due occhi gialli come fari, “alla vista di Maximus Lobo…”
“Oh,” fece la femmina nera,
con una mezza risata divertita, “credo che sarà niente di fronte alla necessità
di integrare una creatura come questa Sorella
Ursula.” La sesta figura, da lei indicata, era una femmina simile ad una
versione adulta ed un po’ più irsuta di Wolfsbane, con lo stesso tipo di
criniera. Una croce brillava sul suo collo. “Ci vorrà tempo prima che questa
femmina possa integrarsi perfettamente. Sarà un test interessante per il
branco.”
“Una mera questione di
tempo,” disse il bianco, tristemente –per quanto fosse difficile immaginare
tristezza associata ad un muso di simili zanne. “Ed il tempo, proprio adesso, è
quello che ci manca. Anche Nightwolf,”
aggiunse, indicando la settima figura, umana, vestita di un body rosso con un
dorso nero a ‘V’ ed una falce lunare incisa sul petto. A parte la bocca, tutta
la testa era avvolta da una maschera rossa e nera, “dovrà attendere il suo
momento, alla fine dell’imminente crisi.”
Come se quelle parole fossero
state un segnale, l’etere fu scosso! All’occhio nudo, inesperto, non era
successo proprio nulla. Al massimo, una persona più ‘sensibile’ avrebbe
avvertito come un senso di forte disagio.
Ma i Consiglieri erano gli
ultimi rappresentanti viventi dei primi a fregiarsi del titolo di Figli
degli Dei. La loro sensitività raggiungeva sfere, che anche un mannaro
moderno versato nelle arti arcane avrebbe stentato a raggiungere. Per i
Consiglieri, fu come avvertire un’improvvisa scossa del più violento terremoto!
I quattro mannari ringhiarono all’unisono.
A un loro comando, le sagome
dei candidati al Pack scomparvero. Al loro posto, apparve una scena allucinante
persino per questi lupi, che avevano visto i mostri percorrere la Terra oltre
centomila anni prima.
La scena mostrava tre figure in
cima ad un edificio di New York City, sotto un cielo che si stava riempiendo di
orde di demoni. Una, una donna interamente vestita di nero, il cui volto
incappucciato era una maschera pure nera: Darklady. La seconda, un’altra
donna, con indosso un costume più succinto ed i capelli corti, a spazzola, la
cui sorridente espressione, e lo sguardo freddo, calcolatore ed allo stesso
tempo acceso di oscura passione, era inconfondibilmente legata al male. La
terza, un demone alato dal muso prolungato, quasi una parodia di quello equino.
Un demone che, per quanto sembrasse fatto di metallo, era inconfondibile.
“Così,” disse Darika, con la
calma di chi stesse enunciando le previsioni del tempo, “Anche N’Astirh
è tornato a nuova vita...E la sua esperienza potrà solo giovare ai suoi
alleati, purtroppo.”
“Un fattore irrilevante, al
momento,” disse il bianco, cambiando l’immagine, passando ad una panoramica della
strada. Con orrenda chiarezza, il caos fu pienamente visibile: le strade erano
diventate un campo di battaglia! In mezzo ad un delirio di oggetti
improvvisamente animatisi di vita diabolica, fra automobili rovesciate o
aggrovigliate fra loro, uomini e donne erano impegnati in feroci corpo-a-corpo,
in scontri armati, o più semplicemente stavano prostrati in ginocchio, chi a
ridere maniacalmente, chi a piangere senza freni...
E in mezzo a quella follia,
intenti a lacerare e mordere senza più alcun freno inibitorio, c’erano dei lupi
mannari!
“Questo nuovo Inferno
sta corrompendo le menti umane,” disse il bianco. “I mannari coinvolti sono i
discendenti di coloro che vennero creati dai Custodi facendo ricorso al Darkhold.
L’uomo dentro di loro è sensibile al richiamo dell’oscurità.
“Tuttavia, questa follia ci è
di aiuto, perché nessuno penserà al Popolo, bensì a degli altri demoni. È tempo
prezioso, che dobbiamo sapere sfruttare al meglio.” Altro gesto. L’immagine
svanì. “Se Darklady e la sconosciuta hanno fatto ricorso ad un demone del limbo
quale N’Astirh, dobbiamo presumere che S’ym
non sia lontano.”
“Una
sorta di piano di emergenza,” disse Darika, fliccando le orecchie in assenso.
“Possibile. Nel qual caso...”
“Nel qual caso è
indispensabile trovare S’ym,” continuò Ku’rrja, “per assicurarsi che gli eroi
si liberino il più facilmente possibile dei cospiratori su questo piano.”
“E per farlo,” riprese il
bianco, “non possiamo che rivolgerci all’unica entità dotata del potere e
dell’esperienza necessari. È un rischio per la nostra segretezza, ma è
inevitabile. Intanto, raduniamo il Pack.”
Muir Island, Scozia. Ore
17:50
In quella stagione, la vita
diventava molto difficile, per i pescatori. Prima ancora della sera, sull’isola
calava un gelido vento, un vento forte, capace in un solo momento di ridurre
una felice famiglia ad una vedova ed un bambino piangenti. In quella stagione,
erano davvero pochi, i rudi uomini di mare costretti a pescare nelle condizioni
più difficili. I più avveduti, o i più fortunati, avevano messo da parte a
sufficienza per trascorrere l’inverno in condizioni dignitose.
Presto, avrebbero avuto ben
altro di cui preoccuparsi!
La ragazza sedeva sul ciglio
di una scogliera.. Indossava una felpa generosa e, in un curioso contrasto, un
paio di bianchi shorts. Il vento scompigliava i suoi lunghi capelli biondi, ma
i suoi effetti finivano lì.
La ragazza contemplava
l’oceano, verso Ovest, con uno sguardo penetrante, attento, come fosse una
sentinella in attesa.
In attesa di cosa? Una
vita trascorsa in situazioni ed ambienti che avrebbero fatto vacillare molti
altri l’aveva resa alquanto...sensibile. L’etere era calmo, ma era la quiete
prima della tempesta. Già, ai suoi occhi capaci di scandagliare i piani più
reconditi, il mana, lo spirito del mondo, era percorso da ondate di
colori malati, alieni.
Colori familiari. Purtroppo.
Era successo una volta, ed
allora dovette ‘sacrificarsi’ per il bene del mondo; le sembrava solo ironico,
che dovesse succedere proprio ora che era rinata.
Era destino: la felicità, per
lei, non era un’opzione...
Ma ciò che la faceva
arrabbiare di più era che non sapeva come stesse per succedere. Sì, le
barriere fra questo piano ed il Limbo si erano progressivamente indebolite,
ma...
No, inutile pensarci, adesso.
Non poteva impedirlo, lo sapeva.
La ragazza si voltò a
guardare verso l’edificio del Centro di Ricerche della Dott.ssa
McTaggart. Povera donna, non aveva certo avuto un esempio di vita facile,
ed ora questo...
Ore 18:00
Scomparvero i suoi abiti, per
essere sostituiti da un’ampia veste semitrasparente. Il braccio destro venne
coperto da un’armatura d’argento. Nella mano, le apparve una spada dalla lama
fiammeggiante.
La ragazza si alzò in piedi.
Allo stesso tempo, il vento cominciò a girare in ogni possibile direzione. Nuvole
iniziarono ad apparire dal nulla...
<Mancano pochi istanti, e
lo sappiamo entrambi, Illyana Rasputin. Poi, le orde saranno anche qui,
come nel resto del globo.>
Lei voltò la testa,
istintivamente. Una voce mentale! Appartenente ad un essere antico, saggio...Ma
chi..? <Identificati, amico o nemico che tu sia!>
<Sono un membro del
Consiglio del Popolo. Dovresti sapere chi siamo, discepola di Ororo e di
Belasco.>
<I lupi mannari? Cosa
volete da me?> Intanto, il gelo si faceva più intenso, il vento una corrente
sferzante.
<Non sei nelle condizioni
di affrontare da sola questo nuovo Inferno. Non sai neanche da che parte cominciare.
Ti proponiamo una strategia che riteniamo efficace...se accetterai un nostro
aiuto a tua volta.>
<Un aiuto? Di che tipo?
Cosa intendete guadagnarci?>
<La sopravvivenza. I
demoni non faranno distinzioni fra umani ed il Popolo, e non guadagneremmo
nulla, nascondendoci in un momento in cui occorre combattere. Nella tua
precedente vita, sei cresciuta nel Limbo, lo conosci abbastanza da supplire
alla nostra ignoranza. La cooperazione è una via obbligata.> E le spiegò i
sospetti del Consiglio riguardo S’ym.
S’ym. Ex-servitore di Belasco.
Assassino degli X-Men nel Limbo. Ex-servitore di Illyana. Cospiratore al fianco
di Madelyne Prior contro gli X-men durante Inferno.
Yllyana lo metteva al secondo
posto nella propria lista nera, dopo Belasco. E non a torto: il bruto aveva
imparato ad essere pericoloso come i suoi padroni! <Ditemi dove siete.>
E scomparve in una spirale di
nebbia verde, mentre il cielo iniziava a riempirsi di orde demoniache.
Riapparve nella stanza in
pietra del Consiglio. Nel vederli per la prima volta, come Kody Illyana avvertì
forte l’impulso di rendere loro omaggio -questi esseri erano, in fondo, ben più
antichi di Belasco e persino di diversi Dei...
Ma la situazione era critica,
e fra le priorità della ragazza c’era ben altro, anche se comunque fece svanire
la spada. “Dunque?”
Il bianco espose la
situazione, partendo da Darklady ed i suoi alleati, ponendo l’accento sulla
corruzione delle menti, mostrando immagini di caos e distruzione che si
allargava nel mondo come una tempesta di fuoco in un campo di sterpaglie
secche. “Purtroppo, già una volta cedesti al fascino del male, e ti occorse uno
sforzo eccezionale per vincere il tuo lato oscuro. E in quell’occasione, le
forze del Limbo non erano concentrate contro i tuoi stessi pensieri.
“Nonostante tu sia ora
qualcosa di più di un essere umano, la scelta della tua forma tradisce la tua
debolezza. Con l’aiuto di un lupo, saprai mantenere l’equilibrio nella lotta
che ti aspetta.”
Illyana non disse nulla,
mentre un suono di artigli sulla pietra annunciava l’arrivo dell’’animale’ in
questione.
Il nuovo arrivato era un
maschio grigio e bianco, che indossava le parti minime di un’armatura blu e
rossa –i bracciali, i gambali, il torso e le spalle, e una cintura. Un mantello
purpureo scuro con un ampio spacco, e un frontale dorato che andava dalla base
delle orecchie alle sopracciglia completava l’abbigliamento. Di fatto, quel
rivestimento era insieme protezione e perfetto accomodamento anatomico.
“Ti presentiamo Sir Wulf,
alfa del nostro Power Pack. Nonostante il suo aspetto, si tratta di un lupo
vero e proprio, e quindi assolutamente incorruttibile. Nessun demone o forza
oscura potrà trovare accesso nel suo cuore come nel suo spirito. Sarà la tua
salvezza, se dovessi cedere alle tentazioni oscure.”
Prima che Illyana potesse
dire o far qualcosa, un cenno del maschio bianco fece apparire un medaglione.
L’oggetto era d’oro puro, venato di argento e... “Legno?” Illyana toccò le
delicate rune in rilievo, indubbiamente fatte con quel materiale, che alla sua
pelle trasmetteva un piacevole senso di tepore. Poi, vide che lo stesso,
identico medaglione era apposto al petto di Sir Wulf.
“Sir Wulf non ha poteri
propri,” spiego Slajshe. “L’amuleto sarà il tramite del vostro legame. Da
questo momento, la sua purezza è parte di te. Allo stesso modo, se fossi
fisicamente incapacitata ad effettuare magie, Sir Wulf potrà fungere da
ricettacolo alla tua volontà. Per ora, di più non possiamo fare.”
Illyana annuì. “E se non
trovassimo S’ym? Se lui non c’entrasse per niente? Se stessimo perdendo tempo,
mentre i leader del mondo, impazziti, fanno saltare tutto? Non sarei più utile
esorcizzando loro, che...”
“Ci rimettiamo alla tua
volontà e buona fede, Illyana Rasputin,” disse Darika. “Il primo attacco
portato da N’Astirh non era lontanamente paragonabile a questo, per portata ed
effetti. Se le ragioni per ciò fossero a tuttora nel Limbo, devi trovarle, S’ym
o no. Se ci sbagliassimo, ne saremmo lieti, perché la crisi sarà allora
risolvibile dalle forze di questo mondo.”
“Quanto ai ‘leader’,” disse
Ku’rrja, con disprezzo, “loro sono più al sicuro dei loro simili. I nostri
fratelli infiltrati hanno apposto dei sigilli nei maggiori centri di
potere militare e politico, proprio per una simile eventualità. I sigilli, come
il medaglione, proteggono dall’influenza delle forze oscure...O credi che
troveremmo godimento abitare in un mondo contaminato dalle radiazioni?”
Illyana non commentò –era
ammirata da questa capillarità di una specie che credeva ancora composta di
assassini sanguinari con poco cervello...Lo stesso Consiglio era lontano anni
luce da quello che aveva imparato dai tomi di Belasco...
Senza perdere altro tempo,
Illyana evocò un disco luminescente, che apparve ai piedi suoi e di
Wulf. In pochi istanti, il disco si sollevò,
inglobando gradatamente i due
eroi,
fino a che essi non furono
del tutto scomparsi.
Allo stesso, nella stessa
identica sequenza, essi erano apparsi all’interno del più grande crocevia
dimensionale. Il non-luogo per eccellenza, inferno, purgatorio e paradiso uniti
in una sola cosa.
Anche se, di Paradiso, nel
punto in cui erano finiti, c’era ben poco.
Magik e Sir Wulf si trovavano
all’imboccatura di una grotta. E fuori da quella grotta, lo spettacolo era a
dir poco fantastico, a suo modo.
Il ‘cielo’ era fatto di
sfumature sanguigne, dominato da un immenso vortice che terminava in un buco
nero, un vortice così grande che lo si vedeva ovunque venisse voltato lo
sguardo. E in quel cielo che era anche un infinito abisso, stavano montagne
volanti, connesse ad altre montagne da sottili lingue di roccia frastagliata;
alcune delle montagne avevano come cima coni vulcanici spillanti lava
abbagliante come il fuoco solare stesso, lava i cui rivoli si perdevano
nell’abisso.
“C’è qualcosa che non va,”
disse finalmente Illyana, gli occhi ancora rapiti da quell’infernale bellezza
–l’anziano bianco aveva avuto ragione: una parte di lei chiamava ancora questo
posto ‘casa’... “Non percepisco il dolore. E questo posto dovrebbe esserne pieno.
Dove sono le anime agonizzanti le cui grida eterne mi hanno quasi portato alla
pazzia?”
Wulf non poté che essere
d’accordo. Il silenzio era pressoché totale, un’assenza di rumori da fare
male alle orecchie. Lo zolfo era una puzza onnipresente, ma istintivamente si
era aspettato il sangue, l’odore delle carni arrostite...
“Questo posto è vuoto,”
disse il leader del Pack. Non importava quanto ne sapesse o no del Limbo, i
suoi sensi non si sbagliavano, e la sua conclusione un dato di fatto. “Non c’è
nessuno.”
“E’...impossibile...” Ma lei
stessa non poteva che, un po’ alla volta, giungere alla stessa conclusione. E
ne fu spaventata oltre la sua stessa immaginazione.
Questa volta, i demoni avevano
avuto successo. In un certo senso.
Non il Limbo, era stato
portato sulla Terra, come la prima volta N’Astirh e S’ym si proponevano di
fare, ma ogni possibile, singolo abitante dei suoi recessi infernali!
Il Consiglio aveva detto che
Darklady aveva usato la Cappa delle Ombre e il Cerchio dei Cinque come
una chiave per aprire la porta...E quell’onnipresente vortice dal cuore nero
doveva essere la ‘porta’...
E
quali speranze avevano gli eroi, di
fronte ad un simile, brutale numero di forze a loro ostili?
“Andiamo,”
disse lei, ricomponendosi, mentre evocava un altro disco.
Riapparvero,
questa volta, in un vasto salone. I pavimenti e le pareti erano costellate da ossa fuse nella pietra, e rivoli
di vecchio sangue rappreso facevano mostra di sé come tentacoli di muffa.
La
sola, pallida luce, veniva da una sorta di colonna di quarzi, frastagliata,
posta accanto a un trono vuoto e coperto di polvere e ragnatele.
“La
sala del trono di Belasco,” disse. “Dove la mia innocenza di bambina finì per
sempre, dove vidi i miei cari morire...Vedi quella tibia fusa nel pavimento? Il
piede di Nightcrawler. Uno solo dei tanti che...” scosse la testa.
Improvvisamente, quei ricordi non facevano male, non quanto aveva temuto.
Influenza del lupo, o una ritrovata maturità? “Speriamo di trovare delle
risposte in questo palazzo. Come potrai immaginare, il Limbo non è un posto
dove trovare delle biblioteche...”
A
sorpresa, lui le mise una mano sulla spalla...e strofinò il muso contro la
guancia di lei! “Non avere timore,” disse, allo sguardo stupito di lei. “Volevo
solo tirarti su. Sembri averne bisogno...La tua amica Rahne mi ha detto di
quanto...” questa volta fu lui a fare 2 occhi come piattini, quando lei gli si
mise naso-a-tartufo. “Conosci Rahne? Come...”
“E’
un membro del Pack. Se lo vorrai, alla fine di questa storia, credo proprio che
il Consiglio non obietterà a farvi incontrare. Potrai farle tutte le domande
che vuoi.”
Rahne...Rahne
con un branco di suoi simili. Al solo nome, Illyana si sentì travolta dalla
nostalgia. Roberto, Sam, Warlock, Amara, Dani, Shan...I Nuovi Mutanti.
Per
la prima volta in molto tempo, Illyana sorrise. Era sopravvissuta a prove
terribili, aveva condotto una vita da guerriera, dentro e fuori dal Limbo, ma
aveva anche avuto una vita con degli amici meravigliosi. Una vita che rivoleva
indietro! Col cavolo, che avrebbe ceduto alla disperazione proprio
ora... “Wulf?”
Il
lupo aveva quasi smesso di respirare. Era immobile, le orecchie fliccanti e le
narici spalancate. Una porzione della sua criniera si era drizzata, la folta
coda semiabbassata. La ragazza non ebbe bisogno dell’alfabeto lupino per sapere
che lui percepiva qualcuno! E il suo sguardo andava alla porta.
Magik
fece riapparire la spada. Wulf estrasse una sorta di scettro dalla cintura. Un
tocco di pulsante, e da quella che era un’elsa spuntò una lama di luce nera. O, meglio, di Forza Oscura. Invisibile a distanza.
Efficace.
Wulf
le fece un cenno di attendere. Era un capobranco, ed avrebbe rischiato per
primo senza esitare...Senza contare che, comunque, i suoi sensi gli stavano
dando una posizione più precisa degli intrusi...
Illyana
lo vide scattare talmente in fretta che sembrò teleportarsi fino alla porta. La
colpì con la spalla corazzata, e la buttò giù come fosse stata di cartone! Allo
stesso tempo, si udirono un paio di esclamazioni femminili strozzate, e una
voce maschile che disse, “Ach du lieber Gott! Ein Werwolf!”
Illyana
riconobbe tanto quella voce in tedesco che almeno una di quelle femminili.
“Wulf! Aspetta! Non sono nemici,
sono..!” ma quasi non osava pronunciare i nomi, mentre si precipitava alla
porta...
E quando ebbe oltrepassato la
soglia, ebbe voglia di piangere dalla gioia, alla vista di Katherine ‘Kitty’
Pride, Nightcrawler, e... “E tu chi sei, strega?” fece, a spada tratta,
perché la giovane donna era una perfetta sconosciuta. E in quelle circostanze,
in quel posto, uno sconosciuto poteva essere tanto amico quanto nemico mortale!
Senza contare che i suoi
amici, tenuti a distanza da un ringhiante Sir Wulf, erano, ai suoi sensi,
contaminati spiritualmente! E poteva benissimo essere opera di quella donna!
Episodio 13 - I fuochi del
male(II Parte) [un tie-in di INFERNO2]
Napoli, Italia. Inferno:
giorno 2.
Il Museo Archeologico Nazionale è una delle tante strutture che, in
questo paese gravemente sottovalutato all’estero, testimoniano non solo un
passato di sapienza, ma anche una persistente e ricca tradizione culturale.
L’attuale palazzo che ospita
il museo fu voluto nel 1586 da Don Pedro Giron, allora Duca d’Ossuna e Viceré
di Napoli. Trasformato alla fine del ‘700 da Schiantarelli in Real Museo vero e proprio, esso ospitava
le pregiate collezioni da luoghi celebri quali Ercolano, Pompei e Stabia.
Collezioni che, col tempo, sono state generosamente rinfoltite da quelle dalla
Villa Reale dei Portici, di Stefano Borgia, e, sopra tutte, dalla collezione
Picchianti.
Entro la fine del ‘900, il
museo, ben prima che Garibaldi lo rinominasse ‘Nazionale’, la struttura
testimoniava concretamente la diffusione della cultura Egizia nel Mediterraneo
fra l’VIII secolo a.C. e l’età Romana.
Questo, per quanto riguardava
le branche ‘ufficiali’ degli ambienti accademici.
Sfortunatamente, la
precisione nel trattamento e la raccolta dei reperti è una disciplina che ha
richiesto tempo, per essere affinata. Non sono infatti stati rari, i casi di
preziosi papiri e bende di mummie usati per imballaggi. Di vasellame distrutto
alla ricerca di un tesoro in monete e gioielli...
O di gioielli sfusi che, se
non trovavano immediata classificazione in una determinata collezione, venivano
abbandonati in qualche magazzino, nella paziente attesa che un nuovo
ritrovamento aiutasse a catalogarli. Un processo che poteva prendere decenni...
Il magazzino in questione
conteneva una fortuna in quei pezzi ‘inclassificati’. Casse su casse di
materiale, per un valore inestimabile. Merce che, ironicamente, sul mercato
valeva per la sua natura e null’altro. Collane d’oro, pietre preziose, statue,
dipinti...tutta roba che al massimo poteva essere venduta ad un prezzo gonfiato
a qualche miliardario più ignorante del ricettatore che gli proponeva
l’’affare’.
Ma a quest’uomo, non poteva
importare di meno. Quest’uomo era venuto per prelevare quanto più possibile le
sue tasche potessero contenere, e preparare una vendita che lo avrebbe reso ricco. Quest’uomo era una guardia del
Museo; un dipendente esemplare, con 30 anni di onorato servizio sulle spalle.
Un uomo con una famiglia, una pensione sicura, ed il rispetto del suo
Direttore.
Un uomo, sotto sotto,
estremamente frustrato dalla ricchezza che, giorno dopo giorno, sorvegliava
macinando pensieri carichi di invidia per i suoi deceduti proprietari.
Un uomo che avrebbe tenuto
tali pensieri ben sotto controllo...almeno, se nel mondo non fosse giunto,
letteralmente, l’Inferno: una crisi
mistica, l’invasione totale di innumerevoli demoni,
portatori di caos, distruzione...e liberazione. La liberazione dei pensieri e
delle emozioni represse, controllate in nome del ‘vivere civile’. C’era chi
uccideva l’odioso superiore, chi si suicidava, chi cedeva alla
pazzia...Quest’uomo, Diego Campagna,
aveva deciso di cambiare vita. A qualunque costo. Sapeva dove si trovavano i
pezzi più pregiati, le pietre preziose più facili da portare via. Certo, ci era
voluto molto tempo, per arrivare al Museo attraversando mezza città senza
potere disporre di un solo mezzo –e che differenza avrebbe fatto? Le strade
erano un unico ingorgo di lamiere, morti e feriti. Chiedere aiuto a qualcuno? E
chi aveva bisogno degli altri? Mica voleva dividerlo, il bottino!
Diego non aveva trovato
nessuno, nell’edificio. Tutti in vacanza! E lui conosceva a memoria tutti i
codici degli antifurto, ed aveva le chiavi.
Raggiunto il magazzino, aveva
disattivato l’antifurto, aveva acceso la luce (e chi lo fermava? La Polizia che
non c’era?), si era diretto alla cassa dei preziosi Egizi con un piede di
porco. Davanti a sé vedeva la promessa di una vita migliore, in qualche
paradiso fiscale tropicale. Avrebbe ucciso quella baldracca di sua moglie, sì, e
forse anche quei tre mocciosi frignoni. Avrebbe avuto tutte le donne che
voleva...
Pochi colpi dell’attrezzo, e
la cassa fu aperta. Al suo interno, la ricompensa: involtini in seta rossa o
azzurra, accuratamente disposti, a proteggere il loro contenuto.
In preda alla febbre
dell’oro, Diego Campagna afferrò a casaccio alcuni involtini, preoccupandosi
solo del loro peso e di farli entrare nelle tasche...Poi, ne notò uno in
particolare.
Per un momento, la guardia
traditrice esitò. Quel ‘pacchetto’ era l’unico la cui corda era tenuta insieme
da un sigillo che sembrava di ceralacca, ma con venature d’oro...e legno?
Diego prese l’oggetto. Al
tocco, il sigillo era...tiepido. Ma non se ne curò più di tanto: quello che
importava era che se qualcuno si era preso la briga di un simile decoro,
l’oggetto che custodiva doveva essere davvero il più prezioso!
Se Diego si fosse fermato a
riflettere, avrebbe distinto delle voci
sussurrare quei pensieri nella sua testa...Invece, l’uomo spezzò il sigillo, e
srotolò l’involto...
Fece tanto d’occhi: l’oggetto
era un gioiello, sì, ma uno di quelli mai visti prima!
Era un opale, rosso come il
fuoco, pulsante di una luce propria,
e grosso come un pugno! Era talmente perfetto, che la sua superficie era quasi
completamente priva di attrito...Doveva valere “Uh?”
Movimento! Diego si voltò di
scatto –dietro di lui...No, alla sua sinistra!
“Chi c’è lì?” ma gli rispose
solo il silenzio.
Diego estrasse la pistola. Si
voltò più volte, cercando una qualche minaccia concreta, pronto ad uccidere...senza
badare alle ombre. Dietro di lui,
accanto a lui, le ombre delle casse, di ogni oggetto...la sua stessa ombra
–tutte, impercettibilmente, si stavano
muovendo. Movimenti che, col passare dei secondi, si facevano sempre più
pronunciati –e non solo...
Diego, nel frattempo, aveva
rimesso la pistola nella fondina. Intrusi o no, aveva ben altro a cui pensa*
La mano affondò nelle carni
del suo collo, sprofondando in esso come fosse stato fatto di niente! Una mano
nera come un’ombra.
La mano dell’ombra di Diego
Campagna, un’ombra che aveva assunto una sua solidità!
Un Diego urlante di un dolore
inimmaginabile fu sollevato per il collo come un pupazzo. Le connessioni
nervose impazzite causavano contrazioni casuali delle gambe e delle braccia. La
vescica si svuotò spontaneamente.
L’ombra crebbe in dimensioni,
facendosi più robusta, cambiando forma. Chiazze luminose apparvero sulla
‘carne’, chiazze che, a vista d’occhio, si fecero sempre più grandi, mentre
l’ombra sembrava rientrare in esse...
...Fino a quando al posto
dell’ombra vivente c’era una figura umana in armatura! L’essere sembrava fatto
di luce, un ingannevole angelo vestito di freddo metallo color del sangue...
Diego, ancora vivo, sentì una
mano guantata di metallo afferrare la sua, contratta meccanicamente intorno al
gioiello. Sentì le dita fracassate una ad una, mentre la mano veniva aperta
–non sentì il dolore, perso com’era nella nebbia della morte del suo sistema
nervoso centrale.
La creatura, dal delicato
fisico femminile, ma dal volto che avrebbe potuto essere tanto di donna quanto
di uomo, prese il gioiello. “Grazie per avere spezzato il sigillo protettivo, umano,”
disse, con una voce ambigua quanto i suoi tratti. “Un vero peccato, che il
Padrone non abbia bisogno di creature infime par tuo. Per il favore che ci hai
fatto, meriteresti di meglio...” Pronunciò quelle parole con un’indifferenza
agghiacciante. Le pronunciò per tenere in vita la sua vittima ancora per
qualche istante. Le pronunciò per sottolineare uno stato di fatto.
La creatura androgina
estrasse la mano dal collo dell’uomo, che crollò a terra, il suo ultimo
pensiero carico di pentimento per avere ceduto al suo lato oscuro...
Tempio di Set, Set
Atra-no, Antartide
Sedeva al centro del salone,
su un trono forgiato da figure serpentine, di fronte ad un braciere-cobra nelle
cui fauci fiammeggianti brillava una sfera di cristallo. La sfera da cui il
‘Padrone’, un uomo in blu ed oro, la cui testa era un malevolo teschio nudo, aveva seguito soddisfatto
l’impresa nel museo.
Le ombre gettate dalle fiamme
del braciere iniziarono a danzare di vita propria. In pochi istanti, esse
conversero sulla familiare figura tridimensionale oscura, che quando assunse
l’aspetto finale, stava prostrata su un ginocchio. “Ave, Thulsa Doom! Ave,
sommo Sacerdote del Dio Serpente e Padrone del Tempo. Sul Tuo Regno non calerà
la Morte!” sollevò la testa, al contempo porgendo il gioiello con una mano.
“Sono fiero di te, Generale Evilar. Per questo successo, il
Dio saprà essere ancora più riconoscente.” Thulsa Doom si alzò in piedi, ed
andò a prendere il gioiello. Lo tenne fra le mani con sincera reverenza.
“Finalmente uno degli Occhi di Set è nelle mie mani; la prima
metà del Potere che riunirà i frammenti
del nostro Signore!
“Marada la Lupa, poteva avere avuto una brillante idea, ponendo una
simile protezione...Peccato che neppure la sua alleata strega potesse
immaginare la caduta delle barriere fra Realtà e Limbo...La crisi mistica che
ha avvolto il mondo non poteva essere capitare meglio.” Spostò lo sguardo verso
il braciere.
“Il maledetto Power Pack è
troppo impegnato con altri problemi, così come lo stesso, vanaglorioso Consiglio del Popolo è troppo distratto
dal male nell’etere per sapere cosa sia appena successo!” un cenno della mano,
e la sfera mostrò la trionfante figura della responsabile di quella follia: la
donna, vestita di nero, solo apparentemente troppo fragile per combattere
contro dei super-esseri, stava letteralmente facendo a pezzi il non-gruppo dei Difensori. “Thulsa Doom vuole essere
generoso con te...per ora, Darklady.
Uccidi quanti più ‘eroi’ possibile, indebolisci le difese del mondo...e al
momento opportuno, ti darò personalmente
il colpo di grazia. E sarà la tua testa appesa alle mura della città, a vedere
l’espansione del risorto Regno di Set.”
Lo stregone cantò una litania
in una lingua morta da centinaia di migliaia di anni. L’Occhio di Set sembrò
esplodere, si trasformò in una vampata di energia che dalla sua mano
passò direttamente
nell’occhio destro della testa centrale della statua di Set posta all’esterno
del Tempio. Qui, tornò ad essere un solido gioiello, un sanguigno faro nel
cuore del gelo più intenso della Terra.
Thulsa Doom tornò a sedersi
sul trono. Poteva stare tranquillo: fino a quando i demoni del Limbo non fossero stati esplicitamente diretti contro di
lui, in quella città, per ora, non avrebbero trovato alcuna preda. Le uniche
vittime disponibili erano quelle degli insediamenti sparpagliati nel continente
bianco.
Thulsa Doom spostò la sfera
di cristallo su un nuovo scenario. Adesso, era ora di godersi la fine dei
maledetti ‘difensori’ del Popolo. Dopo, recuperare il secondo Occhio di Set
sarebbe stata una sciocchezza...
Era capitato, semplicemente,
troppo in fretta. L’Inferno era
giunto come il più potente predatore in un branco di pecore indifese. Le
avvisaglie c’erano state, ma era come essersi aspettato un puma, mentre era
arrivato un drago. Si poteva solo arginare il danno, salvare il salvabile.
Il Power Pack era stato
mandato a NY per arginare un imprevisto effetto collaterale della crisi –per
quanto vero che i licantropi erano immuni dalla follia che, per contro,
divampava come un incendio nell’erba secca nelle menti umane...era anche vero
che una branca dei mannari non era così ‘esente’.
Era la branca dei discendenti
di quei lupi mannari creati secoli
prima da una razza aliena, che
mescolò il seme umano e quello di lupo usando riti magici basati sulle
terribili formule del Darkhold. Il
risultato era stata una razza sensibile ai richiami dell’oscurità. E l’Inferno
era come un faro, per questi sfortunati esseri.
Scopo del Pack: isolare i
mannari impazziti, mentre l’attenzione dei media era radicalmente altrove. Con
un po’ di fortuna, le apparizioni pubbliche durante la crisi sarebbero state
scambiate per alcune delle tante apparizioni demoniache.
Sempre in caso di
collaborazione da almeno una delle due parti.
“Signore, ma come possono vivere qui?”
Lo scenario: il monumentale
rifugio antiatomico sotterraneo concepito durante la Guerra Fredda, un complesso, incredibilmente, rimasto segreto al
pubblico fino ad ora. Un complesso, cionondimeno, abitato dall’elusiva stirpe
di reietti della società e dai mutanti
–un popolo a parte conosciuto come Morlock.
Un popolo che, anni prima,
era stato quasi interamente spazzato via dalla banda di assassini nota come Marauders. I pochi sopravvissuti non si
sono mai più riorganizzati come prima, e i nuovi arrivi vivevano in una tragica
anarchia, piccole tribù in attesa di un capo…o di prede.
Il branco di lupi si muoveva
prudentemente, in formazione serrata, lungo cunicoli illuminati da rare e
deboli luci di servizio…Inutile, del resto, chiederne di migliori: i loro sensi
compensavano ampiamente. I lupi, nella loro forma transpecie, erano:
-
Karnivor, in
testa al gruppo. Era questi un maschio rosso in armatura smeraldina decorata da
un ampio mantello rosso. In assenza dell’alfa del branco, Sir Wulf, impegnato in un’altra missione[xvi],
era lui il capo designato in quanto partner nella coppia alfa. Sulla Contro-Terra, aveva personalmente creato
un’efficiente comunità con i Nuovi Uomini
che si erano come lui ribellati al loro tormentatore, l’Alto Evoluzionario. Questi cunicoli non erano un ambiente nuovo…
-
Wolfsbane,
rossa anche lei, il più giovane membro del branco per età, ma fra i più forgiati
da una vita di sopravvivenza, quando ancora credeva di essere un umana mutante,
e non un vero e proprio membro del Popolo.
-
Jon Talbain,
nero e bianco, compagno di Wolfsbane, intento a coprirle il fianco sinistro.
Lui era il Sidar-Var, il Campione del
Popolo, ma decisamente troppo giovane per essere un capobranco…Non per questo,
era un guerriero meno letale. E questi tunnel, per lui, erano solo un’altra
sfida che si sentiva sicuro di affrontare.
-
El Espectro,
cioè Carlos Lobo, dalla nera pelliccia e gli occhi rossi, con indosso la sua
armatura/Unigun. Per quanto si sarebbe trovato più a suo agio con l’arma
pienamente configurata, essa sarebbe stato solo un pericoloso impaccio a fronte
di un attacco a sorpresa. Il Morlockworld gli ricordava una versione chiusa
della terribile miseria in cui lui e suo fratello Eduardo erano vissuti da bambini…E, nemici o no, neppure gli
abitanti di questo mondo meritavano di essere costretti ad un simile
squallore..!
-
Il Predatore nel Buio, imponente e dalla pelliccia bianco/argento,
misterioso alieno di poche parole e grande forza. Era semicieco, e il resto dei
suoi sensi sviluppatissimi, incluso una sorta di ‘sesto senso’. Non era la
prima volta che raggiungeva il Morlockworld, avendo avuto il ‘piacere’ di
passarvi durante la fuga dai suoi persecutori[xvii].
Da qualche parte in quel labirinto, aveva poi incontrato i due androidi, Elsie Dee ed Albert…Scoprì di avvertire una sfumatura di nostalgia mista a quel
pensiero…
-
Warewolf,
una creatura del cui passato non si sapeva nulla. Era un fuggiasco, a suo dire,
ma anche un’entità tecno-organica, e che aveva assimilato la mente di un
mannaro di Starkesboro… Ma, possedendo egli informazioni sul misteriosissimo Progetto Exodus, doveva essere guardato
a vista dal Pack. Letteralmente. E a lui, la cosa, finora, non sembrava
dispiacere.
-
Fenris.
Liberato dalla sua prigionia su Asgard dal capriccioso dio Coyote, si era dimostrato un valido membro del Pack. Anche se con
le dovute riserve, Odino in persona
aveva accettato che restasse nel branco. In quel momento, il figlio di Loki
procedeva in coda al gruppo. Possedeva una nuova forma umana, adesso: armatura
nera e oro, bordata di pelliccia, con uno spesso mantello nero. La testa era
interamente coperta da un elmo dalle corna frontali, con una sottile visiera
triangolare dalla quale traspariva solo un’intensa luce bianca. Brandiva la
potente spada Valtran nella destra.
L’acqua intorno alle loro
caviglie era limacciosa, quasi gelatinosa, costellata di detriti e rifiuti
sulla cui natura era meglio non indagare. L’aria era satura di un fetore di
scorie chimiche, cadaveri di piccoli animali e qualcos’altro, e feci.
“Come l’Uomo, il Lupo è un animale adattabile,” rispose
Karnivor. “Secoli fa, in mancanza di prede nelle foreste, i branchi erano
costretti a nutrirsi dei cadaveri nei cimiteri poveri. Per questo ci
appiopparono la fama di ghoul. Fra le
altre cose.”
Wolfsbane, si guardò ancora
intorno. L’ex Uomo-Bestia, aveva ragione, naturalmente…Eppure, la parte
‘civilizzata’ di lei, quella abituata allo stile di vita prettamente umano,
faticava ad accettarlo. Inoltre, la desolazione di quel luogo contrastava
orribilmente con i ricordi:
dall’ultima volta che era stata nel Morlockworld[xviii],
il decadimento aveva proceduto implacabile. Chiunque potesse passare l’infanzia
quaggiù, adesso, doveva essere*
Il gruppo si fermò di colpo
all’intersezione con altri due tunnel. Sette paia di orecchie fliccarono in
avanti. Sette nasi percepirono la stessa traccia nello stesso momento. Sei paia
di occhi videro distintamente le forme altrimenti invisibili all’occhio umano.
“Sono loro,” disse Warewolf,
con una voce perfettamente modulata. “Razzo, non sono mica pochi! Ne conto quarantasette, di cui...”
“Sono tanti, e tanto ci
basta,” lo interruppe Talbain, estraendo i nunchaku dalla cintura, per poi
mettersi in posa da combattimento.
I mannari uscirono allo
scoperto, a passi misurati. I loro musi ed i loro occhi riflettevano la
malignità del maledetto volume responsabile della nascita dei loro antenati.
Il Pack serrò i ranghi in un
cerchio. Le gallerie erano piene dei ringhii di entrambe le fazioni, entrambe
immobili sulle proprie posizioni.
“Possibilità di dialogo?”
chiese Espectro, rivolgendosi a Karnivor.
Il lupo rosso scosse le
orecchie. “I loro pensieri sono
completamente incoerenti…se si esclude la loro voglia di sangue.” Sorrise,
contraendo le mani che già brillavano di energia. “Come dissi a suo tempo, in
altre circostanze, possiamo vincere questa battaglia solo con la bruta forza!” Lanciò una doppia
raffica ad ampio spettro dalle braccia tese di colpo.
Una porzione del fronte del
nemico fu aperta come lardo da un coltello rovente. Il branco nemico fu
sorpreso
quel tanto che bastava per
Talbain a scattare in avanti, facendo roteare la sua arma ad una velocità
impossibile; sfrecciò fra le fitte fila nemiche come argento vivo. Gli ordini
erano di neutralizzare i mannari maledetti senza ucciderli, e ogni colpo di
nunchaku faceva esattamente questo, spezzando le ossa delle gambe con
chirurgica precisione. Le formule runiche incise nel metallo argenteo
garantivano che per un po’ le vittime non si sarebbero riprese da quelle
ferite.
Il caos prese il sopravvento.
Era ognuno per sé, e il Pack se la cavava meglio del previsto: i loro avversari
erano tanti, ma avevano solo il numero, dalla loro.
Il Predatore non era solo
forte, era anche capace di manipolare e vedere nelle correnti temporali. Mentre si lanciava all’attacco, la sua mente
aveva già visto le principali variazioni delle sue mosse. E fra esse, aveva
scelto l’attacco più efficace e meno letale…Certo, mentre colpiva, egli stesso
veniva ferito da decine di artigli…ma era anche vero che quelli erano
graffietti, paragonati agli artigli di Wolverine.
E in quello spazio ridotto, la sua efficacia era moltiplicata!
Per Espectro, quel combattimento
era semplicemente un tiro a segno! Dai fucili nelle mani, ogni colpo, un
centro. Ogni colpo, un proiettile energetico regolato per ‘cortocircuitare’ il
sistema nervoso dei bersagli…
…Una tattica efficacemente
usata anche da Warewolf, che per contro aveva il vantaggio di essere lui stesso
un’arma. I colpi partivano da ogni punto del corpo a cui si avvicinava un
nemico –ottimo sistema per difendere Wolfsbane, che, davanti a lui, stava sulla
difensiva. “Osservazione: la tua forma
estrema ha maggiori possibilità di difesa corporea e di offesa…”
“No.”
“Con tutto il rispetto,
femmina,” disse l’’uomo’ Fenris abbattendo attaccanti su attaccanti con larghi
fendenti saturi di energia, “Non credo che sia il momento di dare voce alle
proprie paure!”
Ma non era questione di
paura! Non solo Rahne provava ripugnanza
all’idea di combattere contro dei suoi simili…Ma non capiva che senso avesse quello scontro, salvo di…
Poi, lo percepì. E fu certa
che anche gli altri lo avevano sentito…ma erano persi nella battaglia!
“Ci sono dei bambini, qui
vicino!” nel gridarlo, Wolfsbane passò alla forma estrema –una creatura
antropomorfa di oltre 2 metri di altezza, massiccia, dal pelo grigio ed il muso
affilato. Scattò in avanti, perfettamente noncurante dei suoi oppositori, i cui
attacchi non sortivano alcun effetto se non quella di spingerla a raddoppiare i
suoi sforzi.
“Rahne!” Jon non ci pensò su
due volte. In un solo gesto, rinfoderò i nunchaku, e lasciò scorrere l’energia
del suo chi intorno al proprio corpo.
Una fiamma azzurra lo avvolse in una sfera, sfera che divenne la testa di una
cometa, quando Talbain partì a tutta velocità dietro la sua compagna.
Involontariamente o no, tuttavia,
quel gesto riuscì ad aprire un varco nella cerchia degli attaccanti. Karnivor
lo ampliò con altri colpi di energia, imitato da Fenris al suo fianco. Un
attimo dopo, l’intero Pack si stava dirigendo in direzione della coppia,
seguiti a ruota dai loro nemici abbaianti.
Jon non ci credeva: doveva
letteralmente concentrarsi, per stare al passo con Rahne! Correvano,
svoltavano, e svoltavano ancora, una rotta impazzita lungo un dedalo nelle cui
spire in molti del ‘sopramondo’ si erano definitivamente persi...C’era solo da
sperare che i sensi dei loro compagni fossero altrettanto buoni nel
rintracciarli, oppure...
“KY-III!!”
Giunse all’improvviso, quasi
si fosse materializzato sulla loro strada: un pugno metallico che
abbatté Wolfsbane con irrisoria facilità! La licantropa crollò nell’acqua,
inerte, tornando alla forma transpecie.
Visione e reazione furono una
sola cosa, per Jon. Ancora saturo di energia, la concentrò nei propri artigli,
e si gettò in quello che sperò essere l’attacco decisivo.
E, effettivamente, gli
artigli colpirono! Come sciabole, affettarono il nuovo nemico, facendolo a
pezzi con un doppio colpo a ‘X’ –un’esecuzione perfetta, i cui risultati
Talbain non si curò di osservare, preferendo chinarsi subito a verificare lo
stato di salute di Rahne. Il maschio uggiolò, leccando la ferita alla tempia,
totalmente assorbito in quel compito, totalmente ignaro delle gambe della
‘cosa’, gambe metalliche che, come in una macabra moviola, stavano ricostruendosi,
molecola dopo molecola, pezzo dopo pezzo. E dopo le gambe, il bacino, la vita,
il busto...
Fino a quando un demone
non si ritrovò pronto, il pugno sollevato, a colpire l’ignaro Sidar-Var..!
Jon si accorse solo del
sibilo dello spostamento d’aria. Reagì istintivamente, gettandosi su Wolfsbane
per proteggerla.
I missili sfrecciarono su di
lui, ed andarono a colpire il mostro, che esplose in mille frammenti.
“Tu es loco en la cabeza,
hombre!” ringhiò Espectro, reggendo l’UniGun, le canne lanciamissili ancora
fumanti. “Siamo un branco, te lo eri dimentica..Mierda!” questo lo
aggiunse alla vista di Rahne, che Jon stava aiutando a rimettersi in piedi.
Riprendendosi, lei borbottò un, “Sempre la testa...Li odio quando fanno
così...”
Il Pack era riunito...e, di
nuovo, era circondato. “Qui si sfiora il ridicolo,” disse Warewolf. “Un solo
input, capo, e li skeltro tutti!”
La risposta di Karnivor in
merito dovette essere rimandata. L’entità che avrebbe dovuto essere stata
distrutta dai missili stava, ancora una volta, reintegrandosi nel suo stato
originale...
“Dovrei essere
impressionato?” ringhiò divertito l’essere, una creatura brillante di luce
propria, una creatura demoniaca, composta interamente di circuiti. Era
di un malsano colore rossastro, ed indossava un gilet. La testa presentava un
corto corno frontale, lunghe orecchie appuntite, ed un sorriso sfrontato
evidenziato dagli occhi gialli ed il sigaro stretto fra le sue zanne. “Una bambina
sapeva fare molto di meglio.”
“S’YM!” non c’era
alcun dubbio sul terrore che impregnava la voce di Warewolf, mentre dal petto
partivano raffiche di plasma e di proiettili –una potenza di fuoco sufficiente
a demolire un palazzo.
S’ym non la evitò.
Semplicemente, divise il suo corpo a ‘V’, in due segmenti attraverso i quali la
scarica passò senza fare danno...se non al muro su cui esaurì la sua potenza!
“Tsk. Qualcun altro vuole provare?”
“Io non ‘provo’, idiota,”
rispose Karnivor con un ringhio sprezzante. “Io riesco!”
L’arroganza di S’ym fu
estinta nel momento in cui il demone avvertì la tremenda pressione mentale!
Aveva tenuto bassa la sua guardia, e questo poteva rivelarsi fatale contro un
lupo evoluto allo stadio di semidivinità!
Una volta, Karnivor, parlando
alla sua vecchia nemesi Adam Warlock, si era definito ‘cattivo’...ma era
anche vero che non aveva mai incontrato un vero demone. Il contatto con S’ym
quasi lo fece vomitare, era come giocare ad essere un cucciolo cattivo con un
adulto in preda alla rabbia...ma col cavolo che avrebbe mollato la
presa!
“Sei...in...gamba...cagnolino...”
S’ym doveva ammetterlo, aveva sottovalutato questo
avversario...Sfortunatamente, la mente del demone era regolata da processi
insieme mistici e tecnologici, da quando un virus trasmodale aveva
trasformato l’ex-servitore di Belasco prima e di Magik poi in un
essere tecno-organico. “Ma...S’ym...Resta...il più forte!” e, a
sottolinearlo, emise una scarica di energia dagli occhi, investendo in pieno
Karnivor! Il super-lupo fu colpito contemporaneamente dall’attacco fisico e dallo
choc dell’improvviso stress mentale.
In tutto questo, il piccolo
esercito di mannari nemici se ne stava bene in disparte, riconoscendo nel
mostro un superiore nella cui lotta non era il caso di interferire.
Almeno, fino a quel momento.
Caduto il capobranco del Pack, l’armata si gettò all’attacco come un sol
mannaro!
“Ma fatemi il piacere!”
urlò Fenris l’uomo, un momento prima che la sua figura venisse sostituita da
quella naturale di un colossale lupo alto 6 metri al garrese e nero come la
notte!
L’attacco collettivo si fermò
di colpo. Guaiti terrorizzati si levarono da creature che, pur persi nella loro
brama di sangue, sapevano ancora riconoscere un dio. Un dio irato!
Fenris spalancò le fauci, già
accese come quelle di un drago, pronto a scagliare un turbine di energia
sufficiente ad incenerire quei patetici cuccioli...
“Adesso basta!”
La voce echeggiò fra le
pareti con tutte le sfumature di un tono abituato ad essere obbedito. E così
fu: Fenris chiuse la bocca, osservando incuriosito, così come il resto dei suoi
compagni, verso il punto da cui la voce era venuta, Allo stesso tempo, i
mannari nemici si erano prostrati in ginocchio. S’ym sbuffò un fumo mefitico.
“Proprio ora che ci si divertiva un po’...”
Avanzò a passi larghi, sicura
di sé, come solo il vero capobranco poteva essere...
Fisicamente, almeno, quella
era l’impressione. La pelliccia rossa e grigia della femmina era ben tesa sotto
i fasci di muscoli, gli artigli erano lunghi come pugnali, il muso era una
costellazione di zanne bianchissime. Tutto in lei, fino all’odore, gridava
‘sono il tuo boia’.
“Sono debitamente
impressionata, stranieri. Naturalmente, se la battaglia fosse stata prolungata…”
non ebbe bisogno di aggiungere altro. Dietro di lei, nella fitta oscurità, si
accesero altre decine e decine di paia di occhi.
Il Pack non ebbe nulla da
commentare, in merito. Una cosa era certa: l’idea di infoltire i ranghi non
sembrava più così tanto campata in aria…
“Io sono Minoxes,” disse la femmina, “Sovrana di questa porzione del
Morlockworld. Datemi una ragione per cui dobbiate restare ancora in vita.”
“Il tuo coraggio ti fa onore,
femmina mortale...o sei semplicemente folle,” disse Fenris, sogghignando.
“Dammi tu una ragione per essere risparmiata.”
“Basta così,” disse Karnivor,
frapponendosi fra la femmina e l’enorme muso. A Minoxes, disse, con tutta la
sicurezza che potesse ostentare, “Siamo stati mandati qui solo per avvertirti:
il Consiglio non intende tollerare ulteriori attacchi agli esseri umani. Libera
quelli che avete prigionieri, cercate altre fonti di cibo. Non ci saranno altri
avvertimenti.”
La regina dei mannari del
Morlockworld rise. “Quei vecchi si stanno dunque rammollendo? Da quando
in qua si preoccupano del nostro cibo?”
Fu Jon Talbain, a rispondere,
le zanne snudate, “Parla con più rispetto, Minoxes! Senza contare che, nel
Popolo, solo voi osate predare gli umani, alimentando le fiamme
dell’odio nei confronti di tutti noi! Vi abbiamo ostacolato cercando di non
spargere sangue in nome della sopravvivenza della specie...Ma non spingerci la
mano: il Power Pack è pronto a sterminarvi, se servisse!”
Curiosamente, in contrasto
con quello sfogo di ira, le parole di Karnivor furono le più moderate. “Che ti
piaccia o no, Minoxes, il Popolo è in minoranza, e fino a quando Set non
sarà sconfitto per sempre, dovrà restare tale se vorrà sfuggire alle attenzioni
degli umani. Pochi li odiano quanto me, femmina...ma è vero anche che
rispondere al fuoco col fuoco ci consumerà tutti.
“Nel vostro sangue scorre
l’oscuro potere del Darkhold...Sai cos’è la Formula Montesi, vero?”
Quel nome, e le implicazioni
delle parole, irrigidirono la regina: purtroppo, sapeva benissimo che quel tomo
maledetto conteneva formule potentissime, atte a sterminare non solo i vampiri,
come fu fatto una volta, ma anche creature come i licantropi!
Minoxes avrebbe volentieri
squarciato la gola a quei cuccioli insolenti...Ma era anche vero che non poteva
permettersi di perdere i soli, potenziali alleati nella lotta contro Set, ora
che ci pensava...
Minoxes, a sorpresa, sorrise.
“E, dimmi, capobranco...Cosa ti fa pensare che l’umanità stessa si preoccuperà
di noi?” puntò il muso verso la volta della caverna. “In fondo, adesso il caos
regna sovrano, lassù. E non sembra affatto una situazione transitoria,
anzi...”
Karnivor rispose con un
identico sogghigno. “Una cosa che ho imparato, osservando i super-eroi di
questo mondo, è che la combinazione delle loro forze e volontà ha la tendenza a
sopraffare minacce ben superiori a una strega ipertrofica. Le sconfitte subite
da Thanos, la Fenice Nera e Galactus, per farti degli
esempi, dovrebbero farti capire che il tuo regno di terrore rischia una
prematura estinzione.”
Altro
punto a favore. Per quanto le piacesse pensare che la rivoluzione di Darklady
potesse durare, Minoxes sapeva che Karnivor aveva ragione. Per questo, aveva
catturato quanti più umani possibile: per avere una riserva del loro cibo preferito...
“Se li liberiamo tutti, cosa ci promettete?”
Sotto
sotto, Karnivor ammirava quella creatura! Gli ricordava lui, quando era più
giovane...anche se più incosciente, capace di sfidare gli Dei... “Sarete liberi
di prosperare, se limiterete le vostre aggressioni agli umani alla sola legittima difesa. Non
osate rivelare la nostra esistenza, o morrete ugualmente. Rubate il loro cibo, se ci tenete tanto.
Quanto a quello che succede in questi tunnel, stante le precedenti condizioni,
è solo affar vostro.”
Rahne,
appoggiata a Jon, si irrigidì. Appiattì le orecchie...ma non disse nulla. Non
per ora, almeno...
La
femmina incrociò le braccia, sollevando la coda. “Accettabile, capobranco.”
Karnivor
annuì. Stava per dire qualcosa, quando Warewolf lo precedette, “Un ultimo byte,
regina: che ci fa quel sacco di pus, qui?” e indicò S’ym, questi appoggiato ad
una parete in una posa da ‘teppista’, a gambe incrociate e sigaro fra le dita.
“A
S’ym piace essere libero dal Limbo,” disse il demone. “S’ym sa che umani sono
potenti, e preferisce stare quaggiù, buono buono. S’ym ha giurato obbedienza alla regina.” Il che
voleva dire, e S’ym lo sapeva benissimo, che il Pack avrebbe potuto trovarsi a
difendere anche lui!
Una
situazione ovviamente di convenienza, destinata a non durare –e c’era da
scommettere che, nel frattempo, il Consiglio avrebbe trovato il modo di
risolvere quella situazione. Per ora, invece... “Portaci gli umani,” disse
Karnivor. Inutile sprecare forze ulteriormente: ne avrebbe avuto bisogno per
fare un lavaggio del cervello collettivo ai prigionieri...
“Potrebbero
vincere. Fenris, da solo, ha potere a sufficienza da ridurre S’ym
all’impotenza.”
In
una località conosciuta solo a loro, i quattro Consiglieri osservavano la scena
attraverso uno ‘schermo’ sospeso in una fitta voluta di fumo.
Alla
femmina rossa, che aveva parlato, il bianco maschio rispose, “Con perdite
gravissime...senza contare che se il Figlio di Loki venisse infettato dal virus
trasmodale, perderemmo definitivamente il controllo su di lui.
No...Accontentiamoci di questa piccola vittoria. Lo scopo della missione è
stato raggiunto.”
“Dovremmo
preoccuparci di ben altro,” disse la nera femmina, fissando con attenzione
l’espressione di Wolfsbane. “Rahne Sinclair potrebbe decidere di lasciare il
Pack, a fronte di questo sviluppo. La sua etica è in totale contrasto con i
termini dell’accordo con Minoxes.”
Il
maschio bianco annuì. “Tutto a suo tempo. Anzi, non credo proprio che si
renderà necessario intervenire...”
Episodio 14 - Nuovi
Cacciatori (I Parte)
Starkesboro, Massachusetts,
24 ore dopo Inferno2.
Un giorno dopo la seconda
crisi mistica più grave affrontata dalla Terra[xix].
Molte, molte persone erano morte, altrettante impazzite per sempre, famiglie
erano state distrutte irreparabilmente…
Rahne Sinclair non provava compassione per loro. Non più.
La giovane licantropa
scozzese si vergognava di quei pensieri, essi andavano contro tutto quello che
le avevano insegnato, contro tutto quello per cui aveva combattuto. Quando
credeva di essere solo una mutante, aveva ‘imparato’ che non c’erano
differenze, che odiarsi era insensato, sciocco, inutile.
Rahne Sinclair non era una
mutante. La sua licantropia era stata ereditata per parte di madre, una
mannara lei stessa. La sua ‘mutazione’ consisteva, ironicamente, nei geni umani
trasmessi dal padre, il Reverendo Craig. Rahne Sinclair apparteneva al Popolo.
Rahne Sinclair, in quel
momento, odiava gli esseri umani come niente altro al mondo. Un odio feroce,
consumante come una fiamma, che non credeva di possedere.
Stava in ginocchio, il volto
rigato dalle lacrime, gli occhi rossi e gonfi, la voce roca per il dolore
espresso.
Davanti a lei, in una stanza
che per dimensioni avrebbe potuto benissimo essere un deposito, un ambiente
studiato per mantenere l’aria purificata e priva di umidità, stava una
testimonianza che, a suo modo, era terribile come la vista dei cumuli di
cadaveri di Auschwitz.
Pelli. Un cumulo di oltre un
centinaio di pellicce, tutte di mannari e di naturali. Adulti, cuccioli,
anziani…Alcune mostravano visibili le tracce delle sevizie inflitte alla
vittima, altre con fori alla ‘lanterna’, altre ancora di vittime uccise da un
cacciatore inesperto, che aveva colpito parti non vitali, condannandoli a una
lenta agonia. Decapitati, catturati da trappole, avvelenati da cuccioli con
esche, o uccisi da vivi con l’elettrocuzione interna…L’Uomo aveva usato ogni
metodo a sua disposizione per sperimentare il suo talento di migliore assassino
del mondo.
Così tanti…Quale
miracolo aveva permesso la sopravvivenza del Popolo, quando il solo numero
delle ‘prede’ in quella stanza poteva riempire intere foreste...?
In qualche modo, Rahne era
sicura di potere udire i ruggiti di dolore, gli uggiolii, percepire il senso di
perdita dei branchi improvvisamente svuotati…
Lei stimava l’umanità. Sapeva
che c’erano brave persone, al mondo…Ma come poteva l’Uomo vantarsi di alcuna
‘nobiltà morale’, quando era capace di simili atrocità?
“Il peggio è che
l’incantesimo, la Phobia, c’entra fino a un certo punto,” disse una voce
triste dietro di lei.
Jon Talbain sedeva contro una parete, le gambe rannicchiate in
modo da poggiarci il muso. Nella sua pelliccia nera e bianca dalla folta
criniera e la morbida coda, le era sembrato subito bello e fiero come un
principe…Eppure, ora, il Sidar-Var, il Campione del Popolo, parlava con
voce uggiolante, e nella sua tristezza sembrava un cucciolo bagnato, indifeso.
“Spesso, l’uomo non ha bisogno di ‘incoraggiamenti’…Noi tutti ricordiamo che
centomila anni fa, eravamo alleati, e il Consiglio sta lavorando duro per ripristinare
quest’alleanza. Solo lavorando insieme, l’Uomo ed il Lupo potranno sconfiggere Set
e le sue forze…Ma è così difficile…” uggiolò.
Rahne si alzò in piedi, ed
andò ad inginocchiarsi accanto a colui che amava. I due si strinsero in un
abbraccio.
Rahne disse, “Quando avete
fatto quel…patto con Minoxia[xx], per un momento ho
creduto…di…” le parole le si strozzarono in gola. Aveva creduto di essersi
messa con niente altro che bestie sanguinarie, assassini spietati per il gusto
di esserlo…Ma di fronte a una testimonianza di simile crudeltà, poteva solo
ringraziare il Cielo che nel cuore del Lupo ci fosse ancora posto per la
speranza, insieme all’istinto di sopravvivenza…
Jon le accarezzò lentamente i
lunghi capelli rossi. “Minoxia sbaglia. Uccidere umani non ci porterà avanti,
se non verso l’estinzione. Ma ugualmente, non possiamo uccidere ne’ lei ne’ il
suo branco. Non possiamo sprecare altro sangue di mannaro.
“Come Power Pack, dobbiamo difendere
il Popolo, e colpirlo solo se il Consiglio l’ordinerà…” le sollevò il
mento, e le leccò via le strisce salate delle lacrime seccate. “Dobbiamo
difenderlo, ad ogni costo. Lo capisci, adesso?”
Le parole possono mentire. Il
corpo non mente. Rahne aveva imparato a fidarsi dei suoi sensi, del suo istinto
–e sensi ed istinto le dicevano che Jon non mentiva. E lei seppe che capiva, e
che avrebbe combattuto al suo fianco, per la loro gente… “Mi dispiace di avere
dubitato di…” un artiglio le si posò sulle labbra.
“Ssh, rjein. È
passata.” Guardò verso il mucchio dei morti. Il suo sguardo si perse, mentre la
sua voce assumeva un tono cantilenante. “Noi non dimentichiamo, ma non
smetteremo di vivere/Noi sfidiamo il male non sopravvivendo/ma vivendo e
prosperando/Noi cancelliamo il male lottando per il futuro/Noi cacciamo e
cantiamo e facciamo l’amore/perché Gaea è la Dea/e Feronia è la sua
messaggera…” terminò con un corto ululato.
“Feronia..?” fece Rahne. Jon
si alzò in piedi, tirandola a sé. “Te lo spiegherò un’altra volta. Adesso, ci
aspettano.”
Rahne se ne accorse solo in
quel momento. Si passò una mano incredula fra i capelli lunghi?
Municipio di Starkesboro
L’atmosfera nella sala del
Consiglio Municipale era quella delle grandi aspettative. Il branco dei
protettori del Popolo era radunato al gran completo. Jon e Rahne, le due
promesse generazionali, seduti in prima fila insieme alla coppia alfa. Gli
altri:
Nessuno parlava. Tutti
attendevano, ansiosamente ma disciplinatamente, che si manifestassero i latori
della prossima missione…
L’attesa non fu delusa. Fumo
verde si sprigionò dall’aria stessa –dapprima uno sbuffo delicato, fluido, come
se la giada fosse diventata liquida…Poi, col passare dei battiti di cuore, lo
sbuffo si espanse, divenne presto una massa che riempiva la metà della stanza
non occupata dal Pack. Tutto avvenne in un silenzio rotto solo, almeno per le
orecchie più fini, dal respirare dei lupi. Non un orecchio si muoveva, non una
coda frusciava.
Ed apparve, in tutta la sua
maestà. I quattro sommi anziani, i re dei re. Coloro i cui nomi avevano
significati persi nelle nebbie del tempo. Un maschio bianco con un pizzo al
muso, un altro grigio come l’acciaio, una femmina rosso sangue, ed una nera più
della notte ma dalle zanne bianchissime. Il Consiglio del Popolo.
“Il nostro plauso per avere
concluso con successo la vostra ambasciata presso Minoxia, branco,” disse il
bianco. “Ora, è indispensabile per voi concentrarvi sull’incorporazione dei sette
nuovi cacciatori.
“Un branco di quindici
elementi può sembrare rilevante, ma sarà appena sufficiente per difendervi da Thulsa
Doom, ora che questi ha uno degli Occhi di Set.” Come previsto,
quella frase fece salire di parecchi punti la tensione nella stanza, nonché
drizzare parecchia pelliccia.
La femmina rossa riprese il
discorso. La sua voce era intrisa di ferocia, conformemente alla durezza del
suo muso. “La crisi mistica ha schermato le sue attività persino a noi. Abbiamo
appreso del suo successo solo quando è riuscito ad inserire l’Occhio nella
statua del suo infame Dio[xxi]. Ora la lotta sarà più
dura che mai: il negromante sa che deve passare su di voi, per giungere al
secondo Occhio. Dovete essere capaci di difendervi e di contrattaccare con
eguale forza.”
“Eccellente,” disse il
maschio grigio. Impossibile capire se il suo sorriso fosse minaccioso o
compiaciuto. “Contattare tre dei cacciatori sarà vostro compito. Nonostante si
trovino in tre locazioni diverse del mondo, non possiamo correre il rischio di
separarvi: i Generali di Thulsa Doom vi schiaccerebbero facilmente, ora
che hanno il potere di un Occhio a sostenerli.” Un discorso disfattista? Niente
affatto: fra i lupi, sopravvissuti a millenni di persecuzione, dorare la
pillola era semplicemente un concetto alieno, anzi, un insulto.
“Quanto agli altri due,”
disse l’oscura, “non vi preoccupate: sapranno essere da voi al…momento giusto.”
Ed era anche vero che, maestri cacciatori, sapevano fare buon uso delle mezze
verità. L’unica certezza era che dei sommi anziani ci si poteva fidare
ciecamente…
Mercantile Felicidad de
Maria, Atlantico Settentrionale
Se la nave fosse stata una
petroliera, l’avrebbero affondata al molo, pur di non rischiare un'altra
catastrofe ecologica. Cosi com’era, era ancora utile per il trasporto di
qualunque merce più o meno legale che qualcuno volesse affidare ad una carretta
lenta e disposta ad affrontare qualunque rotta –il tutto in cambio del giusto
compenso, naturalmente.
Da qualche giorno, la Felicidad
de Maria trasporta un carico di banane, caffè, cacao…ed armi. Tutta roba
fine, compatta, trasportata dagli USA alla Colombia e da lì per l’ultima rotta
relativamente sicura –un po’ complesso, forse, ma l’unico modo per evitare i
supercontrolli delle autorità Americane a causa delle nuove leggi
antiterrorismo. Ironia della sorte, era più facile farla uscire, la roba, che
portarla dentro…Anche se ogni cartello criminale noto avrebbe volentieri preso
la testa del responsabile dell’11 Settembre per avere reso loro la vita molto
più difficile!
L’Inferno aveva colpito in
tutto il mondo. L’equipaggio della nave non era stato risparmiato,
naturalmente…E, potete crederci, se qualcuno è disposto a violare la legge
ignorando la propria coscienza, è certo che è preda di un gran bel demone
personale. Sopravvivere ad esso è questione o di un’eccezionale forza
interiore, o semplicemente di saperlo accettare…
Ecco, provate a spiegarlo ad
un pugno di marinai collaudati –gente tosta sotto molti aspetti, ma preda anche
dei demoni della superstizione e della paura, demoni che si alimentano delle
difficoltà di lavorare giorno dopo giorno in un ambiente capriccioso come il
mare, capace di prendersi una vita a volte per il solo gusto di farlo.
L’Inferno giunse come un
incubo uscito dall’Apocalisse. Le acque si erano tinte di rosso ed avevano
preso fuoco, le onde si erano levate, alte come palazzi, ed esse avevano ruggito,
mentre il vento ululava echeggiando dei lamenti delle innumerevoli vittime
prima di loro.
L’equipaggio della Felicidad
de Maria aveva, a dir poco, perso la testa. Il caos a bordo era
semplicemente diventato incontrollabile in capo a pochi minuti, favorito anche
dall’improvviso animarsi diabolico di diversi oggetti che, come gremlin
arrabbiati, avevano morso più d’un uomo. Il capitano, che aveva patteggiato il
prezzo per il trasporto del materiale illegale, era stato squartato vivo e poi
impiccato da un gruppo di marinai pentiti delle proprie azioni. Chi non era
morto di paura o sotto i colpi di un compagno deciso a riparare a modo suo alle
malefatte commesse in vita, si era suicidato.
La Felicidad de Maria
navigava placidamente sotto il sole battente, spinta dalle correnti. Una nave
fantasma…ufficialmente, almeno…
…Perché nessuno a bordo
sapeva di stare trasportando un carico ancora più speciale di un mucchio d’armi
e munizioni.
Un carico consistente di una lupa
mannara. Una femmina dal pelo grigio/rossiccio, con folti ciuffi sulle
spalle, sugli avambracci e le caviglie, come intorno alla mascella.
Il suo nome, almeno quello
che le era stato dato da un umano tempo addietro, era Ferocia. Quello
attuale non avrebbe avuto molto senso, non in quest’epoca.
Una cosa buona quella crisi
mistica l’aveva avuta: aveva permesso alla sua vera identità di
risorgere pienamente. Essere prigioniera in un corpo capace solo di combattere
fisicamente era stato alquanto…frustrante. Anche se, decisamente peggio, era
stato il vagare in uno stato di semi-stupidità, vulnerabile a qualunque stolto
con un po’ di carisma.
Superia era riuscita ad irretirla per ben due volte. Se ci
avesse provato ora, le avrebbe aperto la gola –supremazia femminile…Tss,
avrebbe dovuto nascere lupa, e avrebbe comandato un branco. Umani! Mai viste
creature con simili, patetiche ambizioni!
Ferocia si mosse come
un’ombra fra i ponti della Felicidad –non che ne avesse bisogno, ma alla
sua metà naturale veniva istintivo, e non aveva ragione di contraddirla.
L’odore di morte era fastidioso: un cadavere era di solito roba da mangiare,
non da lasciare a marcire. Per un po’ non sarebbe morta di fame, ma quella nave
poteva trovarsi nel Mare delle Nebbie, per quanto ne sapeva. Non si annusava
terra neanche per caso.
Ferocia arrivò sul ponte
principale. Solo per abitudine, scrutò l’orizzonte…niente, come ieri. A
confermarlo, neanche un uccello nel cielo.
Sbuffò. Se almeno gli Dei
della sua epoca fossero esistiti ancora, avrebbe potuto elevare una preghie…
Uno scintillio colse la sua
attenzione! Un riflesso metallico a pelo d’acqua. Un oggetto volante, veloce. In avvicinamento!
L’occhio era stato
trasformato in una specie di teleobiettivo corredato di minuscoli sensori.
“Uhm,” disse Warewolf, scandagliando la capigliatura di Rahne. L’occhio, alla
fine, rientrò nell’orbita. Warewolf sentenziò, “Niente di anomalo. Chiaramente,
il tuo precedente stato era di natura psicosomatica.”
“Vuol dire che in un certo
senso volevo che i miei capelli non
crescessero?” Rahne era a dir poco incredula.
Il mannita annuì. “Niente di
strano. Avevi formattato il tuo output in conformità agli insegnamenti di tuo
padre, che ti voleva con un look severo. Un mannaro è in grado di controllare le proprie cellule corporee,
dovresti ben saperlo… ”
Rahne annuì. Era chiaro che
lo choc della vista…dei morti…aveva spezzato le ultime barriere di deferenza
nei confronti di Craig. Possa tu stare
bruciando all’Inferno che evocavi per me, pazzo assassino!
“Ci siamo,” disse Karnivor,
chino sulla strumentazione. “E’ davanti a noi, su quella nave. Wolfsbane..?”
All’udire il proprio nome in
codice, la ragazza assunse la forma transpecie.
“Ferocia è l’unico segno di
vita,” disse il lupo rosso. “sarà una passeggiata.”
Il velivolo nero stealth fu portato accanto al
mercantile. Una passerella fu estroflessa dalla fiancata. Un portello si aprì
subito dopo, e Sir Wulf, seguito dal branco, uscì per dirigersi sulla Felicidad.
Ferocia, che nel frattempo
era rimasta sul ponte, in attesa dei potenziali nemici, era rimasta a dir poco
allibita alla vista del Pack –una simile concentrazione non la vedeva da…da
molto, molto tempo!
Riconobbe d’istinto la coppia
alfa, e si chinò davanti a loro.
“Alzati, Ferocia,” disse
Wulf. “Noi veniamo in nome del Consiglio del Popolo,” a quelle parole, le si
drizzarono le orecchie “E abbiamo una proposta da farti…” ci volle una buona
mezz’ora, ma il capobranco non risparmiò alcun dettaglio.
Convincere Ferocia non fu
comunque difficile: aveva distintamente percepito il ritorno di Thulsa Doom, e
sapeva che era questione di tempo, prima di diventare un bersaglio delle sue
attenzioni lei stessa. Nel branco c’era sicurezza…e non solo da quel vecchio
negromante, nossignore!
“Come dissi una volta,
signori,” disse lei, in un bagliore di zanne, “Fate strada. Vi starò dietro.”
Set Atra-No, Antartide
“Il fato ha deciso di
sorridere su di voi, cani…Godetevi pure questo momento di falsa sicurezza,
crescete pure di numero…Alla fine, in un colpo solo, mi sarò liberato di più
ostacoli di quanto avessi inizialmente sperato.”
Quasi sibilando quelle
parole, Thulsa Doom osservava, dalla sfera posta nella bocca del braciere a
cobra, il velivolo sfrecciare nel cielo verso la sua prossima destinazione.
Alle spalle del negromante
seduto sul suo trono dei serpenti, una voce femminile disse, “Mio signore,
perché aspettare? Un colpo solo, adesso che il tuo potere è ancora più grande,
e la conquista del secondo Occhio sarà questione…di…” la voce tremò, quando il
nudo teschio che era la testa di Thulsa Doom si voltò. Nelle orbite, brillavano
piccoli soli irati.
Poi, Thulsa Doom si alzò.
Lentamente. “C’è una cosa che sopporto meno di un’inazione forzata, Generale Faidara…”
La donna in armatura, che di fronte
ad un uomo poteva apparire come un temibile angelo sterminatore, fece un passo
indietro, pallidissima in volto. Le sue mani tremavano…Ma prima che potesse
anche solo pensare di scappare, una mano saettò ad afferrarle la gola! La
stessa mano la sollevò, poi, come un pupazzo. Faidara emise dei rantolii
pietosi.
“…E’ che qualcuno,
soprattutto uno dei miei Generali, osi dubitare
della saggezza del mio operato!!” E su questa parola, Thulsa Doom scagliò il
suo Generale dall’altra parte della stanza. Il volo di lei si infranse contro
la statua di un uomo-serpente, che finì in pezzi.
Il negromante indicò la sfera
nel braciere. Il velivolo del Pack scomparve, per essere sostituito da un altro
uomo-lupo –un maschio bianco, perfetto, vestito di un’armatura verde e oro, con
uno spacco che andava dal petto alla cintura. La creatura cavalcava un grande dragone blu.
“Chi è?” chiese Faidara, rialzandosi.
L’espressione del negromante
era imperturbabile, ma la sua voce aveva un tono…deluso. “Comincio a sospettare
che l’umana del cui corpo ti sei impadronita stia onubliando il tuo senno.
“Concentra i tuoi sensi sulla
gemma che quel cane porta, Generale. E capirai.”
Faidara lo fece. Osservò
l’immagine come le aveva detto il suo padrone, focalizzandosi sulla gemma
pulsante di luce vermiglia incastonata in una sorta di collare elaborato… “Per
le spire del Signore!”
Thulsa Doom annuì. “Quella
pietra è la Godstone. E il suo
portatore è lo Stargod, una creatura
virtualmente onnipotente. Ed è qui, su questo piano[xxii].
“Se attaccassi il Power Pack
adesso, Stargod sarebbe su di noi con abbastanza forza da annientarci senza la
minima difficoltà. Ora lo capisci, Generale,
perché devo trattenere la mia mano? Dobbiamo aspettare fino a quando, in un
modo o nell’altro, l’emissario di Antesys
lasci questo mondo per tornare ad Altro
Regno.” Qui, la sua voce si fece implacabile, la sua mascella spalancata in
un urlo orrendo a vedersi. “E ricordalo,
tu e i vermi che strisciano ai miei piedi! Sono il tramite vivente fra Set e
questo mondo, e la mia volontà è indiscutibile!”
“Anni fa, un mistico di nome Dhasha Khan scatenò un branco di lupi
addestrati da lui personalmente contro una straniera in fuga con il proprio
figlio per le montagne della regione che chiamate Tibet.
“La lupa che guidava quel
branco era stata plagiata fino a perdere ogni pietà e rispetto verso la preda.
Inseguì la donna fino a quando non l’ebbe in trappola. E la uccise, mangiandola
viva.
“Apparentemente, per Dhasha
Khan fu sufficiente, perché dopo quell’empio atto uccise la lupa, e vi legò la
mia essenza, ribattezzandomi Ferocia. In quello stato, possedevo la forma
transpecie, ma con un intelletto limitato, perché non potessi ricorrere alle
mie arti…almeno, fino alla recente crisi mistica.” La figura della mannara si
dissolse in un lampo di luce, rivelando una donna. Una donna bellissima, alta,
dai lunghi capelli grigio/viola, le labbra cremisi e gli occhi rossi. Indossava
una cotta grigia e oro, con un mantello porpora lungo fino ai piedi, ed al
collo portava un collare nero spinato di aculei d’argento. “Ora sono svincolata
dalla ‘maledizione’ imposta da Khan, e sono integra…E vedo con piacere che la
presenza femminile è alquanto…ridotta…” annusò discretamente l’aria,
individuando rapidamente le coppie già formate e quelli ‘impegnati’…
“Qual è il tuo vero nome?
Cosa facevi prima di essere imprigionata da Khan?”
La femmina osservò la sua
simile dal pelo rosso. Nei suoi occhi di smeraldo brillava una curiosità
spontanea, una luce allegra e contagiosa. Ferocia sorrise un sorriso amaro. “Il
mio nome originale non ha più importanza, così come ogni mio fare. Piccola, io
appartengo ad un’era che solo il Consiglio può ricordare, poiché vissi e
cacciai quando il potente Conan
combatteva da ragazzo ben prima di diventare Re[xxiii].
Non ho alcun desiderio di rinvangare quello che fu e che niente potrà
correggere.”
Su questa frase, il silenzio
regnò per un momento sovrano nel velivolo. Un silenzio spezzato presto da un
insistente cicalio dalla metà della consolle a cui sedeva Karnivor. “Signori,
ci siamo. Il nostro prossimo obiettivo è vicino.”
Il velivolo era uno dei tanti
mezzi da combattimento creati da Karnivor quando questi era, per tutti,
l’Uomo-Bestia. La conoscenza guadagnata da numerosi mezzi, inclusi quelli del
suo creatore, l’Alto Evoluzionario,
unita alla sua intelligenza superiore, aveva permesso a Karnivor di escogitare
soluzioni tecnologiche che nulla avevano da invidiare a creazioni equivalenti
di Reed Richards o Anthony Stark.
Il velivolo d’ordinanza del
Pack era propulso da un motore nucleare, capace di raggiungere velocità
mach-10, dotato, fra le altre cose, di smorzatori inerziali per evitare di
stritolare i passeggeri.
Dai mari tropicali, il branco
era giunto all’estremo opposto: le lande ghiacciate della Siberia.
Sperduto in mezzo ad una
fitta foresta, dove perdersi era questione di pochi passi. E chi riuscisse a
trovare l’orientamento, doveva fare i conti con una fauna ostile, che le
autorità avevano, ironicamente, lasciato intatta proprio per ridurre le
possibilità dei fuggitivi. Un tempo, questo agglomerato di baracche, campi
recintati, e piccole industrie artigianali, non aveva un nome, bensì solo un numero.
Questo posto era un gulag, uno dei
tanti campi di sterminio che le autorità dell’URSS avevano eretto per soffocare
le voci dissenzienti al regime.
Quando i gulag furono
costruiti, le autorità pensavano di durare molto, molto a lungo. La fine le
colse di sorpresa. Le prove più evidenti, i gulag più famosi, furono distrutti,
‘dimenticati’. Quelli come questo, invece, il numero 131, rimasero pressoché
intatti, ma abbandonati da un personale che non aveva più ragione di presidiare
il relitto di un’era morta.
Oggi, il gulag 131 è una
specie di porto di mare per un altro tipo di fauna umana: bracconieri,
minatori, contrabbandieri, trafficanti d’armi e di droga a cui serva un rifugio
per cibo economico e riposo indisturbato prima di riprendere il viaggio.
Come si può immaginare, data
la qualità della clientela, il concetto di ‘tranquillità’ nel 131 è alquanto
relativo…
Un rumore di vetri infranti e
di legno spezzato, e uno degli avventori volò via urlando dalla finestra della
baracca adibita a bar.
Un pezzo d’uomo, ad essere
onesti, un figuro che tradiva la sua natura di figlio dei boschi. Pure, atterrò
nella neve, a faccia in avanti, come un saccaccio.
Si rialzò in piedi. Il volto
era una maschera assassina, rigata di sangue dal naso rotto e dai tagli da
vetro che costellavano fronte e guance. Esalava il suo respiro a nuvole, come
un drago. Era talmente teso che i muscoli sembravano volere esplodere dalla
camicia.
L’uomo emise un ruggito
pauroso, e si precipitò nel locale. “TU! Piccolo, lurido baciatronchi! Io ti…”
L’interno del bar era stato
ridecorato dalla rissa. I clienti più avveduti se l’erano squagliata alle prime
avvisaglie. I ‘veterani’ formavano una specie di semicerchio ronzante di
chiacchiere fra il faceto e l’ammirato. I soldi volavano di mano in mano
insieme alle bottiglie di vodka. Qualcuno sarebbe diventato ricco, in quel giro
di scommesse volanti…Naturalmente, nessuno puntava un rublo sul ‘baciatronchi’
in questione. O, meglio, nessuno puntava sulla sua sopravvivenza oltre i 30
minuti. Fare incavolare Sergei era un suicidio bello e buono, lo
sapevano tutti. Il grosso Sergei era il miglior cacciatore e boscaiolo sulla
piazza. Le pelli degli animali da lui uccisi avevano scaldato più d’una
famiglia e decorato le voglie di molte dame dell’alta società. Tagliava alberi
interi in barba alle ordinanze locali, e molti lo ritenevano un eroe contro le
angherie di un governo che, in quanto a comprendere i bisogni del popolo, non
era meno alienato del regime che lo precedette.
Lo straniero, il
‘baciatronchi’, sedeva su uno sgabello al bancone. Era un uomo di corporatura
robusta ma scattante. Capelli biondi, tagliati all’altezza del collo, tirati
all’indietro; occhi azzurri, taglienti come il suo sorriso, basette lunghe.
Indossava un paio di blue jeans stinti tenuti dentro un paio di stivali alti e
neri. Il suo trench di pelle nera era aperto, mostrando una maglia di lana
pettinata sotto il cui collo si intravedevano il colletto di una fine camicia
bianca e la cima di una cravatta scura.
Lo straniero non sembrava
minimamente impressionato dallo sfogo di Sergei. Da una tasca interna del
trench, estrasse una fiasca d’argento. Svitò il tappo e bevve una sorsata
–tutto lentamente, con sottili movimenti studiati per provocare l’avversario.
Riavvitò il tappo, rimise a posto la fiasca e fissando Sergei, disse in un
perfetto russo, “Sai fare di meglio che grugnire come un inverno asfittico,
bracconiere? Puoi chiamarmi con tutti i nomi che preferisci, ma ti posso
assicurare che non mi farai cambiare idea: quelli come te, depauperando le
foreste di animali e piante, uccidono la Rodina efficacemente come i
nostri vecchi padroni. Solo, più lentamente. E siete troppo stupidi, per
accorgervene.”
Sergei avanzò nella stanza.
Passando davanti ad un tavolo ancora in piedi, afferrò una bottiglia e la
spaccò contro il bordo. Adesso sorrideva di un sorriso tremendo. “Noi saremo
stupidi, cittadino, ma la vita è dura, in queste terre. E tu devi ancora
impararlo. Quando avrò finito con te, sarai nudo come un verme, e mi pregherai
di darti una pelliccia e scarpe foderate, e della legna per un bel fuoco. E io
te le darò…forse. O forse godrò a vederti crepare di freddo.”
L’altro scese dallo sgabello,
si aggiustò il trench, e si riavviò i capelli. Fissò Sergei…e la sua
espressione divenne glaciale come il vento fuori dalla baracca. Un cambio
d’umore così improvviso, che l’omone ebbe un’improvvisa esitazione.
Lo straniero disse, con una
voce ora identica alla sua espressione, “Tu, quelli come te…Ci sono un po’
troppe persone che non dovrebbero neppure abitare in queste terre.
Abbiamo città grandi, con tutto quello che può servire a sopravvivere senza
uccidere tutto quello su cui si posa l’occhio. Quelli come te non sono neppure
residuati di uno stile di vita arcaico, Sergei. Quelli come te sono dei palloni
gonfiati. In un corpo a corpo, ti mangio vivo, cacasotto…O sei capace di fare
qualcosa senza il tuo fucile?”
Sergei barrì come un
elefante, e si gettò all’attacco. Nonostante la sua mole, era un uomo
veloce e di pronti riflessi. Con la mezza bottiglia in mano, aveva buone
possibilità di trasformare il suo avversario in un hamburger…Senza contare che
lo straniero non si stava neppure muovendo, e teneva le mani bene in vista
lungo i fianchi.
Non capì nemmeno come fosse
successo. Un attimo prima, era sul punto di colpire lo straniero…Poi, un pugno
potente come un maglio lo aveva colpito al plesso solare. Il fiato venne
spezzato brutalmente, e Sergei vide stelle davanti agli occhi. Un secondo
colpo, veloce come il primo al punto da sembrare invisibile, colpì esattamente
all’altezza del cuore, facendo scricchiolare le costole. Colpì esattamente fra
un battito e l’altro, e Sergei divenne livido in volto, mentre il cuore entrava
in arresto.
In un momento. Sergei era
come stato immobilizzato nel tempo, intento a scagliare la mezza bottiglia,
un’espressione stupita in volto, incredula.
Lo straniero staccò il
braccio dal costato del suo avversario. Sergei cadde a faccia in avanti, già
morto. Nel bar era calato un silenzio allucinato.
Lo straniero afferrò un’oliva
dal bancone. Se la infilò in bocca e dopo averla inghiottita, si tenne lo
stuzzicadenti fra le labbra. Indicò il cadavere con un pollice. “Fateci qualche
salsiccia, con quel maiale. Almeno, sarà veramente utile a qualcuno, adesso.”
Ed uscì dal bar.
L’uomo si diresse al
parcheggio, costellato di antiquate jeep e camion della Grande Guerra
Patriottica. Era soddisfatto: aveva sistemato quel bestione senza
ricorrere ai suoi poteri. È bello vedere che non ho perso il mio tocco.
In fondo, era stato addestrato per questo ben prima dell’esperimento…
Arrivò di fronte ad
un’anomalia, al centro di quella parata dell’usato: una specie di scooter delle
nevi, tutto bianco, come quelli usati dai turisti facoltosi ma poveri di
coscienza ambientale. Anche per tale ragione, Sergei l’aveva sottovalutato,
quando avrebbe dovuto invece fare più attenzione al design che
avvicinava il veicolo più ad un razzo tascabile che ad un giocattolo da ricchi.
Sergei non poteva sapere che quello era un HoverSpeeder-J1, con scafo in
metalceramica e motore a superconduzione magnetica. Un prodotto delle industrie
dello Zilnawa, roba che richiedeva una patente speciale, di
quelle che non venivano rilasciate con un corso veloce in una scuola privata…
L’uomo saltò a bordo. Un
tocco di pulsante, e lo scooter partì sui suoi cuscinetti energetici –cioè, schizzò
via verso la foresta.
Solo quando fu abbastanza
addentro, fermò il veicolo. La sua espressione era di prudente curiosità.
Apparentemente all’aria, disse, “Tana salvi tutti, signori. So che mi state
seguendo da quando sono uscito dal parcheggio. Chi siete, e come mai odorate di
lupo?”
“Forse perché lo siamo, Ilya
Dubromovitch Skorzorki…O preferisci essere chiamato Volk?”
Solo due persone lo
chiamavano ancora così: una aveva deciso di lasciarlo in pace. L’altra lo
avrebbe perseguitato fino alla fine del mondo se necessario.
Decisamente, la vista di un
branco di mannari in costumi ed armature andava oltre la sua più fervida
immaginazione. Lo stuzzicadente cadde dalle labbra di Volk.
Il branco si fermò in cerchio
intorno a lui. Sir Wulf venne avanti, presentandosi. “Abbiamo fatto molta
strada per te, Ilya. Sappiamo tutto di te, e in virtù di quello che sappiamo
vogliamo offrirti un posto nel nostro branco.”
Volk strinse gli occhi. Anche
prima di essere sottoposto all’esperimento che avrebbe fatto di lui un
licantropo[xxiv], era il migliore degli
agenti del KGB, dotato sia di una capacità unica di concentrarsi
sull’obiettivo, sia di una mente molto aperta, analitica ed adattabile. Questo,
unito a quello che i suoi sensi gli stavano trasmettendo, gli fece capire che
era ben sveglio e che, improvvisamente, si trovava di fronte ad un bivio che
era sicuro non gli si sarebbe più presentato…
Gli venne istintivo, di
chiedere cosa significasse tutto questo. E, ancora una volta, Sir Wulf spiegò
tutto quello che c’era da sapere sul Popolo e gli scopi del Power Pack. E
quando ebbe finito, Volk disse, “Intrigante…” e lo intendeva davvero. Da quando
si era offerto volontario per quell’esperimento, superata la fase di
ubriachezza da potere, aveva desiderato vivere da lupo, in pace con il resto
del mondo…
Ma il resto del mondo la pensava
diversamente. E da lupo, Ilya Skorzorki aveva vissuto ancora una volta da
fuggiasco, concedendosi delle ‘distrazioni’ come la capatina al 131 per
sistemare i bracconieri che invadevano il suo territorio…
Ed ora aveva la possibilità
di dare non solo una svolta alla sua vita, ma di continuare a perseguire il suo
obiettivo di difendere i lupi dei quali ormai si sentiva fratello! Questo
Thulsa Doom era, per quanto lo riguardava, solo un altro lavoro… “Signori,
avete appena guadagnato un nuovo lupetto. Quando si comincia a fare rotolare
qualche testa?”
Una mano guantata di pelle
nera fu avvolta in una ferma zampona grigia, a suggello…
Da qualche parte nella
Louisiana
Secoli addietro, questa era stata
una zona fertile e rigogliosa. Quando i coloni dall’Europa arrivarono, non
esitarono a trasformare una generosa porzione di questa foresta in un
insediamento urbano. Il futuro prometteva bene, per loro.
Poi, era arrivato un
terremoto. Un evento di tale potenza da fare cambiare il corso del vicino
fiume. Un terremoto tale da sollevare il terreno, isolando la comunità -o
quello che ne restava, dall’acqua. Certo, non si trattava di un danno
irreparabile, ma la comunità era stata colpita troppo profondamente, svilita
dalla forza di madre natura.
La gente se ne andò. L’area
colpita dal sisma iniziò a diventare una palude. Di un villaggio ormai
dimenticato rimaneva solo lo scheletro di una chiesa, una piccola ma robusta
struttura in pietra, dalle cui finestre vuote i rampicanti pendevano come
strane lacrime.
Per quanto curioso potesse
sembrare, la chiesa, non essendo mai stata sconsacrata, era ancora un valido
luogo di culto.
Il che andava benissimo per
la sua unica abitante.
Indossava un abito da suora,
un’assurda macchia di pulito in mezzo al terreno moribondo. Ed era sola,
lontana decine di chilometri dall’essere umano più vicino. I suoi soli amici
erano la vegetazione e la fauna locale. Era appena una ragazza.
Stava lì, in ginocchio, di
fronte al moncherino dell’altare. Una macchia di vegetazione sulla parete
dietro il moncherino ricordava, molto alla lontana, una croce.
La suora pregava in silenzio, giungendo le mani,
stringendo fra esse una piccola croce dorata. Pregava per la salute di sua
madre, pregava per la salvezza della propria anima. Pregava che le invisibili
barriere poste intorno alla chiesa continuassero a resistere.
Avrebbe dovuto essere morta.
Lo avrebbe meritato. Ma l’istinto del suo lato bestiale era più forte, e le
aveva permesso di nutrirsi. Quando non era in sé, aveva addirittura accumulato una scorta, cibo ora putrido,
puzzolente -e lei non poteva bruciarlo, non poteva gettarlo da nessuna parte.
Lo stomaco le si rivoltò
all’idea che presto si sarebbe nutrita di quella roba. Ma sapeva che la bestia
non era schizzinosa… Che ironia suprema: lei, una figlia di Dio, che avrebbe
dovuto coltivare il dono della vita, avrebbe accettato la morte, ma non osava
commettere l’ignobile peccato di darsela. La bestia, invece, voleva vivere a
tutti costi.
Per seminare il male, seminare il male, uccidere e
peccare!
“Sono pensieri sbagliati. È
falso.”
Lei si voltò di scatto! Era
impossibile, nessuno poteva sapere di quel posto!
E invece, eccoli lì: una
ragazza, ed un'altra bestia. La ragazza, appena entrata nella sua maturità,
indossava un abito sconciamente aderente, mentre la bestia indossava
un’armatura.
La ragazza fece un passo in
avanti. La suora lo fece all’indietro. “Non potete essere qui…” additò
Karnivor. “Lui non può essere qui. I
sigilli sacri…”
“Sono studiati per tenere a
bada i licantropi, non gli animali…anche se evoluti al mio stadio,” rispose il
lupo. “Ed ora perdonami, Sorella Ursula. Ma non c’è tempo per le spiegazioni:
non qui.” Toccò la mente della donna con la propria…e quasi ci rimase secco!
Riuscì solo ad emettere un flebile uggiolio, prima di crollare in ginocchio -il
Consiglio li aveva avvertiti, lei era forte,
ma fino a questo punto..!
“State indietro!” lei brandì
la croce. “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, non osate
avvicinarvi! Lui mi proteggerà!”
Rahne aiutò Karnivor a
rimettersi in piedi. “Dobbiamo tentare un approccio diverso…io lo so, so cosa
sta passando!”
“Il tempo è quello che non
abbiamo,” ringhiò il maschio. “Ma su una cosa hai ragione, è ora di un approccio
diverso.” Si concentrò, focalizzò la sua attenzione sul suolo sotto i piedi
della suora. Un colpo telecinetico, non diretto a lei, ma al pavimento sotto di
lei, le fece perdere l’equilibrio, scivolare all’indietro…
E cadere. Sbatté la testa,
perdendo subito conoscenza. A quel punto, il super-lupo sollevò il corpo
inerte. Rahne lo guardò con rabbia.
Lui disse solo, “Non ti
preoccupare. A quest’ora, il suo fattore di guarigione avrà già riparato il
trauma. E ora, muoviamoci. Il tempo stringe.” In un lampo di teletrasporto,
scomparvero…
Episodio 15 - Nuovi
cacciatori (II parte)
Distretto dei Magazzini, West Side Manhattan, New York City
Ironia, o semplice
conseguenza dell’inossidabile lassismo burocratico? Fatto stava, che gli
antichi, caratteristici edifici di questa zona della Grande Mela, avevano quasi
tutti resistito ai molti piani di ristrutturazione edilizia. A quelli, nonché
alla Guerra dei Mondi, e al più
recente Inferno2.
Questi due eventi, uniti alla
paura degli attentati terroristici, avevano ora trasformato il Distretto dei
Magazzini frontespiciente il Fiume Hudson
in un deserto. I passanti erano pochissimi, sia di giorno che di sera, ed i
soli ad avere vita facile erano i poliziotti di pattuglia.
La creatura percorse quelle
strade velocemente, con appena un ticchettare di artigli sul cemento e
l’asfalto. Correva da un’ombra all’altra, concedendosi appena il tempo
necessario ad analizzare i dintorni con i suoi acutissimi sensi ad ogni
intervallo.
Il suo percorso poteva
apparire erratico, ad un osservatore casuale; ma la sua destinazione non era
scelta a caso.
L’essere arrivò davanti a una
porta blindata, l’unica cosa nuova in quel palazzo così familiare, saturo di
ricordi umilianti...
La porta era chiusa, e tenuta
in tale stato da due giri di solide catene intorno alle maniglie. In
alternativa a un buon scassinatore, una lancia termica avrebbe avuto ragione
del metallo -ammesso di volere correre il rischio di perdere tempo per un
interno abbandonato.
Terza opzione: buona,
vecchia, superforza. Un paio di mani artigliate, coperte di candida pelliccia,
afferrò le catene e, con una minima pressione, il metallo fu spezzato come
carta. Solo una specie di schiocco metallico tradì quell’azione, ma nessuno si
fece tradire ai sensi dello straniero.
Entrò, richiudendo
accuratamente la porta.
Dentro era buio, ma ai suoi
occhi d’ambra era sufficientemente chiaro. Le sue orecchie triangolari
fliccarono di riflesso verso lo zampettare dei ratti. Il nero tartufo si dilatò
e contrasse -nonostante il sovrapporsi di nuove fragranze, i vecchi odori erano
rimasti, nella segatura, nella polvere e nel legno delle casse.
La creatura procedette fra i
corridoi di pile legnose, ripercorrendo adesso ogni passo come lo percorse
allora...Quasi quasi, sarebbe stato divertente spogliarsi, per poi mettersi a
ringhiare, giocare al ‘selvaggio’ e ripercorrere fino in fondo la sciarada...
Ma quelli erano altri tempi.
Allora, lui era solo un bruto per autosuggestione, ed aveva solo la sua forza
fisica su cui contare.
Non solo oggi era, in tutti i
sensi, migliore, ma era per motivi ben più seri ed urgenti, che era giunto qua.
Se non fosse riuscito, ci
sarebbe stato un inferno ancora più terribile di quello appena trascorso, da
pagare, per il mondo...
L’odore dell’altro si fece
forte, tradendone la presenza.
Come allora, una mano umana
tirò una cordicella. Come allora, si accese una semplice lampadina ad
incandescenza, proiettando un cono intenso proprio sulla creatura.
Come allora, una voce disse,
“Benvenuto, John Jameson. Non
guardare dietro di, poiché non sono
più lì.”
L’altro saltò su una pila di
casse, una figura in un aderente costume blu e rosso, dotato di ‘ali’
ascellari. “Sono invece qui.
“Confuso? Eccellente, perché era esattamente così
che ti volevo, amico mio...E ora, guarda sopra
di te, uomo-lupo. Guarda, e incontra il tuo padrone.”
Lui, un uomo-lupo dal pelo
bianco dai riflessi azzurrini, vestito di un’armatura smeraldo e oro con un
largo spacco che andava dal collo alla cintura. Alle braccia, portava bracciali
dorati con una lama dorsale; alle gambe, stivali verdi a larghe falde, che
lasciavano scoperte le punte dei piedi. La sua folta coda si agitò leggermente.
Un corto ringhio gli sfuggì dalle fauci.
L’altro si stagliò nel cono
di luce -un uomo dai capelli neri, esaltati maggiormente dalla pelle color
gesso. Il naso era corto e curvato all’insù in una macabra, perenne smorfia. I
suoi occhi erano rosso-sangue, dalle pupille a fessura, e bordati di nero. E la
sua bocca era irta degli aguzzi canini di un vampiro!
“Insieme, formeremo un gruppo formidabile, mio lupino amico.
Tu, il minaccioso Uomo-Lupo...Ed io,
Michael Morbius. Il Vampiro Vivente!”
E sia chiara una cosa, caro
lettore: non sei finito in un episodio di Knights
Team 7.
Striker’s Island, New York
Come malasorte voleva, era
una brutta giornata! Il mare fra l’isola e la costa prometteva poco bene, e le
nuvole in avvicinamento promettevano ancora peggio!
Ma il dovere non attendeva, e
il traghetto per il trasporto dei prigionieri procedeva verso il suo
appuntamento.
A bordo, le due guardie
armate stavano decidendo se mettersi a vomitare per il mal di mare o prima picchiare
il prigioniero responsabile di quella missione ‘urgente’.
Il prigioniero era un
ragazzo, un anonimo disgraziato che aveva toccato il fondo della vita.
Tossicodipendente, ubriaco, perenne vittima di un tremito alle mani a causa
della roba che aveva bevuto e sniffato. Le manette erano decisamente una
precauzione superflua: non avrebbe saputo fare del male ad una mosca, nelle sue
condizioni. Anche perché aveva paura
di liberarsi -da questo punto di vista, era il prigioniero modello. Potevano
fargli qualunque cosa, e lui non reagiva, non implorava avvocati o clemenza. La
sua sola fortuna era di non essersi beccato un accenno di AIDS in tutto questo
tempo.
Era finito in carcere anni
fa, con l’accusa di spaccio e detenzione di droga -e mica la quantità minima, o
roba ‘leggera’, se era per questo. No, lui possedeva la neve buona, ne aveva
una vera e propria scorta, rubata, per sua stessa ammissione, un po’ alla volta
dai fornitori. Lui ne prendeva la maggior parte, e un minimo lo mescolava a
qualche schifezza per vendere senza destare sospetti. Era il sogno di ogni
detective della narcotici!
Incuriosiva non poco il fatto
che, nonostante si fosse sparato in vena della roba non tagliata, fosse ancora
abbastanza lucido da camminare e respirare. E non era un mutante! Forse era per
questo, che un qualche medicunzolo di grido lo voleva su un lettino. Su un
soggetto del genere c’era da farsi qualche voto alla facoltà di qualche
diavoleria cerusica.
Quello che importava era che
l’ordine di trasferimento era valido.
Finalmente, la nave arrivò in
porto. Come da prassi, ad attendere c’era un’ambulanza (blindata) e la sua
scorta.
Le guardie portarono il
prigioniero fuori dalla barca -cioè, quasi lo trascinarono, visto che lui
tentava, debolmente, di resistere.
Le guardie di scorta
all’ambulanza si avvicinarono ai loro colleghi del carcere. “Vi ha dato
problemi?”
“Nahh, il nostro Johnny Lamb
non farebbe male a una mosca.” Essendo assolutamente privo di qualunque
documento, e non avendo una fedina penale sporca prima del suo arresto, lo
avevano battezzato come l’ennesimo ‘John Doe’; presto, quel ‘Doe’ era diventato
‘Lamb’, data la sua mitezza.
Mentre una guardia caricava
il prigioniero sull’ambulanza, l’altra porgeva al collega i moduli da firmare.
“Dite a quei figli di baroni di non maltrattarlo troppo. Sono in molti che
sentono già la sua mancanza.” Ridacchiò
L’altra guardia ricambiò con
un sorriso di comprensione. Firmò e restituì i moduli. “State tranquilli. Lo
tratteremo con molto rispetto.” Detto ciò, se ne andò alla macchina.
Le porte furono chiuse. Un
momento dopo, i veicoli partirono.
Il prigioniero non sarebbe
mai più tornato a ‘casa’.
New York
“Morbius,” disse l’uomo-lupo,
“non ti stai più rivolgendo al mio selvaggio alter-ego, ma a Stargod, protettore di Altro Regno e detentore della Godstone.” Si riferiva alla gemma
perfettamente rotonda incastonata nell’elaborato collare pendente d’oro.
“Più potente ancora?” replicò
il vampiro vivente, accentuando il suo sorriso. “Meglio. Con il tuo aiuto,
saprò…”
“Stai vaneggiando, Michael,”
fu la quieta risposta, anche se la voce del Dio era comunque pronunciata con un
tono profondo da fare rabbrividire un uomo. “Il tuo corrente stato, le tue
memorie, tutto è indotto dai naniti
che infettano tanto il tuo corpo quanto il mio. Sei uno scienziato, sai di cosa
sto parlando.”
Morbius abbandonò la sua
espressione trionfale, e sembrò vacillare, per un momento.
Per un momento. Con un sibilo
orrendo, Morbius si gettò contro la sua vittima! Il suo sguardo era maniacale,
decisamente meno lucido rispetto al loro ultimo scontro!
Stargod non dovette fare
altro che accoglierlo con un sonoro manrovescio. Questa volta, i rapporti di
forza erano invertiti, e fu Morbius a precipitare fra le casse.
“Sei disposto ad ascoltare,
adesso?” chiese l’uomo-lupo, dopo che la polvere si fu depositata.
Morbius emerse dal cumulo. Si
portò una mano alla fronte, lo sguardo rivolto verso il basso. “Naniti..? Io…Di
che stai parlando?”
In risposta, Stargod proiettò
il ricordo di quella notte fatale[xxv] nella mente di Morbius.
Quella notte, in cui un uomo disperato, alla ricerca di una cura alla sua
condizione aveva ‘assunto’ Man-Wolf per assicurarsi di riuscire senza debite
interferenze.
Allora, appunto, John Jameson
era preda del suo lato oscuro, incapace persino di parlare. Morbius lo aveva
attirato in trappola, e lo aveva piegato alla propria volontà…mordendolo. Nel
prelievo di sangue, Morbius aveva sì inserito in Man-Wolf un enzima che
permetteva di esercitare un controllo mentale…
Ma aveva, altresì, ingerito
una parte dei naniti che, sotto forma di spore, John Jameson l’astronauta aveva
contratto durante una passeggiata spaziale!
Naniti rimasti allo stadio
sporale, insufficienti ad esercitare un effetto visibile…fino a quando
l’Inferno non li aveva, evidentemente, attivati e in qualche modo potenziati!
Morbius vide quei ricordi con
una chiarezza terribile. E, se possibile, divenne ancora più pallido.
“Io…ricordo…”
L’uomo-lupo tese una mano, il
palmo verso l’alto, un gesto di aiuto. “Queste cose infettano entrambi noi,
Morbius. Lascia che te li estirpi, o questa volta nessuna cura potrà liberarti
da questa maledizione.”
Morbius sospirò. “E le
persone che ho morso in tutto questo tempo? Ho trasmesso anche a loro..?”
Stargod scosse la testa. “No.
I naniti si collegano al sistema nervoso centrale e a quello endocrino.
Diventano pienamente operativi solo a fronte di una grande iniezione di
potere.”
“Come la tua pietra?” era
evidente che lo scienziato stava riemergendo. Adesso il suo sguardo tremava; la
sua condizione pseudo-vampirica alterava quelli che erano i normali
bio-parametri, e John non poteva ‘annusare’ una sua menzogna...Ma se non si
fidava adesso…
La voce di Morbius aveva preso
a tremare. “Dio…Ho attaccato il mio amico, Connors[xxvi]..!
Ho desiderato il suo sangue!”
John lo strinse in un
abbraccio confortante. “Michael…So cosa provi, credimi. Io stesso ho passato
questi momenti, giorno dopo giorno, per così tanto tempo…Lascia che ti aiuti,
ora. Fra i Vendicatori e l’Uomo Ragno, potremo*urk!*”
La variazione nell’odore e
nel calore corporeo era giunta ai suoi sensi troppo tardi. La testa era
scattata alla velocità del fulmine, ed ora le zanne di Morbius stavano bevendo
direttamente dalla giugulare di Stargod! Due rivoli paralleli, osceni, di
sangue chiazzarono il pelo…
L’ambulanza e la sua scorta
abbandonarono la strada principale, proseguendo lungo un percorso che la portò
nelle zone normalmente meno trafficate. A quell’ora della notte, non c’era
anima viva, tranne i barboni che tentavano di dormire lungo i marciapiedi ed i
tossici: nessuno di cui preoccuparsi in caso di testimonianza.
I veicoli svoltarono una
curva, sottraendosi alla vista del poco traffico della strada principale. I
‘testimoni’ udirono i suoni dei motori e degli pneumatici scomparire dietro
l’angolo…poi, più nulla. E se qualcuno avesse deciso di andare a vedere, quel
qualcuno avrebbe semplicemente constatato che i veicoli erano scomparsi dalla
faccia della Terra.
Letteralmente.
Se prima non era all’altezza
del suo avversario, ora Morbius stava acquistando potenza ad ogni sorso. La sua
presa acquistava forza, mentre la resistenza di Stargod sì indeboliva…
Questa volta, non ci
sarebbero state finezze, da parte del vampiro -o, meglio, da parte
dell’intelligenza aliena che lo controllava. Non appena i naniti nel sangue di
Stargod avevano contattato quelli nello scienziato, lo scambio di informazioni
aveva reso chiaro che il metodo di esecuzione del piano originale doveva essere
modificato.
Lo scopo dei naniti era di
diffondersi, come un virus organico, attraverso la forma di vita dominante, ma
John Jameson si era rivelato troppo caparbio. Morbius non solo era
controllabile, ma attraverso la sua ‘sete’, la diffusione sarebbe stata
perfetta., una volta riprodottisi a sufficienza nel suo corpo…
L’importante era, adesso,
effettuare il trasferimento completo, ed era solo questione di pochi secondi…
FATTO! Morbius lasciò
l’uomo-lupo, che crollò a terra; sembrava a un passo dal tirare le cuoia,
riusciva a stento a tenere sollevato il busto, ed ansimava. Il collo,
all’attaccatura con la spalla, era impregnato di sangue, anche se la ferita
vera e propria stava già rimarginandosi.
Morbius, per conto suo, aveva
già quasi raddoppiato le proprie dimensioni fisiche. I naniti, potenziati da
anni di simbiosi con Stargod, stavano già adattando il vampiro vivente. I suoi
contorni già erano diventati tremolanti, e delle stelle erano visibili sulla
sua figura. Gli occhi brillavano di energia.
“Sei caduto in pieno nella
trappola, come volevamo,” disse la cosa-Morbius. “la tua nobiltà d’animo sarà
la tua fine, John Jameson. Appena la simbiosi sarà completa, tu sarai il primo
a cadere, e la tua gemma ci renderà invincibili!”
l’essere avanzò verso il lupo. I suoi canini erano di pura luce, adesso. “Non
puoi fare nulla per fermarci. Prova pure ad usare la Godstone, nutrici del suo potere!”
In una località sconosciuta,
al sicuro da sguardi indiscreti, i quattro lupi mannari, gli ultimi
dell’originale stirpe che per prima camminò per la Terra, assistettero
soddisfatti a quell’inaspettata visita.
“Possiamo considerare questo
sviluppo come una valida base per un compromesso, Sire?” chiese il maschio
bianco, comunemente chiamato l’Anziano. Parlò con lo sguardo rivolto allo
Scrying Smoke, ma con le parole rivolte a ben altro individuo.
Rivolte, per la precisione, a
una quinta figura nella stanza in pietra. Una figura umanoide che, nonostante
fosse quasi indistinguibile dalle ombre dell’ambiente, torreggiava fin quasi al
soffitto. Nell’oscurità, un occhio umano avrebbe potuto distinguere appena i
contorni di un ampio saio, e il riflesso di una cintura metallica. E non
avrebbe mancato, lo spettatore, di percepire una sensazione cupa, opprimente,
come se ogni vitalità del suo spirito fosse stata risucchiata, annichilita.
Una sensazione che la sola
presenza del sinistro Re del Dolore
tendeva a provocare.
“A differenza del mio
‘collega’, Mefisto,” rispose
l’entità, con una voce dolce, eppure echeggiante di qualcosa di pauroso, “sono
disposto ad adattarmi alle nuove esigenze.
“La vostra richiesta è
prevedibile, Consiglieri, e l’approvo: datemi le anime che periranno sotto i
vostri colpi, in questa battaglia, e vi darò il pezzo che mi chiedete della mia
collezione.”
La nera femmina, Kurrja, levò
una mano, e una sfera di luce apparve in essa. La sfera si staccò dal palmo
calloso, e si diresse nell’esile mano del Re del Dolore.
“Il patto è sottoscritto,”
disse Kurrja.
La femmina rosso-sangue, la
cui testa era coperta da un ampio cappuccio, disse allo schermo di fumo, “Power
Pack, avete il nostro esplicito consenso ad esaudire la richiesta di aiuto di
Coyote. Tuttavia, che tale richiesta non esautori le vostre forze. Buona
caccia.”
La ferita era guarita. E
Stargod, fissando Morbius negli occhi...sorrise. “Parlando di trappole, temo
che sia stato tu a commettere un
grave errore di valutazione, alieno.”
Morbius fermò la sua
avanzata. “Cosa?”
Stargod si rimise in piedi.
“Era mia intenzione farmi mordere da
te.
“Il solo limite al pieno uso
della Godstone era il timore di essere completamente posseduto da te. Adesso,
per quanto potente tu sia, non hai scampo contro la mia piena potenza.”
A quell’ultima frase, la
cosa-Morbius, ormai quasi completamente trasformato in una finestra vivente,
rise. “Davvero? Un conflitto diretto fra noi distruggerebbe l’intera città, e
noi sappiamo bene quanto tu valuti la vita degli innocenti. Sappiamo come pensi, John Jameson, sappiamo che temi
di usare appieno un potere così grande!” E per provarlo, levò una mano
artigliata e crepitante di energia. Un colpo solo, e… “WAAARRGH!”
Archi voltaici azzurrini
percorsero il suo corpo in una danza frenetica e letale per ogni essere umano.
Nel caso di Michael Morbius, quella cruda energia elettrica fu più che
sufficiente a donare un bello choc ai naniti -esattamente come successe tempo
prima a John, quando l’Uomo Ragno
adottò quella ‘cura’ su di lui…
Finalmente, dopo un
interminabile minuto di quella tortura, l’effetto-campo stellare svanì, e quello
che si accasciò fu…un ordinario vampiro vivente?
“Mi sembri perplesso…Ho
sbagliato qualcosa?” disse una voce dal nulla. Poi, l’aria tremolò, ed assunse
l’aspetto e la consistenza di un drago
antropomorfo, una creatura dalle eleganti scaglie azzurre corazzate e una
coda prensile. La sua testa era decorata da un paio di corna piegate
all’indietro, candide come la cresta che correva fino alla coda. La sua mano
ancora brillava della corrente da lui generata.
Stargod scosse la testa,
tenendosi a distanza di sicurezza da Morbius. “No, Max, hai fatto esattamente come ti avevo chiesto…Solo che Michael
doveva tornare allo stato umano, come successe a me[xxvii].
Invece, in qualche modo, i naniti continuano ad operare…”
Non ebbe finito di dirlo, che
sia lui che Max avvertirono come una pressione mostruosa al cervello. Fu tutto
quello che poterono fare, prima di perdere i sensi -semidei o no, anche il loro
cervello doveva essere sensibile ad un micro-attacco ad alta gravità!
“Ti professi astuto, Stargod,
e non sei in grado neppure di comprendere la vera potenza del tuo nemico,”
disse Morbius, alzandosi in piedi, di nuovo trasformato in campo stellare
vivente. “Questo errore sarà il primo passo verso la nostra vittoria. Da troppo
tempo abbiamo aspettato di compiere
la nostra missione, e voi avrete l’onore di essere i primi a realizzarla!”
“Allora, dovrai continuare ad
aspettare,” disse una terza, profonda voce…alle sue spalle!
Si chiamava Umbra, ed allo stato attuale era la più
grande e sofisticata macchina in orbita intorno alla Terra. Protetta ad ogni
sensore da un dispositivo di sfasamento cronale, era come se non esistesse.
“Se non lo stessi vedendo con
i miei occhi…” la ragazza sospirò. Passò una mano sul cristallo dell’oblò. “Non
mi sembra possibile. Come possono delle bestie arrivare a tanta perfezione?” Si
voltò, reprimendo a stento un brivido di paura, alla vista del lupo
antropomorfo rosso in armatura.
La creatura la guardava
chetamente, con quella placida intensità che solo un lupo possedeva. “È vero,
un lupo naturale non potrebbe aspirare a tutto questo…ma il mio compagno, come
me, è stato potenziato dalla tecnologia di un uomo. Ma anche i lupi mannari,
che tua madre ti ha insegnato a disprezzare, sono capaci di vivere come persone
civili e non solo come bruti sanguinari.”
La ragazza nota come Sorella Ursula aveva accettato di farsi
togliere l’abito talare, in favore di un sobrio completo femminile. Sembrava
uscita da un ritratto vittoriano, ma se si sentiva a suo agio così, non sarebbe
stata costretta ad indossare qualcosa di diverso. Ursula strinse la croce al
collo con una mano. “Il Diavolo è capace di distorcere la verità molto bene,
animale. Non mi condurrai in tentazione.”
Fu la volta di Sir Wulf di sospirare. “Abbiamo
preferito lasciarti da sola, in attesa di presentarti il branco, quando saremo
al completo. Jessica…”
“Ursula. Sorella Ursula.” Fu
la quieta ma ferma interruzione. Jessica Altmann era il nome di una vita di
perdizione, il nome della ragazza incapace di resistere al Diavolo. Diventando
Sorella Ursula, aveva accettato di gettare via quella vita!
Wulf le si avvicinò. “Sorella
Ursula, i licantropi non sono figli del Diavolo, anche se mentirei dicendoti
che non ci sono i pervertiti dal male fra di loro.
“Tu non sei corrotta; sei
solo dotata di un dono meraviglioso.”
“Io…divento una bestia
rabbiosa, quando…cambio…” la cosa le era così vicina che lei poteva quasi
contarle i peli del muso. Da una parte, era sicura che il cuore le sarebbe
esploso dalla paura. Un’altra parte di lei pregava per la salvezza della sua
anima solo per stare dando ascolto a quelle parole…
…Ma una parte di lei era
curiosa. Era sorpresa, sorpresa di vedere un atteggiamento così pacato in una
simile creatura. Qualcosa dentro di lei si sentiva come…al sicuro. Avvertiva la
superiorità di lui, la sua confidenza, e voleva tanto farsi proteggere…
Ursula rinnovò la forza della
sua preghiera. Chiuse gli occhi. Il Diavolo, il Diavolo, il Diavolo…
“Apri gli occhi.” E lei
obbedì. Vide una mano pelosa stesa verso di lei, con il palmo rivolto verso
l’alto. Vide i cuscinetti sul palmo e le dita. “Prendila,” disse Wulf.
Lei stese la sua mano. Era
così minuta, di fronte a quella zampa. Credeva di incontrare un arto calloso,
irsuto, e si scoprì a toccare una carne muscolosa, ma sorprendentemente morbida.
E la pelliccia era soffice, tiepida…
Lui usò l’altra mano per
sfiorarle una guancia. Il contatto le mandò come una scintilla elettrica sul
volto, ma era…piacevole.
Wulf era soddisfatto: la
cucciola era talmente confusa, ad un livello razionale, che stava finendo con
l’obbedire ai suoi istinti. Lo percepiva come il maschio alfa, e quella
percezione era la sua sola isola di stabilità in una vita così tormentata da
fare sembrare i problemi di Rahne come sciocchezze. Rahne aveva sofferto molto
per mano di suo padre, ma non aveva mai saputo che Craig Sinclair lo fosse.
Jessica, invece, era perseguitata dalla sua stessa madre, e c’era da
scommettere che se non fosse stato per il fattore rigenerante, sarebbe già
stata morta per i supplizi fisici. Poveretta! Isolata in un eremo in una
palude, condannata ad una vita di solitudine ed alla morte per fame…
“Abbiamo bisogno di te,”
disse il lupo. “Non sarà una vita facile, ci sarà da combattere e soffrire…ma
ti posso promettere che il branco sarà la tua famiglia. Ti proteggeremo e ti
ameremo come una sorella. Con noi, potrai essere libera, e noi non ti
abbandoneremo.” Così tante altre cose avrebbe voluto dire, ma era come
camminare sulle uova. Che lei lo avesse ascoltato fino a questo punto, era già
molto.
“Perché..?” la voce le
tremava. Stringeva la mano di Wulf fino a quasi sbiancarsi le nocche. “Perché
avete bisogno di me? Se non siete demoni, chi siete? Io...” Poteva ancora
rinnegarli, poteva ancora rifuggire al richiamo del peccato! Non voleva perdere
la sua anima immortale!
Poteva restare sola. Fuggire,
e fuggire ancora, da tutto e da tutti. Restare da sola.
Poteva ucciderli! Sì, poteva fingere
di accettare, per ucciderli tutti! Forse era questo che Dio voleva: metterla
alla prova!
Lui non era malvagio, non si
stava comportando male!
Il Diavolo! Il Diavolo
menzognero e mutaforma, che parla col miele per farti bere il veleno!
Qualunque cosa Sorella Ursula
stesse per dire, fu messa a tacere da una mossa inaspettata del lupo: Sir Wulf
si chinò in avanti e l’abbraccio! Una presa tenera, che non si impose su di
lei, ma che ebbe ugualmente un effetto devastante sul suo guscio interiore: fu
comunicazione senza parole, pura. E lei ne fu letteralmente sommersa, sommersa
dalla tenerezza, dall’odore, dal senso di fiducia che le stava trasmettendo. E
lei voleva credere, ne aveva bisogno…
“Non sarai mai più sola,”
mormorò lui.
Fuori dall’oblò, spuntò la
Luna. La trasformazione giunse come un’ondata e lei l’accolse con gioia.
La lupa spalancò la bocca in
un ululato che conteneva tutta la frustrazione del mondo. E pianse, pianse a
lungo, aggrappandosi al suo capobranco come ad uno scoglio.
La cosa-Morbius avrebbe
potuto permettersi di ignorare quell’essere apparentemente risibile -un altro
licantropo, anche se di apparenza decisamente selvaggia. Pelliccia rossiccia,
corta, ruvida, con una folta criniera bionda e un collare pure biondo. La testa
era coperta da una bandana nera. La canottiera nera ed i pantaloni erano
aderenti sul suo corpo enorme, al punto che avrebbe potuto comodamente essere
nudo. Le zanne erano sproporzionate, sporgenti, come sciabole.
Il nuovo arrivato, agli occhi
di Morbius, brillava di energie mistiche! Più di quante ne avesse registrate
nello stesso Arisen Tyrk!
Se la cosa avesse avuto un
minimo di buon senso, avrebbe ignorato il nuovo venuto, vicina com’era al suo
obiettivo…Sfortunatamente, i naniti esistevano ad un solo scopo, la
contaminazione. E, per loro, il nuovo arrivato era un esemplare in piena forma,
perfetto per iniziare a spargerla!
In breve, Morbius attaccò!
La risposta fu altrettanto
veloce. Il braccio del licantropo scattò, così veloce che quasi non lo si vide
muoversi. In compenso, gli squarci che apparvero sul petto di Morbius furono
visibili eccome! Ferite, nelle intenzioni, letali. I naniti ricostruirono lo
squarcio quasi istantaneamente -per come erano strutturati e programmati, la
contaminazione doveva avvenire esclusivamente per trasmissione da organismo ad
organismo, e non per aerosol. Ogni dispersione era tassativamente da evitare…
Consapevole o no che fosse di
questo fatto, tuttavia, lo straniero non intendeva concedere tempo a Morbius per
riprendersi. Questa volta, entrambe le braccia saettarono, colpi imbevuti di
forza fisica ed energia magica. Energia contro cui il vampiro vivente,
trasformato dalla tecnologia, poco poteva -o, meglio, poco poteva senza avere
il tempo necessario ad elaborare una difesa. E, intanto, gli squarci si
moltiplicarono, sul torace, sul volto, sulle braccia…
Poi, successe l’inaspettato:
la cosa-Morbius urlò -il suo corpo si
irrigidì, e getti di materia brillante eruttarono dalla bocca spalancata, dalle
orecchie, dal naso e dagli occhi. Getti che confluirono in uno solo, per poi
assumere una forma sferica. La sfera fasò attraverso una parete, e della sua
presenza non restò traccia.
L’intero processo era durato
una manciata di secondi, e, alla fine, quello che rimase di un mostro fu un
essere umano molto debilitato, e molto nudo.
Michael Morbius si accasciò
fra le braccia di uno stupefatto licantropo. Dietro di loro, Stargod e Max
stavano riprendendosi. Avrebbero avuto un mal di testa folle, per un po’, ma
erano ancora vivi. “Unnh, cosa..?”
“…è successo? Non lo so,”
rispose lo straniero. “Ma mi basta che la minaccia sia stata debellata.”
I due difensori di Altro
Regno si misero in piedi. “Sembra che ti dobbiamo la vita…Chi sei?”
“Mi chiamo Kody. E sono qui perché qui mi ha
condotto il Pozzo del Destino…Ma è
una storia lunga[xxviii]. Dimmi, Stargod, sei un
membro del Power Pack?”
Il dio scosse le orecchie,
perplesso. “Non so di cosa tu stia parlando…”
“Allora lascia che sia io, a dare le spiegazioni,” disse una
voce che Kody conosceva bene. Tutti e tre si voltarono a guardare
verso l’Anziano, solenne
nella sua tonaca, le braccia nascoste nelle maniche. “Dunque, hai fatto la tua
scelta, Kody. E sappi che il Pozzo del Destino ti ha guidato bene, perché
grazie a te, ora il Popolo ha un futuro. Siamo fieri di te.”
John vide Kody cadere su un
ginocchio, in reverenza. E, doveva ammetterlo, lui stesso provava lo stesso
impulso: era come se una parte di lui conoscesse
quel maschio, come se si trovasse di fronte al patriarca della famiglia, una
figura antica e saggia, autoritaria.
L’Anziano si voltò a
guardarlo dritto negli occhi, spingendolo ad abbassare le orecchie. “Percepisco
il tuo turbamento, John Jameson...Ma dovrai mettere da parte le tue domande,
per ora. Qualunque risposta, adesso, non farebbe che interferire con il tuo
corrente ruolo, che a sua volta è legato
a doppio filo al destino del Popolo.
“Sappi, se questo ti può
essere di consolazione, che i lupi mannari sono molto più numerosi ed
organizzati di quanto tu possa immaginare, ed il Power Pack è il gruppo che li
difende dalle forze loro nemiche. E che dalla tua purificazione dall’infezione
aliena un nuovo campione ingrosserà i ranghi del Pack.
“Ora torna da coloro che
hanno bisogno di te. Un giorno, avremo modo di rincontrarci. Ed allora, avrai
le tue risposte.”
L’Anziano non mosse un dito,
ma i suoi occhi si misero a fiammeggiare. Un momento dopo, una fitta nebbia verde, densa come sciroppo,
venuta dal nulla, animata di vita propria, avvolse sia l’Anziano che Kody.
E quando il processo fu
completo, essa si dissolse, lasciando Stargod, Max ed un inerte Morbius da
soli.
Drago e lupo si scambiarono
un’occhiata molto perplessa...Ma sapevano
anche che, stando le cose come stavano, arrovellarsi il cervello era pressoché
inutile. E che Altro Regno aveva
bisogno di loro.
Giusto il tempo di consegnare
il povero Morbius ad un ospedale...
Manhattan, New York
L’azienda era conosciuta come
le Lobo Technologies. Il suo scopo,
la ricerca tecnologica compatibile con le necessità dell’ambiente. Una delle
tante aziende che operavano nel sottobosco industriale, capace di minare gli
interessi di alcune ‘grandi’, ma mai abbastanza da rappresentare una minaccia
al sistema
Uno stato necessario, vista
la peculiare natura dei suoi padroni…
“La sua offerta è
davvero…generosa, Sig. Thran. Tanto
generosa, da risultare sospetta.”
L’uomo che stava parlando era
conosciuto come Maximus Lobo, padre e
padrone assoluto della LT. Un uomo fisicamente degno del suo ruolo, una figura
imponente, alta due metri, con spalle massicce e braccia come randelli.
Nonostante la folta criniera di capelli grigi e le tante rughe intorno agli
occhi, era in una forma fisica smagliante. Si vantava spesso di potere prendere
una persona che non gli andava a genio e spezzarla in due come un grissino.
Il suo interlocutore sorrise
dallo schermo. Quando si trattava di essere pericolosi, anche se non sul campo
della forza fisica, Alexander Thran non scherzava. “Sig. Lobo, l’offerta, le
assicuro, è perfettamente legittima sotto ogni punto di vista. La Talon Corporation ha bisogno di
sub-appaltatori del vostro calibro e scopo per diffondere tecnologie innovative
e quanto più ‘etiche’ possibile.”
Lobo annuì. “Lodarmi a vuoto
non servirà a molto, tuttavia…anzi, se la mia azienda le interessa così tanto,
come mai non ho ricevuto un’offerta, fino a questo momento? E dire che altri in
questa città non sono stati sottovalutati…” non aveva neppure bisogno di
arrabbiarsi. Quella zanzara era solo un altro seccatore interessato a
interferire con la vita di Gaia, per quanto lo riguardava. Ed era fortunato a
trovarsi a casa sua, nello Zilnawa, oppure…
Thran annuì, altrettanto
sicuro di sé. “Fino ad ora, lei ha svolto un eccellente lavoro…ma qualcuno
dovrà pur gestire i suoi affari. Sa, con il suo nuovo incarico ne avrà da
mordere, mi può credere.”
Lobo spalancò gli occhi,
fredde lame grigio-acciaio. “Si spieghi meglio,” quasi mormorò, con un
minaccioso brontolio nella voce.
“Sta dicendo che il Popolo ti chiama a servirlo, Maximus
Lobo,” disse una nuova voce. In un momento, un solo istante, Lobo fu in piedi,
pronto a colpire. Non era più un uomo in doppiopetto, ma un mostro di lupo
blu-notte, dalla pelliccia folta, simile ad un grizzly infuriato con una
chiostra di zanne dai canini ed i molari sporgenti…
Eppure, era ben poca cosa di
fronte alla femmina nera che lo sovrastava. Mai Lobo, in vita sua, si era
sentito così piccolo ed intimidito di fronte a qualcuno. Dovette fare uno
sforzo fisico per resistere all’impulso di inginocchiarsi. “Chi…sei?”
“Sono Darika, del Consiglio
del Popolo. E c’è bisogno del tuo aiuto, come guerriero e creatura del mondo
della finanza umana.” Quindi, procedette a spiegare per sommi capi le ragioni
di quella chiamata…aggiungendo un particolare che fece drizzare le orecchie al
mannaro mutante.
A bordo dell’Umbra
La porta si aprì con un
sibilo, e Sir Wulf e Karnivor entrarono nel compartimento. “Dunque?” chiese il
capobranco.
Chino sul corpo di ‘Johnny
Lamb’ stava Warewolf. Il mannita teneva una specie di sonda infilata nella
carotide del ragazzo che se la dormiva della grossa. Appena la porta si chiuse,
la sonda fu ritirata.
“Le sue condizioni sono
stabili,” disse Warewolf. “Il processo di decontaminazione è ancora in corso,
ma non prenderà che ancora qualche ora. Il suo fattore di guarigione, essendo
acquisito, non può fare miracoli; i neuroni danneggiati saranno riparati, ma la
sua psiche…”
“Lo scopriremo quando sarà di
nuovo sveglio ed in forma. Di tutti i nuovi omega, lui sarà il cacciatore con
maggiori difficoltà ad inserirsi.”
“Rappresenterà un assetto
strategico importante,” disse Karnivor, accarezzandosi il mento. “Senza il libro e la maschera è umano. Un infiltrato perfetto.”
Warewolf lasciò la stanza.
Adesso che poteva permettersi di non pensare al tossico, doveva assolutamente
nutrirsi. La fame era diventata un morso insopportabile! Doveva… “Hr?”
Si fermò sui suoi passi.
Nella sala centrale, in mezzo ad un cerchio di lupi curiosi, stavano gli ultimi
due nuovi arrivi. Uno lo riconobbe attraverso il proprio database, era il
meticcio, Kody. Gli venne da rabbrividire -quel pelliccione era una mina magica
ambulante!
L’altro licantropo gli era
perfettamente sconosciuto. Pelliccia nera, media, niente coda. Muscoloso, dalle
zampe digitigrade, sottili, e le spalle grosse, la schiena leggermente curva
per garantire anche la postura quadrupede. Le sue orecchie erano eleganti,
terminanti con ciuffetti da lince alle punte. I suoi occhi erano due smeraldi
perfetti, ma freddi. Come Espectro, era nudo, se si eccettuavano delle fasce di
materiale sintetico piene di tasche a braccia, cosce e petto.
La creatura stava fumando una
sottile sigaretta che emanava un odore di menta e pino, stretta fra le labbra.
Il nuovo arrivato riusciva a rendere elegante persino un gesto così comune.
Il nuovo stese la mano. “Lieto
di conoscerti,” disse, in un inglese appena contaminato da un accento russo.
“Sono Nikolai Apocalov, per i nemici Hellwolf.”
Ora, il nuovo Power Pack era
completo…
Episodio 16 - Frammenti
(Mannari) II
Astronave Umbra, in orbita intorno alla Terra
“Bene, branco di omega. Il Consiglio del Popolo ritiene che la
vostra presenza sia indispensabile per affrontare le prove che ci aspettano.
Non intendo discutere le loro decisioni, ma prima di vedervi sul campo di
battaglia, voglio vedere come resisterete a qualche bella sessione di
addestramento qui. Fin quando il massimo che vi potrà capitare sarà di rompervi
qualche osso.”
A parlare così era il potente
Karnivor, maschio alfa e lupo
naturale potenziato dalla scienza dell’Alto Evoluzionario. Parlando, si muoveva
avanti e indietro, studiando attentamente le sette ‘reclute’ in fila davanti a
lui. Indossava la sua armatura smeraldina con mantello rosso, e un elmo a testa
di lupo stretto nel braccio. “Approfondiremo le vostre motivazioni e la vostra
determinazione dopo questa sessione, che consisterà nell’arrivare tutti d’un
pezzo dall’altra parte della stanza. Abbastanza facile, spero.”
In qualità di ultimi arrivati
ancora in attesa di integrarsi perfettamente, i sette lupi mannari erano gli
omega, il grado più basso. Questo alcuni di loro lo sapevano. Quanto ad
accettarlo…
Ø
Maximus Lobo,
variante mutante di Homo Lupus. Pelliccia blu-notte, orecchie lunghe, muso
tozzo quasi da orso, con i canini come sciabole, e braccia lunghe e nodose.
Fondatore, insieme ad un branco di altri mutanti, di una compagnia appena
acquisita dalla potente Talon Corporation.
“Io sono un alfa del mio branco, lupo: portami il rispetto che devi.”
Ø
Kody.
Giovane ibrido di un licantropo e di una strega. Membro del Circo Quentin e poi fuggiasco. Pelo
rossiccio con criniera bionda, e muso dalle zanne frastagliate come Maximus.
Per quanto lo riguardava, dopo avere visto con chi aveva accettato di mettersi,
non avrebbe osato neppure fiatare se glielo avessero ordinato!
Ø
Hellwolf.
Licantropo moscovita, ultimo sopravvissuto della sua famiglia che aveva radici
nella nobiltà purissima Russa. Pelliccia nera e corta, occhi di giada astuti
come quelli di un gatto. Come Maximus, era nudo, ma lui possedeva delle cinture
con più tasche su braccia, cosce e torso. “Per quanto mi faccia venire le
pulci, concordo con l’Americano: non siamo nati per obbedire.”
Ø
Volk. Altro
licantropo russo, ma originario della Siberia ed ex operativo del KGB.
Indossava un giubbotto rosso senza maniche sul torso nudo dal pelo grigio-azzurrino,
ed un paio di shorts di pelle lucida. Le zampe erano coperte da guanti senza
dita con il dorso metallico. Lui era un uomo geneticamente modificato da un
oscuro team sovietico ai tempi della Guerra Fredda. “Prendere ordini non è
male, se sanno darli. Ma mi diverto di più a fare il lupo solitario.”
Ø
Ferocia.
Castana, nuda con pelo marrone-rossiccio. Una lupa nativa delle montagne della
Cina, costretta ad ospitare una strega dell’Era Hyboriana. “Attento a come
parli: ho imparato a mie spese il risultato di scegliere la strada della
solitudine. Ed anche se ho avuto pessimi padroni, non intendo negare che in
gruppo si lavora meglio.”
Ø
Sorella Ursula.
Pelo rossiccio e folta criniera; indossava una croce al collo ed un succinto
body castano. Licantropa di New Orleans, aveva vissuto fino a un paio di giorni
prima in una mostruosa clausura. Lei non aveva nulla da dire…perché non sapeva cosa dire!
Ø
Nightwolf.
Un essere umano benedetto(?) da due potenti talismani impregnati della magia
del Popolo. Era nella sua forma umana, con indosso un costume rosso e nero, ed
una falce lunare crescente dorata sul petto, accanto alla ‘V’ nera del
corpetto. Sperava solo che quest’incubo finisse presto.
Karnivor, alle parole dei
‘ribelli’, annuì, fliccando le orecchie, divertito. “Le vostre obiezioni sono
notate. Ora, come un bravo branco, procederete verso la porta,” ed indicò la
porta in questione, al termine di un ampio e lungo corridoio. “Non ci sono
premi per chi arriva primo. Niente eroi solitari. Pensate ed agite insieme,
secondo la logica del branco, lasciate che il leader emerga spontaneamente,
senza voti o simili cazzate da umani. Se portate la pelliccia tutta intera alla
fine del percorso, avrete il mio rispetto. Altrimenti, Maximus, Hellwolf e
Volk, il vostro culo sarà mio. E con un capobranco, sapete cosa vuol dire.”
Lo videro voltarsi e
dirigersi verso l’ingresso. “Buona fortuna, cuccioli. Oh, è avete dieci minuti,
poi sarete squalificati.”
Karnivor uscì dalla stanza.
La porta scorrevole si chiuse. I sei mannari +1 si guardarono fra di loro.
“Tutto qui?” osò dire Kody, alla fine. È uno sche…ehi!” Le luci si erano spente
in quel momento. La stanza tutta piombò in un buio così fitto, che loro
potevano vedere solo le reciproche impronte termiche dei propri corpi…Poi, uno
strano odore si fece largo nelle loro narici…e, un attimo dopo, persero
completamente l’odorato! E, come se non bastasse, a quel punto un fastidioso
rumore di sottofondo si insinuò nell’aria; non era di per sé nocivo, ma
impediva loro di proiettare il proprio udito oltre un paio di metri. Potevano
parlarsi, ascoltarsi, ma a tutti gli effetti avevano perso tutti i riferimenti
spaziali dell’ambiente circostante!
Nella cabina di comando,
Karnivor annuì. “Devo ammetterlo: l’Alto
Evoluzionario sapeva essere una carogna, in quanto ad addestramento…del
resto, era umano.”
Al suo fianco stava Sir Wulf, il compagno di Karnivor e
capobranco insieme a lui -i privilegi della coppia alfa. A differenza di
Karnivor, il cui odio lo aveva portato alla fuga da Wundagore, la cittadella
dell’Evoluzionario, Wulf era stato un Cavaliere di Wundagore, addestrato al
massimo livello. E quella che le reclute stavano per affrontare era una
sessione da veri esperti. Il lupo fliccò le orecchie e scodinzolò. “Ammettilo,
te la stai godendo all’idea di montare quelle tre teste calde.”
Karnivor gli diede una pacca
al sedere corazzato. “Nahh, solo tu vali l’onore!”
“Privazione sensoriale. Bel
trucchetto,” disse Maximus.
Il branco si era disposto in
cerchio, istintivamente. Per quanto sforzassero i loro sensi, non andavano
oltre un paio di metri dalla loro sfera spaziale.
Nessuno vide Hellwolf
sorridere. “Non dartene pena, Americano: ho memorizzato ogni centimetro quadrato
della stanza. Se crede di farmi fesso così, quell’animale…” e detto ciò, scatto
in avanti! Il ticchettio dei suoi artigli era come una mitragliatrice sul
pavimento.
“Fesso,” sibilò Volk. Un
attimo dopo, si udì una specie di tonfo, accompagnato da un ringhio di
sorpresa. Naturalmente, la morfologia della stanza era stata cambiata. Almeno,
era chiaro che il moscovita non era abile al comando, troppo giovane ed
impulsivo. “Dobbiamo avanzare lentamente, saggiare il terreno.Raggiungiamo
Hellwolf, ed usiamo l’ostacolo come punto di riferimento.”
Avendo capito che separarsi
non era prudente, il gruppo seguì l’ex agente del KGB. Purtroppo, non appena
ebbero percorso pochi passi, si trovarono di fronte ad un altro ostacolo
-sbarre! Sbarre che scorrevano dal pavimento o dal soffitto, spinte da supporti
pneumatici, inaudibili a causa del sottofondo acustico. “Chtorj!” sibilò in Russo.
E il tempo passava…
“Ragioniamo!” era Maximus. “Non ci vogliono morti, quindi non corriamo
pericoli: perciò, basterà controllare contemporaneamente tutti gli ostacoli più
vicini, invece di andare a sbatterci contro.”
“E proponi di farlo
separandoci?” chiese Nightwolf. “Non mi pare che funzioni, giusto?”
“Dipende,” disse il nero
licantropo…un attimo prima che i suoi occhi brillassero.
Attraverso i filtri speciali,
l’interno della stanza era chiaro come il giorno. E Sir Wulf e Karnivor videro
i tracciati mentali di cinque reclute appiattirsi…per poi diventare identici a quelli di Maximus.
Nella stanza, ora c’erano cinque creature identiche a Maximus.
“Impressionante,” disse
Karnivor. “Superimposizione totale. Non solo sei omega sono stati espansi a
mente collettiva, ma sono estensioni fisiche di Maximus.” Sorrise. “Come
immaginavo, Ursula è sfuggita al potere di Maximus: la cucciola ha una forza
interiore che neppure io posso infrangere. È assolutamente pura. Mi chiedo che
altro sappia fare…”
“Trovare.”
“Porta.”
“Percorso.”
“Sondare.”
Come uno solo, cinque
licantropi ed un uomo si mossero in tutte le direzioni, la volontà di Maximus divisa
fra tutti loro. Il branco perfetto.
Da parte sua, Ursula era
semplicemente troppo spaventata per afferrare le implicazioni del potere di
Lobo. Le interessava solo uscire di lì.
La giovane mannara afferrò la
croce al collo. Signore che sei nei
Cieli, sia santificato il Tuo Nome, aiutami a trovare la salvezza da queste
tenebre… Prima di essere reclutata nel Power Pack, Jessica Altmann era
stata da sempre una suora di clausura. Naturalmente, era licantropa fin dalla
nascita, ma sua madre sperava che l’ambiente religioso sopprimesse il suo lato
animale.
Non aveva funzionato.
Nonostante un vero e proprio lavaggio del cervello che l’aveva spinta ad odiare
la lupa che era, la Luna Piena aveva ancora la capacità di trasformarla in una
furia incontrollata. Così, era stata relegata in una palude dimenticata da Dio,
nella Louisiana, isolata da mistici sigilli, e condannata a morire di fame, in
solitudine.
Non era felice della sua vita
precedente, ma certi concetti le si erano infilati in testa. Pregare in una
situazione difficile le veniva, semplicemente, naturale.
E non era la prima volta che
succedeva che funzionasse.
Improvvisamente, ai suoi occhi, le tenebre divennero luce. Il suono di
sottofondo svanì, e gli odori tornarono più vividi che mai!
Ursula si mise a quattro
zampe e corse verso l’uscita, proprio nel momento in cui Maximus a sua volta
scopriva la via di fuga grazie alle sue ‘marionette’.
Entrambi arrivarono alla
porta…scontrandosi l’un contro l’altro, rovinando verso la porta…che si aprì un
attimo prima dell’impatto.
Ancora stesi in un mucchio
scomposto, i due mannari sollevarono la testa…per incontrare gli sguardi severi
di Karnivor e Wulf.
“Pessima prestazione, omega,”
disse Sir Wulf. Le luci si riaccesero nella sala. Gli altri guerrieri erano
disorientati. “Dovevate uscirne come branco, ed invece vi siete comportati da umani, abbandonando i compagni a sé
stessi in una situazione pericolosa. Ne dovrete fare di strada, prima di potere
aspirare anche solo a diventare beta.”
Le occhiate assassine si
sprecarono, ma i tre riottosi non uggiolarono parola.
Wulf annuì. “A riposo,
adesso. Torneremo sulla Terra fra qualche ora. Approfittatene per interagire un
po’ con i beta, almeno.”
Ursula si alzò in piedi,
avvicinandosi al capobranco…ma subito un brontolio di avvertimento di Karnivor
la freddò sul posto. La coppia alfa si allontanò, mentre nella palestra
entravano i sei beta:
Ø
Jon Talbain,
dalla pelliccia nera e bianca come la folta criniera, muso affilato, vestito di
un paio di aderenti calzoni azzurri ed una cintura rossa.
Ø
Wolfsbane, la
giovane licantropa rossa scozzese, vestita solo di strisce di metallo disposte
lungo il muso, le braccia, le gambe, intorno alle costole e sullo stomaco.
Ø
Espectro,
nero come Maximus, nudo e dagli occhi rossi come braci.
Ø
Warewolf, il
mannita scarlatto.
Ø
Fenris, il
grande lupo nero di Asgard. Anche se aveva accettato di ridurre le proprie
dimensioni per lo spazio interno, era ancora grande come un cavallo.
Ø
Il Predatore nel Buio, che, come Warewolf, era un enigma sulle due zampe.
Massiccio anche più dello stesso Maximus, dal pelo argenteo.
Wolfsbane e Jon si
avvicinarono ad Ursula. “Nei miei primi giorni col Pack, mi sembrava di essere
finita fra gli alieni,” disse Rahne ad Ursula, che tornò umana. “Non avevo mai
visto tanti miei simili in un colpo solo… Non ti preoccupare, se ti senti a
disagio.”
Uscirono dalla stanza. Ursula
scosse la testa. “Non è questo…in realtà, non ho mai apprezzato la vita da
suora più di tanto. Voglio dire, credo in Dio, ma non credo che sia
l’oppressore cosmico che mi volevano fare credere.” Fece una risatina amara.
“Di sicuro non mi ero aspettata questo.”
E fece un cenno ad indicare l’ambiente.
Ursula diede una pacca sulle
spalle di Rahne. “Comunque, sorella, sono sicura che mi abituerò. Sarà sempre
meglio con voi che con quella strega di mia madre.” Naturalmente, Rahne aveva
letto le bio dei nuovi arrivati, sapeva del passato di Jessica. Non osò
chiedersi come avrebbe reagito lei,
se fosse stata sua madre a perseguitarla per il suo retaggio, invece di un
uomo, il Reverendo Craig, che le aveva tenuto nascosto di essere il padre fino
a dopo la sua morte.
Rahne però non si era
aspettata una personalità così…frizzante. “Jessica…”
“Ursula va meglio, credimi.
‘Jessica’ è durato il tempo del battesimo, poi hanno cominciato con il rito
esorcista. Quasi mi affogarono nell’acqua santa, ci crederesti?”
“Uh…”
La ragazza indicò la porta
della stanza d’addestramento con il pollice. “Mi togli una curiosità? Quei due,
i capobranco…sono dei sodomiti? Se
sapessi che odori ho sentito su di loro…”
Rahne e Jon si fermarono di
colpo. Si scambiarono due occhiate allucinate; sembravano due statue chibi… Poi, entrambi cominciarono ad
emettere degli sbuffi…poi ridacchiarono…poi iniziarono a tremare…e infine
scoppiarono a ridere come scemi, tanto che piangevano.
Tergendosi un occhio, ancora
sghignazzando, Rahne disse, “Oddio, non uso quel termine da una vita.
Scusami…ma è troppo buffo sentire parlare di loro in quel modo *hi hi*.”
Jon disse, “Sono compagni di
vita. La loro unione va oltre il semplice sesso. Vivono l’uno per l’altro, con
un’intensità che un umano non può comprendere. Non fare l’errore di giudicarli
con il metro sessuale.”
“Oh.” In quel momento, la
voce mentale di Karnivor li raggiunse. <Wolfsbane, Talbain, venite al nostro
alloggio.>
Nella sala di addestramento
erano rimasti in due: El Espectro e Maximus Lobo. I due neri mannari si
fissavano, il più giovane teso come una molla, il più anziano tranquillo,
rilassato.
Lo sguardo di Carlos Lobo era
furioso, la sua voce appena ad un passo dall’esplosione. “Ripetilo, vecchio.”
Maximus disse. “Sono tuo
nonno, Carlos. Ti è così difficile da comprendere?”
“…”
“Tuo padre era un umano, il
gene mutante del Popolo aveva saltato la sua generazione. Lo sciocco abbandonò
la famiglia, per andare a vivere in Messico, dopo avere girato per il mondo.
Sperava di fare perdere le sue tracce, lo sciocco. Si sposò, preferì vivere una
vita in una fazenda.
“Due anni dopo, nasceste tu
ed Eduardo. Il sangue del Popolo scorreva in voi, e lui ne fu subito
consapevole. Fu preso dallo sconforto, cadde in depressione. Iniziò ad
ubriacarsi. Prima che voi raggiungeste l’età della ragione, la fazenda era
andata in rovina. Vostro padre era un relitto alcolizzato. Solo vostra madre
tenne duro.”
Immagini lampeggiarono nella
mente di Carlos: lui ed Eduardo in fuga dal mercato, ora con delle verdure, ora
con dei polli. I Fratelli Lobo che rubavano soldi ed oggetti ai turisti. Il
tragico amore di Eduardo per Esmelda… “Perché? Perché ci avete lasciato da
soli?” Una vita dura, durissima, che aveva fatto di Carlos ed Eduardo quello
che erano, creature dure, pronte a rispondere con gli interessi ad ogni colpo…
Lupi che avevano scritto la propria vita nel sangue delle loro vittime. E alla
fine, Eduardo…
“Ci hai lasciato da soli,”
ringhiò Carlos. I muscoli sotto la pelliccia tremavano.
Maximus sbuffò. “Ho aspettato
che maturaste, per vedere che strada avreste preso. È con grande disappunto che
vi ho visto diventare identici ai vostri persecutori, capaci solo di scimmiottarne i modi. Per voi, il lupo
era solo un’arma per i soldi ed il potere. E la cosa peggiore era che quei
soldi e potere li usavate per sé stessi. Siete stati solo dei cuccioli
deludenti e viziati.”
Carlos saltò. Zanne spalancate e lucenti di bava, occhi accesi di furia
omicida, artigli tesi. Era una magnifica macchina per uccidere…
Maximus lo gettò a terra con
un solo schiaffo. Carlos scivolò all’indietro, sul fianco, fino ad urtare il
muro con la schiena. Si fece male, ma
non uggiolò, non avrebbe dato soddisfazione al vecchio hijo de puta…
Veloce come il lampo, Maximus
fu su di lui, le zanne a sciabola ad un palmo dalla gola. “Avete sprecato la vostra
eredità, siete scesi più in basso degli umani. Finire in galera ti ha salvato
dalla mia ira, scellerato. Unirti al branco è stata la tua seconda migliore
idea…dopo avere continuato il rapporto con la puttana umana.”
“Lascia Glory fuori da questa
storia, viejo.”
Le sciabole si avvicinarono
al muso. “Lei dovrà continuare la stirpe, cucciolo. Cerca di non dare luce ad
un altro debole come tuo padre, e ti prometto almeno un posto d’onore nelle mie
imprese. Quando questa insulsa guerra sarà finita, beninteso.” Maximus si alzò
in piedi. “Sei solo stato fortunato a diventare un beta…voglio vedere se saprai
meritarti l’onore, altrimenti prenderò il tuo posto. Mi sono spiegato?”
Carlos si leccò le zanne. Nei tuoi sogni, nonno.
“Davvero molto interessante,”
disse Volk, che era tornato al suo aspetto umano.
“Interessante cosa?” fece
Warewolf. Quel tizio lo faceva sentire come se lo stesse radiografando.
“Il tuo aspetto. Ho visto
solo dei tuoi disegni presso gli uffici del KGB. Esperimenti di integrazione
genetica e meccanica.”
Warewolf non poteva
trattenere il fiato, non avendo polmoni. Ma aveva un cuore, ed esso sembrava
impazzito. “Cosa sai?”
“Un certo Dott. Meyer Herzog era giunto al successo con
la cosiddetta tecnologia Were-Borg.
Purtroppo, aveva deciso di sperimentarla su sé stesso…scoprendo troppo tardi
delle instabilità della sua creazione. Quella tecnologia fu rubata in un
secondo momento dall’Americana Jennifer
Nyles, che a sua volta la vendette ad un militare rinnegato con sede in
Belgio, un tale ‘Comandante Courage’.
“Courage tentò di usare
quella tecnologia per i propi fini, ma fu fermato ed ucciso. La Nyles è tornata
in America, ma non ha mai ripreso le ricerche di Herzog[xxix].”
Warewolf uggiolò. “Quindi, tu
non sai chi mi abbia creato.”
Ilya Dubrovny Skorzorki fece
spallucce. “Almeno hai un buon inizio per cominciare a cercare, non credi?”
“Cosa ti ruga?” chiese
Nightwolf, avvicinandosi a Kody. Il giovane mannaro, in forma umana, guardava
verso la Luna, così vicina che sembrava di poterla toccare con un dito. Lui ne
aveva sempre sentito il richiamo, ma non era la pallida dea a
trasformarlo…bensì la rabbia. L’ira lo poteva trasformare in un assassino senza
controllo.
Senza voltarsi, Kody disse,
“Cosa mi preoccupa? Ero un fuggiasco senza famiglia, ed ora sono il campione di
un Popolo che neppure credevo esistesse. Questa è la mia gente, nel bene e nel
male, ed il branco è la mia famiglia. Volevo la pace, e sono condannato a
combattere. Credevo di avere abbastanza nemici con la mia vecchia vita, e ne
scopro uno che da solo li batte tutti, Thulsa Doom.” Scosse la testa. “Ho paura
di non essere all’altezza. Le mie arti magiche non sono abbastanza sviluppate.
Possiedo questa Windcutter,” sollevò
il braccio destro, sul cui polso splendeva un elaborato bracciale dorato dal
dorso oblungo, “ma non è neppure mia. Ho paura che il Pozzo del Desino mi abbia fatto un gran brutto scherzo, mandandomi
fra voi[xxx].”
Nightwolf si mise al suo
fianco. “Beato te.”
“Come?”
L’uomo sorrise. “Beato te. Io
non sono neppure un licantropo. Sono
un cristo preso a calci dalla vita, un balordo senza neanche tanto cervello.
“Ero un teppistello, uno
destinato a fare il galoppino per conto degli altri. Un giorno, durante un
furto ad un negozio di antiquariato, sai giusto per fare qualche spicciolo, la
mia attenzione cadde su questo libro e questa maschera.” Si indicò la maschera.
“E sai una cosa? Mi sembravano fichi.
Improvvisamente, volevo quei due oggetti più dei soldi. Non pensavo a
rivenderli o a farci chissà che…li volevo e basta. Ovviamente, li presi.
“Quando giunsi a casa, aprii
il libro…sai, non avevo mai visto delle pagine con l’inchiostro che brillava. Non capii un’acca di quelle
parole, erano scritte in una lingua pazzesca… Ad ogni modo, da quella notte
cominciai ad avere gli incubi. Sognavo di essere un lupo mannaro o un lupo e
basta, mi sognavo con questo costume addosso.
“Nei miei sogni sbranavo ed
uccidevo i miei nemici, senza pietà, senza un perché. Era come se fosse
un’altra persona, a fare quelle cose. Ogni notte, dormivo sempre meno. Finii
che avevo paura ad addormentarmi.
“C’è una medicina chiamata Hypnocil, che sopprime i sogni, ma non
era roba che si trovasse in farmacia. Così, finii con il rubacchiare dosi di
roba purissima dalle quantità che dovevo spacciare. Ero disperato, veramente.
Mi facevo delle dosi da stendere un cavallo, mi rincoglionii così in fretta che
certe volte era molto stare in piedi e andare al cesso.
“Per qualche ragione, le dosi
non mi uccisero, ma mi fecero smettere di sognare. Quasi quasi credetti di
uscirne da quell’incubo…e invece, cosa succede? Durante una missione di
trasporto di un po’ di roba, finisco ad incontrare quei pazzi di Cloak & Dagger. Quel figlio di
puttana di Cloak mi avvolge nella sua cappa, e a quel punto finisco faccia a
faccia con il mio incubo!
“Dopo che Cloak mi ebbe
buttato fuori da sé, io ero ridotto ad un imbecille totale[xxxi].
Quando finii in prigione, non ricordavo neppure il mio nome. Non avevo i
documenti, perché i miei ‘datori di lavoro’ volevano che diventassi un cadavere
irrintracciabile nel caso avessi toppato…” si tastò le braccia ed il petto. “Ed
ora guarda un po’, non solo devo usare maschera e libro, ma mi tocca lavorare
per un intero branco di queste
bestiacce! Senza offesa, beninteso.” Stese la mano. “Oh, a proposito: Davy ‘Rocket’ Hutch. Sai, ‘Johnny Lamb’
cominciava a starmi un po’ peso…Non stringe, eh?”
“Hai intenzione di
abbandonare fin d’ora?” chiese Kody, senza voltarsi a guardarlo.
“Non ci penso nemmeno!
Scommetto che se provo a buttare la maschera, quella mi ritorna in tasca come
ha sempre fatto. E poi mi ritornerebbero gli incubi. Sai, sono una testadura,
ma so quando è il caso di adeguarsi. A proposito di testedure…”
Kody sospirò.
Nel privato del suo alloggio,
una donna dai capelli lunghi e violacei, vestita di un succinto costume di
antica foggia, sedeva nella posizione del loto, levitando ad un metro dal
pavimento, il volto concentrato.
Davanti a lei, in ginocchio,
stava il potente Predatore nel Buio. Il suo corpo era avvolto da un’aura di
energia, che solo la magia poteva rivelare.
“Imbevuto di energia cronale,” disse lei, aprendo gli occhi.
“È talmente parte di te, che solo un Mago
Supremo potrebbe sperare di rimuoverla senza causare un disastro. E se non
puoi, o non vuoi, dirmi come hai fatto a ridurti in questo modo, creatura, temo
di non poterti essere di aiuto.”
Il Predatore la guardò con i
suoi occhi ciechi…ciechi, ma compensati dal resto dei suoi supersviluppati
sensi. A quei sensi, la licantropa era una creatura affascinante, dotata di una
presenza arcana che non aveva mai visto. Il suo pool genetico era qualcosa di
unico. Questa creatura veniva da un passato così remoto che l’uomo moderno ne
rifiutava l’esistenza. Lei era una strega, ma non aveva bisogno di talismani,
per fare le sue magie. Non più. Una batteria vivente di Pr’ana.
Era chiaro perché il
Consiglio avesse scelto lei.
Il Predatore si voltò ed
uscì. Lei aspettò che la porta si fosse chiusa, prima di concedersi un sorriso
ironico… Davvero, tornare in vita prima per servire quel folle di Dasha Khan, e liberarsi della sua
maledizione solo per finire sotto l’ombra della minaccia di Thulsa Doom!
Non avrebbe comunque
rinnegato le sue parole: non sarebbe più stata da sola. Per ora.
Al massimo, le dispiaceva di
non potere incontrare quel maledetto barbaro che fu la causa della sua prima
morte!
Conan, come vorrei che tu fossi qui per squartarti a
dovere…
“Ne siete sicuri?”
I simulatori nell’alloggio di
Sir Wulf e Karnivor erano attivati, trasformando la cabina in un piacevole
ambiente aperto, una foresta vergine, rilassante. Nessuna discussione ne
sarebbe venuta bene, in uno spazio opprimente.
Jon annuì. Gli occhi di Rahne
mandavano lampi.
Ursula se ne stava in
disparte. Le avevano detto di restare, visto che nel Branco non c’erano
segreti. E qualunque problema con anche un solo membro del branco riguardava
tutti i compagni… Ovviamente, lei non era abituata a pensare in simili termini,
e si sentiva come quando sua madre e qualche altra sorella iniziavano a
discutere. Lei si sentiva sempre come quella di troppo…
“Ho intenzione di sposare Jon
prima che la stagione degli amori giunga all’apice. Ho intenzione di avere dei figli con lui. Non mi sembra difficile,
da capire. E ve lo ripeterò fino a quando non vi sarà entrato in testa una
volta per tutte.”
Sir Wulf scosse la testa.
“Non è semplice come credi, Rahne.” La fissò negli occhi, ma lei tenne duro
-era davvero decisa, e questo preoccupava il capobranco. “Quando sarai incinta,
diventerai la nostra fattrice, la portatrice del nostro futuro. Il branco non
potrà seguire due direzioni, dovrà stare dietro ai tuoi bisogni. La nostra
priorità sarà la difesa della tua persona, del piccolo che porterai in grembo.
Senza eccezioni.
“E dopo la sua nascita, sarà
lui a ricevere tutte le nostre attenzioni, e questo influirà negativamente
sulla nostra condotta contro Thulsa Doom, che avrà un nuovo punto debole a cui
aggrapparsi.”
“Il branco si rafforzerà,
invece,” disse Jon. “Il figlio sarà la forza coesiva che ci renderà fratelli a
tutti gli effetti. Il branco non potrà dissolversi di fronte al suo futuro.”
“Sir Wulf,” disse Rahne. “Non
ho intenzione di aspettare. Ho visto
troppi amici sacrificare il loro futuro nel nome della guerra. Ho visto troppe
coppie finire distrutte da un attimo di dubbio. Amo Jon con tutto il mio cuore,
ma lo dicevo anche di Douglas, e poi
di Hrimhari di Asgard… Non intendo
ridurre Jon a semplice cameratismo.
“Non voglio lasciare il
branco; voi siete la mia famiglia, adesso…ma non voglio neppure…”
Karnivor disse, “Jon, Rahne:
appena la gravidanza inizierà, dovrete essere voi a comandare. Il branco non seguirà una coppia alfa sterile.
L’esperienza di caccia non ha senso, senza un futuro. Fino ad ora, abbiamo
identificato tale futuro con quello del Popolo…ma con te il futuro saremo noi
stessi. Voi dovrete comandarci. E quando lei sarà troppo avanti per combattere,
toccherà a Jon decidere. È una responsabilità che vi sentite pronti ad
accettare?”
Rahne fissò in silenzio i
capobranco…per poi dire, “Io mi sento pronta a dare la mia vita per il futuro.
Sul ‘come’ lo scopriremo quando sarà il momento. E poi il branco non è fatto di
pecoroni, vero? Anche voi saprete fare la vostra parte. Conto proprio su
questo.” Sorrise.
Karnivor non aveva dubbi: era
lei la guida della coppia. Vide l’espressione del suo compagno e capì che Wulf
stava pensando la stessa cosa: se Rahne fosse stata scelta da Jon, quest’ultimo
avrebbe dovuto battersi per il diritto di elevarsi ad alfa. Se avesse perso,
lei sarebbe potuta rimanere con lui, ma di fare figli non se ne sarebbe
parlato, pena l’espulsione dal branco. A quel punto, entrambi avrebbero potuto
fare come volevano.
Purtroppo, era lei ad avere
scelto. Solo un’altra femmina altrettanto desiderosa di figliare avrebbe potuto
sfidarla, e con tutte le precauzioni del caso: il sangue di una femmina non
andava MAI versato, era troppo prezioso…
“Chiedo scusa…” disse Ursula,
scuotendoli tutti dal trance. La tensione era ancora altissima.
Ursula scoprì di essersi
trasformata suo malgrado. Si portò fra Rahne e i capobranco. “Perché voi
due…um, non adottate un piccolo, a questo punto? Insomma, vi dichiarate
creature intelligenti, dotate di…libero arbitrio, ma vi comportate proprio come
se l’istinto fosse il vostro padrone!”
“Sei perdonata in virtù della
tua ignoranza forzata, cucciola,” disse Karnivor, ringhiando. Jon disse, “Non
so come ci comporteremmo, se fossimo così numerosi
da pensarla in modo diverso, Ursula. Il problema è che il Popolo è in perenne
minaccia di estinzione.
“L’adozione di un piccolo
garantisce un futuro al branco, ma non alla specie. Ogni piccolo in meno che
nasce è come una morte in più. Lo scopo di un branco è proprio garantire una
famiglia quanto più numerosa ed efficiente possibile ai nuovi nati.
“Non è una questione di
semplice ‘istinto’: è sopravvivenza…
Dimmi, hai mai visto una donna incinta?”
Ursula non ebbe neppure bisogno
di pensarci su: quante volte erano capitate donne sole e gravide, al suo
convento! E ancora prima che il suo stesso corpo cominciasse ad avvertire la
pulsione alla maternità, quanta tenerezza aveva provato alla vista di quei
pancioni, come aveva desiderato di toccarli anche lei, con la stessa gentilezza
usata dalle madri… No, non poteva credere che quello fosse solo ‘istinto’. Era
un dono, un dono meraviglioso per il mondo!
“Sai di cosa parliamo,” disse
Karnivor, scuotendola da quei pensieri. Ursula si scoprì a guardare Rahne con
intensità, come se solo la prospettiva di vederla incinta…
“Immagina una simile
sensazione, ma molto più potente,” continuò Wulf. “Avvertirai il bisogno di
proteggerla da ogni male, l’accudirai al meglio delle tue forze, la proteggerai
a costo della tua vita. Non importa quali rancori tu possa provare adesso:
dopo, vivrai per i piccoli e contribuirai a nutrirli ed educarli. Il branco
troverà invero una nuova coesione.”
Ursula annuì. Vedendo la
ragazza dai capelli rossi così vicina al suo maschio, un braccio enorme di lui
avvolto intorno a lei, così ingannevolmente minuta, appena entrata nella sua
maturità… Jessica era divisa: la sua educazione urlava che era innaturale,
assurdo, bestiale.
Il suo spirito cantava di
gioia… “Oh. Cosa sono?”
Quattro paia di occhi la
fissarono con improvvisa curiosità. La videro voltare lo sguardo qua e là,
focalizzata su qualcosa che solo lei poteva vedere, apparentemente…
Poi, tutti provarono un
brivido. Come se ci fosse un’altra presenza
intorno a loro. E Ursula era estatica, le mani giunte, gli occhi umidi.
Perché solo lei poteva
vederle. “Sono bellissime…” poteva vedere le luci. Fuochi fatui scintillanti, cinque, sei…sempre più numerosi,
che danzavano intorno a Jon e Rahne, lasciandosi dietro scie di colori diversi,
come se un arcobaleno si fosse scomposto. E cantavano.
Con una voce fatta di armoniche e di luce, cantavano… “Sono felici. Vogliono
farcelo sapere, vi sono vicini. Approvano, vi benedicono!”
La mente di Karnivor non
poteva percepirli, ma delle corde ataviche in lui e negli altri potevano. Era
una sensazione come la si provava quando si era in pace, in contemplazione di
un panorama selvaggio. Esaltante e rilassante allo stesso tempo…
“Los espritos de los muertes,” disse qualcuno dalla porta. Tutti
sobbalzarono e si voltarono all’unisono.
Carlos stava sulla porta. “Il
mio hermano li ha sentiti, e mi dice
che li vede anche lui. Sono le anime dei caduti, dei tuoi antenati, Rahne, e di
altri lupi. Ursula ha ragione: loro sono felici, vogliono che sia tu a
continuare il branco. Ti proteggeranno.”
Ursula annuì. “Vorrei tanto
che mia madre potesse vedere, adesso: questo è un miracolo.” Prese una mano di
Jon e Rahne. “Attraverso di loro, Lui vi benedice. Perdonatemi per avere
dubitato di voi.”
In una località sconosciuta,
altre quattro paia di occhi osservarono la scena attraverso una sfera di
cristallo.
“Le anime benedicono. La
santa profezia compie un altro passo verso la realizzazione,” disse la femmina
del colore del sangue.
“Moltiplicheremo i nostri
sforzi. L’Alleanza diventerà realtà,” aggiunse un maschio grigio come
l’acciaio.
“Le forze del Serpente e
dell’Uomo ci ostacoleranno con ancora più dedizione,” disse una femmina nera
come la notte.
“Arduo e difficile sarà il
nostro cammino,” disse il maschio bianco. “Possiamo noi ed i nostri alleati
essere degni di Madre Gaea, o sarà tutto vano.”
Episodio 17 - I sentieri del
destino!
Set Atra-No, Antartide.
Sembrava che il cielo fosse
impazzito, travolto da qualche volontà demoniaca. I venti erano più scatenati
che mai, urlavano con una forza che sembrava capace di strappare le carni dalle
ossa. Le nuvole cicloniche erano un mare nero ed impenetrabile. I fulmini
piovevano a catena, scaricandosi sui ghiacci eterni, generando raffiche di
esplosioni.
La Città di Set si ergeva
maestosa, il cuore di quella follia degli elementi…
“IL MOMENTO È GIUNTO!”
Nella piazza centrale, su un
piedistallo che dominava la città, stava il Grande Tempio di Set, una struttura
aperta al cui centro stava la grande statua granitica del Dio-Serpente a sette
teste. La testa centrale, a suo modo bellissima per la perfezione della
realizzazione, presentava un occhio, quello sinistro, acceso di una luce
sanguigna.
Ai piedi della statua,
accanto a un braciere gigantesco, stava la figura dell’Alto Sacerdote di Set:
l’immortale Thulsa Doom.
L’uomo, la cui testa era un nudo
teschio, era del tutto immune al vento, che al massimo gli agitava il rosso
mantello. Thulsa Doom teneva le braccia levate verso l’alto, le mani contorte
come a volere afferrare qualcosa. La sua voce si levava più potente dei
fulmini. “Grande Antico, Signore delle forze primevie! Ora che Gaea non solo ha corrotto la propria
natura, ma ha abbandonato questo piano[xxxii],
è giunto il momento di colpire. È
giunto il momento che, attraverso il Tuo Occhio,” e qui, una nuova scintilla
brillò nella gemma incastonata nella statua “i mortali a te devoti odano la Tua
voce! Parla, o Sommo, parla, perché
ora il nostro antico nemico non sarà in grado di confondere i cuori più oscuri!
E mentre chiami a Te le legioni che verranno, io, il Tuo umile Sacerdote,
annienterò gli ostacoli sulla strada della conquista!”
Le fiamme che danzavano nel
braciere si levarono in una colonna che nessun vento avrebbe potuto fare
tremare. Le ombre si rincorrevano sul corpo del Dio, dando la precisa
impressione che le sue spire avessero preso vita…Ed era davvero un’impressione,
un’illusione, il nuovo sibilo che si levò nel vento..?
Thulsa Doom afferrò un lembo
del suo mantello, e si voltò, percorrendo la spirale di scale che avrebbe
condotto al tempio alla base del pilastro…
Giunto alla sala del trono,
Thulsa Doom fu accolto da un grido devoto, pronunciato dalle figure dei suoi
nove Generali. “AVE, THULSA DOOM! AVE, SOMMO SACERDOTE DEL DIO-SERPENTE,
PADRONE DEL TEMPO! SUL TUO REGNO NON CALERÀ LA MORTE!”
Il sacerdote osservò i suoi
fedelissimi, tutti chini su un ginocchio, e si rivolse a quello che fra loro
era il meno umano all’apparenza: era questi la caricatura di un lupo mannaro,
una bestia su due zampe, in armatura, ingobbita, dal pelo grigio ispido e duro
come il ferro stesso, gli artigli delle mani ,a tre dita, dove i piedi ne
avevano due, ricurvi come uncini. Le sue orecchie erano più simili a quelle di
un pipistrello, ed il muso era tozzo.
“Generale Sulkara,” disse Thulsa Doom, posandogli una mano sulla
spalla corazzata da placche d’osso che uscivano direttamente dalla carne, “tu e
il tuo Branco di Sangue avrete
l’onore di seguirmi in questo importante momento.”
La creatura chinò la testa,
rilasciando uno sbuffo di fiato fetido. “Ti seguirò fin oltre la Morte,
Sacerdote.”
Thulsa Doom si rivolse alla
sfera di vetro, che lunghe zanne serpentine di una specie di cobra trattenevano
dentro un braciere bronzeo. Nella sfera, apparve l’immagine del Mago Supremo
della Terra. “Anche se il Dottor Strange
ha nominato un successore, questi,” e al posto di Strange apparve una testa
bovina dalla verde pelliccia rasa e le corna d’avorio “è inesperto. Eliminarlo
sarà fin troppo facile…ma prima…” altro gesto, altra immagine: un antico
castello, massiccio, che dalla sua posizione dominava un piccolo villaggio a
valle.
Le orbite nere di Thulsa Doom
scintillarono. “Prima, mi sbarazzerò di questo aspirante ‘stregone supremo’, il
cui valore e conoscenza sono davvero notevoli…per un uomo di questa era. Una
volta appresi i suoi segreti e le sue tecnologie, recuperare il secondo Occhio
dai nostri nemici sarà poca cosa!”
Base di Karnivor, presso
le montagne della Transia
Il branco era al completo,
con
Sir Wulf, timberwolf rosso americano, ex Cavaliere di
Wundagore. |
E
poi gli ultimi reclutati nel branco, gli ‘omega’: |
Karnivor, secondo capobranco, lupo portato al massimo stadio
evolutivo |
Hellwolf, licantropo moscovita di nobile lignaggio, un
assassino nato. |
Jon Talbain, campione del Popolo |
Volk, un tempo un uomo del KGB, ora lupo grazie alla scienza umana. |
Wolfsbane, parte umana, parte Tuatha da Danaan. |
Kody, figlio di licantropo e di strega in cerca del suo destino |
Espectro, mannaro mutante, in cui viveva lo spirito del
fratello morto. |
Maximus Lobo, nonno di Carlos, mutante a sua volta, e fra i più
potenti della sua razza. |
Il Predatore nel Buio, il silente e cieco guerriero |
Ferocia, lupa naturale, ricettacolo di un’antica strega
Hyboriana. |
Fenris, il sinistro dio-lupo di Asgard |
Sorella Ursula, tormentata mannara plagiata contro sé stessa |
Warewolf, il misterioso mannita senza un passato |
Nightwolf, un essere umano che aveva avuto la sventura di
impadronirsi di due potenti talismani del Popolo. |
“Ora, con la scomparsa di
Gaea quale nostra forza protettrice, il Popolo è più che mai abbandonato a sé
stesso.” Come sempre quando era impegnato in un discorso al branco, il lupo
camminava avanti e indietro, senza togliere loro gli occhi di dosso. “Il
rinfoltimento delle nostre fila giunge propizio, ma voi nuovi cacciatori non
siete ancora esperti nel combattimento di branco. Pertanto, ognuno di voi sarà
assegnato a ruoli di appoggio ed esplorazione. Nelle prossime azioni, vi voglio
capaci di affiancare i membri anziani senza prendere iniziative.” Lanciò uno
sguardo significativo Ferocia, Hellwolf, Volk e Maximus, le personalità più
forti fra i nuovi acquisiti. “La nostra prima missione di gruppo sarà la
protezione di un branco migratore diretto ad Avalon.”
A quel nome, Wolfsbane
sobbalzò! Avalon! La sua patria, il luogo di nascita dei suoi antenati, nonché
di sua madre. Il posto dove aveva acquisito non solo il pendente che ora
portava al collo, ma anche la sua armatura vivente, Jillgar… “Un branco
migratore..?”
Fu Talbain a risponderle,
“Come sai, i Tuatha da Danaan sono prossimi all’estinzione: hanno pagato il
loro isolamento con accoppiamenti che, alla fine, hanno prodotto una
generazione sterile. La loro sola speranza è nuovo sangue…Tuttavia, anche
sapendolo, hanno aspettato fino all’ultimo istante, diffidenti persino della
loro stessa gente.”
Sir Wulf annuì. “Il branco
partirà fra sette giorni dalla Francia. È stato selezionato con cura, e non possiamo
permetterci nemmeno una perdita. A quanto pare, comunque, avremo un appoggio
esterno[xxxiii].”
Rahne non ebbe bisogno di
farselo ripetere: quando ancora era una Nuova Mutante, ignara della sua
vera natura, era stata chiamata dai suoi simili, perché divenisse una fattrice[xxxiv]! Allora si era sentita
tradita, ingannata e spaventata, ed era fuggita senza voltarsi indietro…
“Molto bene. Adesso*”
qualunque cosa stesse per dire Sir Wulf, gli morì in gola. Una specie di gelido
terrore gli avvolse le viscere. Terrore, al quale seguì il familiare fuoco del
guerriero, come se davanti a lui si fosse parato il più letale e vecchio
nemico..!
Le espressioni e l’odore
degli altri non fece che confermare quella sensazione. Il che voleva dire una
sola cosa! “Thulsa Doom. È qui vicino!”
Doomstadt, Latveria
Il castello si ergeva per
quello che era: una sentinella, fatta di solido granito e scansori ad ampio
spettro. I silenti robot disposti
lungo le merlature servivano contro chiunque fosse stato abbastanza stupido da
attaccare la capitale del piccolo regno europeo. Gli scansori servivano per
controllare le attività della capitale, perché, nonostante il Sovrano avesse
portato una prosperità senza pari, nonostante la felicità fosse una costante
sotto il suo braccio protettore, c’era ancora chi osava coltivare
pensieri…sconvenienti. Pensieri rivolti a modelli sociali che, altrove nel
mondo, si rivelavano regolarmente fallimentari…
Si tratta di gente semplice, in fondo, pensò il Sovrano, che a quell’ora del mattino era uso
passeggiare lungo le terrazze del suo castello, per assaporare il Sole appena
sorto e contemplare l’operato del proprio lavoro. L’uomo è un bambino, incapace di pensare oltre la propria vita e le
proprie esigenze. I suoi passi risuonavano del sordo eco metallico prodotto
dalla sua armatura. Il vento faceva appena frusciare la sua cappa. Ma fintanto che la mia protezione coprirà
queste terre, i figli di questa gente non dovranno conoscere la fame o la
paura. Sotto la maschera metallica, del colore dell’acciaio, un volto
devastato oltre ogni ricostruzione sorrise. Dovranno
solo temere di incorrere nella mia collera, e ciò accadrà solo se oseranno
abbandonare la strada che ho tracciato per loro… Ed era proprio la
consapevolezza della propria saggezza, della validità del suo modello sociale,
ad averlo finalmente spinto alla faticosa impresa di estendere la propria mano
fuori da Latveria.
Il mondo si stava ancora una
volta instradando verso il caos globale, ed era indispensabile che una nuova
potenza si frapponesse fra la pace e gli adunchi artigli di quel corrotto paese
che erano gli Stati Uniti…
I passi si fermarono. Il
silenzio era solenne, interrotto solo dal soffio del vento. La luce del Sole
sembrava essersi raffreddata. In tutto il castello, le macchine erette a sua
difesa furono disattivate da un’invisibile mano. I robot sui merli crollarono
al suolo come marionette senza più fili.
Senza muovere un muscolo, il
Sovrano di Latveria disse, apparentemente a nessuno in particolare, “Puoi
evitare di nasconderti, straniero…Mostrati, ed affronta Victor von Doom faccia a faccia, se ne hai il coraggio.”
“Thulsa Doom non ha bisogno di
coraggio, stregone tecnomante,” disse l’altro, apparendo davanti a lui, come un
miraggio che prendesse solidità. “Il mio potere parlerà per me. La tua
sconfitta sancirà la venuta del Regno del mio Signore.”
L’aria si fece elettrica.
Fissandosi intensamente, entrambi i contendenti iniziarono, silenziosamente, ad
incanalare le energie necessarie allo scontro…
“Thulsa Doom, ombra di un
passato che dovrebbe restare morto… Destino ha sconfitto entità infinitamente
superiori allo Strisciante che ti glori di servire. Se credi di potermi
sconfiggere, non sei coraggioso. Sei solo stupido.”
Le orbite vuote
scintillarono. “A differenza di te, Destino, io ho vinto la Morte stessa. Se
per miracolo tu dovessi vincere questo confronto, avresti guadagnato solo un
attimo di respiro prima del mio ritorno…Ma puoi risparmiarti un’eternità di
agonia, se sceglierai di servire l’Onnipotente Set.”
Sotto la maschera, gli occhi
si socchiusero. “Conosco abbastanza bene il tuo padrone da sapere quale sarebbe
la sorte di questo mondo sotto l’abbraccio delle sue spire. Io, Destino,
rinnego il tuo vile padrone, e difenderò il mio
mondo da ogni suo servo.”
Il vento agitava
selvaggiamente le cappe dei due contendenti. Il sole accese un riflesso sia sul
metallo che sul nudo osso.
“La tua scelta è il mio
trionfo. Kunnar-hani se tseer!” pronunciò quel grido, evocando il fuoco
del suo Signore, stendendo in avanti le mani per proiettare le spire di fiamme
diaboliche. Fiamme capaci di spezzare qualunque protezione mistica, capaci di
consumare tanto la carne quanto lo spirito stesso.
Destino rispose…limitandosi a
sollevare una mano verso le fiamme. “K’tai.” Una parola sola, in una lingua
conosciuta solo a un culto perduto fra le montagne delle nevi eterne del Tibet.
Una delle prime cose che aveva imparato. Significava ‘disperditi’…E le fiamme
obbedirono. Le spire di fuoco non furono respinte, ma deviarono la loro corsa,
infrangendosi contro il granito del castello.
Fu, tuttavia, un trionfo di
breve durata. Raccogliendo a sé pura energia, il negromante la scagliò in una
sorta di pioggia meteorica. Destino ne fu avvolto e consumato prima di potere
organizzare una valida difesa…
“Delizioso. Questo mortale è
riuscito, almeno, a regalarmi qualche istante di intrattenimento…cosa?”
La pioggia di energia era
cessata…e non cera nessun cadavere! Eppure…
Destino apparve ad un passo
da lui! Le sue mani d’acciaio afferrarono il cranio del negromante, ed
iniziarono a stringerlo in una morsa letale carica di energia!
Thulsa Doom fu di colpo
prossimo al panico: si era lasciato ingannare da una semplice illusione! Non
solo, ma il suo nemico sapeva che il cranio era il suo solo punto debole!
“Shoi’n Vives,” pronunciò.
Questa volta, la pietra
stessa sotto i piedi del Sovrano di Latveria prese vita, e con la consistenza di
un fluido avvolse la sua preda! Ciò fatto, la pietra animata iniziò ad
esercitare una pressione intesa a stritolare ogni osso…
“Te lo concedo, sei stato un
degno avversario,” disse Thulsa Doom. “Pochi istanti ancora, e…Hm?”
Di colpo, un raggio di luce si
accese fra gli interstizi della pietra. Fu seguito da un altro, ed un altro
ancora…Poi la pietra esplose, rivelando una ‘preda’ in eccellente forma!
“Stolto! Questi sono
trucchi da baraccone, per chi ha combattuto contro Mefisto in persona!”
puntò una mano guantata d’acciaio, e lanciò una scarica di energia, un attacco
di pura tecnologia, contro la quale il negromante era effettivamente
impreparato! Colpito in pieno torace, Thulsa Doom urlò e fu spinto all’indietro
fino a sbattere contro un merlo.
“Ucciderti sarebbe troppo
facile, vecchio,” disse Destino, avvicinandosi al caduto, dal cui petto
ustionato usciva una voluta di fumo. “Prima di morire per l’ultima volta nella
tua esistenza, i tuoi segreti sapranno essermi…Co*Nyargh!*” aveva colto il movimento
alle sue spalle troppo tardi! Prima di potere reagire, una pesante mazza
chiodata lo aveva centrato alla schiena! Un colpo di tale potenza da
infrangere il campo di forza, spezzare il metallo e infilare più d’uno spunzone
nella sua schiena! Solo per miracolo, e per pura resistenza del metallo, non si
ritrovò leso alcun organo vitale. Il colpo fu sufficiente, in compenso, a farlo
scivolare sul pavimento per oltre una decina di metri.
“Mio Signore!” disse il
Generale Sulkara, appollaiato su una torre come il rivoltante predatore che
era. Nella zampa destra reggeva la catena a cui la mazza era attaccata.
Eseguito l’attacco, fece tornare a sé la mazza. “Tutto bene?”
Thulsa Doom passò,
incrociandole, le mani sulla ferita…e questa scomparve! “Naturalmente.” Poi,
rivolgendosi a Destino, che si stava alzando in piedi, Thulsa disse, “Una forza
davvero indomita…Altri uomini urlerebbero il loro dolore, chiederebbero pietà.”
“Io…sono…Destino!” Il Sovrano
si mise in piedi. Se soffriva, non lo dava a vedere. No, lui aveva conosciuto e
sperimentato livelli di dolore senza pari, e ne era uscito sempre vincitore!
“Non ho strisciato di fronte all’Arcano, e meno che mai di fronte a te,
che hai bisogno di farmi attaccare vilmente alle spalle.”
Altro scintillio delle
orbite. Ad un suo cenno, il Generale spiccò un balzo, facendo roteare la sua
mazza. Una mazza composta di metallo incantato e benedetto da Set in persona.
Se un altro colpo fosse andato a segno…
La mazza partì, così veloce
che l’occhio non poteva vederla!
Destino, tuttavia, non fece
neppure finta di evitarla. Scartò di lato, e lasciò che il suo braccio
corazzato intercettasse la catena! La mazza iniziò ad avvolgersi intorno
all’arto. E prima che quel processo fosse completato, Destino sfruttò l’inerzia
dell’attaccante per gettarlo contro una parete. Sulkara, colto di sorpresa,
urtò con forza, e rimbalzò a terra, stordito. Un’abile mossa, certo, ma
nell’applicarla Destino aveva esposto la schiena, e lì fu colpita da una
potente scarica mistica, proprio all’altezza dello squarcio! Scarica che…si
infranse contro una barriera invisibile!
“Sorpreso?” Destino si voltò
a fronteggiare Thulsa Doom. “Credevi che fossi troppo debole da erigere un
elementare scudo? Ora basta giocare, non mi accontenterò di meno della
tua…Cosa?”
Un urlo! Un urlo umano,
proveniente dall’interno del castello!
Il Dottor Destino sembrò
colpito fisicamente da quell’urlo, per come reagì. Perché ne aveva riconosciuto
il proprietario!
Ci fu un lunghissimo momento
di silenzio da parte del Sovrano di Latveria, concentrato sulla porta più
vicina…Porta da cui, finalmente, purtroppo, emerse una mostruosità che di
lupino aveva solo un vago aspetto. Come Sulkara, era stato, un tempo, un
licantropo; ora era una via di mezzo fra un lupo ed un rettile, con chiazze di
pelliccia sparpagliate fra le scaglie nude, ed un muso fra le cui zanne
saettava una lingua forcuta. Un Blooder, uno dei soldati di Sulkara, una
creatura corrotta oltre ogni redenzione, che aveva fatto del male una scelta
definitiva…
E, fra le sue braccia, stava
la figura ferita dell’unica persona vivente al mondo che ancora avesse un posto
nel cuore del più duro degli uomini. “Boris…”
Il vecchio, l’uomo che aveva
accompagnato Victor von Doom nel percorso della sua vita, vegliando su di lui
fin dall’infanzia, era vivo, ma a stento. Il suo respiro era affannato, e un
rivolo di sangue correva lungo la sua fronte. “Mio Signore…Mi dispiace…Non…”
Nessun uomo sano di mente
avrebbe tentato un simile affronto e poi rimanere vivo…Eppure, mentre altri
mostri uscivano da quella porta, almeno una dozzina, e tutti con le zanne
grondanti sangue, Thulsa Doom rise! “Mi chiami stolto, Destino? Credevi che
sarei venuto all’attacco senza premunirmi di conoscere i tuoi punti deboli?
Energie terribili ronzarono
nell’armatura. Con un colpo solo, in quel momento, il nemico ed i suoi sgherri
potevano venire consumati come dal fuoco divino stesso..! Destino serrò i
pugni…solo per rilassarli.
Se Thulsa Doom si aspettava
di vedere Destino prostrarsi, tuttavia, si sbagliava di grosso! Anzi, più
regale che mai in quell’ora cruciale, Destino disse, “Il serpente getta la
maschera, alla fine.” La sua voce era controllata, gelida. “La codardia è
l’unica arma di cui dispone…” abbassò di un tono, rivelando il fuoco sotto il
ghiaccio. “Thulsa Doom, sappi che Boris ha fatto una scelta, attraverso la sua
lealtà: egli è sempre stato perfettamente conscio dei rischi che avrebbe corso
quale braccio destro di Destino. Puoi ucciderlo, se preferisci…ed allora, nulla
ti salverebbe da un fato di gran lunga peggiore della morte.”
Il negromante annuì.
“Coraggioso, quando si tratta di sacrificare un solo servo fedele…ma puoi dire
lo stesso dei tuoi sudditi? Osserva!”
Destino seguì il braccio
puntato verso la valle, verso Doomstadt. Lui era un re, e un sovrano non
tradiva le proprie emozioni…Pure, una gelida morsa gli attanagliò il cuore, a
quello spettacolo!
Doomstadt era invasa dai
Blooder! Un vero esercito, che si muoveva per le strade, in caccia
indiscriminata di uomini, donne e bambini. C’erano dei morti, ma la maggior
parte delle prede erano semplicemente inchiodate a terra o intrappolate in
casa. Ad un comando del loro padrone, i mostri avrebbero fatto una carneficina
come non si vedeva dai tempi del crudele Re Zorba!
Ora, si potevano dire molte
cose di Victor von Doom…Ma abbandonare la gente che era sotto la sua
protezione, questo non lo avrebbe fatto. Mai. Piuttosto, avrebbe attivato un
certo dispositivo di autodistruzione, avrebbe immolato sé stesso insieme alla
sua gente, laddove si fosse dovuto arrivare ad un simile estremo…
Thulsa Doom stese un braccio.
Spalancò la mano, ed una fiamma brillò in essa. La fiamma si estese, e si
trasformò in una spada. “Considera la
corrente situazione come un memento,
tecnomante. Speravo di dovere evitare questo, ma sono sicuro…” levò alta la
spada per poi calarla con un fendente che spaccò in due l’aria
E le dimensioni! “…che saprai evitare di resistere, una volta che avrai
compreso di non avere via di scampo!”
Le sue meditazioni furono
bruscamente interrotte, e Rintrah, il
nuovo Mago Supremo della Terra, ricadde goffamente a terra dalla sua
meditazione
Rimettendosi in piedi, si
guardò istintivamente intorno. Qualcuno o qualcosa aveva appena aperto le porte
fra le dimensioni, in un modo brutale, con una potenza spaventosa! Era stato
solo per un attimo, ora era troppo tardi per cercare di rintracciarlo…
Palazzo Stark, Quartier
Generale dei Vendicatori, Manhattan, New York
Wanda Maximoff, alias Scarlet, fu colta di sorpresa,
dall’evento. Fu come se un cavo elettrico le avesse attraversato i nervi. Le
scappò solo un gemito, ma il dolore fu terribile!
Fu breve, tuttavia…ma non fu
quello, a preoccuparla. No, perché ancora una volta, la seconda in poco tempo,
sulla sua pelle, sulla sua gola, apparve, bruciante, il marchio di Set!
Il cielo aveva il colore del
sangue. Le stelle bruciavano di una luce fredda. La superficie era nuda,
cosparsa di rocce aguzze. La vita era scomparsa da questo mondo.
“Qui non ci disturberà
nessuno, Destino. Qui, il mio potere è al suo apice. Ora, te lo chiedo
un’ultima volta: cedi le tue conoscenze a Set, servilo, o morirai qui!”
Appena la pressione esterna
era precipitata, l’armatura si era sigillata. La riserva d’aria sarebbe durata
dodici ore. Più che sufficienti
Victor von Doom fissò negli
occhi lo stregone. “Hai commesso un errore signficativo, Thulsa Doom,” disse,
con la massima calma.
“Cosa..?”
“Eppure, tu stesso lo hai
detto, a me: sono un tecnomante, oltre che un mistico. Credevi davvero che
Destino non si trovi sempre un passo avanti rispetto ai suoi nemici? Agendo
come hai fatto, ti sei semplicemente chiuso da solo nella tua stessa trappola!”
Thulsa Doom non capì…non fino
a quando una luce mostruosa non riempì il suo universo…
L’esplosione nucleare del Doombot cancellò ogni possibile atomo dei due
contendenti
L’occhio di Set, posto nella
testa centrale della statua del dio-serpente eptacefalo, brillò di una luce
intensa. Un attimo dopo, un raggio vermiglio fu proiettato ai piedi della
statua.
Un Thulsa Doom molto
malconcio emerse da quella luce. Le sue ossa erano annerite, la carne
carbonizzata e fusa agli abiti. Il potente stregone era ridotto ad una patetica
figura fumante inginocchiata ai piedi del suo padrone.
Doom levò lo sguardo alla
statua impassibile. “Mi ha ingannato…Ha osato sfarmi sfigurare davanti a te,
mio Signore, ma il suo trucco non salverà il suo servo, o la sua gente.
GENERALE SULKARA!”
Il licantropo rinnegato
sorrise orribilmente. “Il loro sangue riempirà la valle, Padrone!”
Improvvisamente, enormi nubi
nere si materializzarono nel cielo limpido, proprio sopra Doomstadt.
Sulkara osservò incuriosito
l’evento -che strano, non percepiva il mana di Set dietro quel fenomeno…
Le nubi si unirono in un
anello vorticante, e da quell’anello, insieme ad un rombo potente come la voce
di Dio, sgorgò una pioggia di saette! Fulmini frastagliati, che colpirono, uno
dopo l’altro i Blooder nelle strade di Latveria, incenerendoli sul posto con chirurgica
precisione!
“Così Destino ha chiesto
aiuto,” disse il generale. “Poco importa: sarà il suo servo a paga…CHE??”
Le braccia del Blooder che
stava già per finire Boris furono come attraversate da una striscia di luce,
all’altezza delle spalle. Un secondo dopo, quelle braccia caddero al suolo,
fumando all’altezza della subitanea amputazione. Boris quasi crollò al suolo,
ma fu raccolto da un potente braccio dalla grigia pelliccia! Il Blooder urlò,
mentre il suo corpo si scioglieva in sabbia.
“Impossibile!” era difficile
dire se ci fosse sorpresa, o oltraggio, o entrambi, nella voce di Thulsa Doom.
“Ci sono molte cose che
faremmo, per eliminarti una volta per tutte, demonio,” ribatté Sir Wulf.
“Abituatici.”
Il Generale Sulkara reagì
all’apparizione del capobranco lanciando la sua mazza, per colpirlo al cranio,
contando sul fatto che il corpo dell’umano gli avrebbe impedito una pronta
risposta…
Tuttavia, quasi sul punto di
giungere al bersaglio, la palla chiodata fu fermata da una mano coperta di
rossa pelliccia! Una presa perfetta, da parte di Karnivor! “Sai cosa mi fa
arrabbiare più di quel mostro morto?” Gli occhi del lupo si accesero di un
fuoco rosso. “Un traditore della sua specie…” serrò la mano, e la mazza
andò in frantumi!
“No…non è…” Sulkara era
troppo sorpreso per pensare a correre via. “La benedizione di Set…”
Karnivor lanciò un colpo di
energia dalle mani. Sulkara fu colpito in pieno muso, ed urlò orrendamente.
Gli altri Blooder si
gettarono sui due nuovi arrivati…solo per ritrovarsi investiti da raffiche di
colpi di energia! Anche se ogni Blooder possedeva un suo fattore di guarigione,
ed anche potente, quelli che si ritrovarono la testa distrutta poterono solo
morire e diventare sabbia.
I sopravvissuti si voltarono
ad incontrare i gelidi occhi di Destino! “Come ho già detto, il grande errore
del vostro padrone è credere che Destino sia solo un uomo.”
Sir Wulf andò a raccogliere
il corpo di Boris. Lo porse a Destino. “Portalo al sicuro. Questa è una
battaglia del branco, adesso.”
Sospeso fra la gratitudine e
l’orgoglio di chi non ha mai avuto bisogno di aiuto, Destino ricambiò
solennemente lo sguardo d’ambra. Prese il povero Boris in braccio, e si avviò
verso la porta.
Guarito da ogni ferita,
Thulsa Doom riapparve proprio davanti al sovrano di Latveria.
“Avete osato mostrarvi a un
umano…Siete coraggiosi, o solo estremamente stupidi..!” disse l’alto sacerdote.
Non pronunciò a caso quelle parole: una regola fondamentale del Pack era di
evitare pubblicità a un mondo che ancora credeva che i mannari fossero tutt’al
più dei mostri stupidi e prevalentemente solitari. Rivelarsi a Destino era
stata una mossa a dir poco azzardata, ma era anche vero che permettere la
vittoria del Sacerdote di Set avrebbe avuto conseguenze ben più sinistre di
questa esposizione…
Il negromante lanciò una
raffica di energia…ma proprio mentre il colpo partiva, il suo braccio fu
deviato da un nunchaku d’argento! La raffica esplose contro un merlo.
“Tu sei mio, demonio!”
ringhiò Jon Talbain.
Dentro, come previsto,
l’invasione dei Blooder aveva compiuto uno sfacelo. I corpi della servitù erano
stati smembrati, il sangue imbrattava indiscriminatamente i pavimenti, le
pareti e gli arazzi…
C’erano ancora dei mostri,
dentro. Due di loro corsero lungo le scale, verso la loro preda…quando una
sorta di elaborato simbolo luminoso si sovrappose ai loro corpi! Con il
simbolo, venne una fiamma di pura luce, che li consumò, lasciandosi dietro due
scheletri anneriti.
Destino lanciò appena
un’occhiata al responsabile: una femmina nuda, che ancora brillava delle arcane
energie liberate, accovacciata dall’altra parte della stanza. Suoni di
battaglia echeggiavano per l’ampio salone.
La spada dalla lama
fiammeggiante si scontrò con il bastone coperto di elaborate rune.
Talbain parò colpo su colpo,
con riflessi fulminei. Finse uno scarto, e trasformò la mossa in un attacco
alle caviglie di Thulsa Doom, riuscendo a farlo cadere. Perfetto! Ora, al
cranio…
Ma il colpo di grazia del
bastone, formato dall’unione dei nunchaku, fu bloccato dalla stessa lama tra
clangore di metallo e getti di scintille. Teschio e muso erano separati solo
dalle armi dei contendenti.
La voce di Thulsa suonava
solo lievemente scontenta. “Ho sprecato fin troppe energie contro l’umano che
vi pregiate di difendere…Se Set non stesse impegnando le sue forze per il suo
Canto, voi non sareste stati un problema…Ma non vi illudete: la vostra fine è
solo rimandata!” Detto ciò, scomparve.
La stessa sorte toccò a
Sulkara, e il colpo di grazia di Karnivor lacerò solo l’aria. Anche i rimanenti
Blooder abbandonarono la scena. Dell’invasione delle forze di Set erano rimasti
solo degli squarci sparpagliati fra merli e pareti, e dei cumuli di sabbia…
Una pezza bagnata fu passata
con gentilezza sulla fronte di Boris. Destino aveva lasciato che il Power Pack
risolvesse lo scontro, mentre lui accudiva il suo vecchio amico. Aveva
impiegato le migliori attrezzature del castello, e le sue conoscenze arcane, ma
adesso l’anziano era fuori pericolo.
Destino annuì, e lasciò la
stanza. Fuori, nella sala, si ritrovò di fronte al branco al gran completo.
“Thulsa Doom è davvero un uomo di grande potenza: nessuno era mai
riuscito a distruggere le mie difese mistiche e tecnologiche in un colpo solo.
Se si fosse battuto all’acme del suo potere, sarebbe stata una lotta dagli
esiti incerti,” era la cosa più prossima ad un complimento per il nemico che
potesse uscire dalle sue labbra. “Per quanto concerne voi, membri del Popolo,
vi siete guadagnata la gratitudine di Destino e delle genti di Latveria.
“Sono stato uno zingaro, un
perseguitato dal precedente sovrano di questo paese, e so quanto possa essere
importante la vostra segretezza. Pertanto, ne’ io ne’ alcun mio suddito
tradiremo la vostra presenza…E per quanto riguarda il nostro comune nemico,
sarà solo un piacere fornirvi ogni aiuto richiesto per la sua disfatta.”
“E lo stesso varrà per noi,
in nome di questo scopo,” disse Sir Wulf. “Te lo giuriamo sull’onore del Lupo.”
E stese una zampa.
Destino rispose al
gesto…dandogli le spalle. “Ora tornate da dove siete venuti. Ho un mondo, da
conquistare, e ho perso abbastanza tempo, per oggi. Fate in modo che non ci si
debba mai incontrare da nemici: posso essere riconoscente, ma anche altrettanto
implacabile.”
E il branco, obbediente,
scomparve in un lampo magico di teletrasporto.
Episodio 18 - Di uomini e
mostri (I parte)
“Lo hai sentito anche tu?”
Erano in tre, nella tenda: il
più giovane membro del gruppo se la stava dormendo della grossa, russando da
fare paura ad un orso in ibernazione. Non si sarebbe accorto dello scoppio
della III Guerra Mondiale.
Gli altri due erano gli
‘anziani’, un titolo puramente formale, acquisito dopo avere speso otto dei
loro trentasei anni a studiare la fauna di questo parco naturale. Jacques e Linda Barclay, fratello e
sorella, Canadesi purosangue, possedevano un talento naturale per studiare la
natura selvaggia, ed avevano imparato a riconoscere il suono prodotto da ogni
animale, in qualunque condizione questo si trovasse.
Linda lo aveva sentito, ed
anche a lei non era piaciuto. Tanto per cominciare, da circa tre ore era calato
un silenzio innaturale. Checché ne dicessero certi etologi da città, una
foresta non era mai assolutamente
silenziosa, neanche di notte. E poi, quei passi erano…strani. Di una creatura
grossa…ma leggera. I passi prudenti di un predatore…Solo che non era un orso. E
non era solo!
Jaques e Linda avrebbero
potuto aspirare ad una condizione professionale decisamente più elevata
rispetto a quella di istruttori per un ente minore affiliato al WWF…Ma la
testarda coppia aveva spiegato a chiare lettere che le loro carriere erano poca
cosa, di fronte alla chance di insegnare fare comprendere la bellezza e la
necessità delle oasi naturali alle nuove, mai abbastanza attente, generazioni.
Bracconieri e trapper pagati dagli allevatori o dalle corporazioni non erano
riusciti a spaventarli o dissuaderli…
Una sagoma…no, due sagome, umanoidi, enormi, si stagliarono contro l’esterno
della tenda. Un verso tremendo, come il ronfare di piacere di un mostruoso
gatto prima di saltare addosso al topo…
Un brivido freddo percorse la
loro stessa anima, questa volta.
Il male dell’Uomo non poteva
spaventarli.
Una vecchia leggenda sì.
Le urla dei fratelli Barclay
riempirono il silenzio innaturale di una foresta terrorizzata.
In volo sopra i cieli del
Canada. 8 ore dopo.
“…e le autorità federali
canadesi si preparano ad accogliere la task force del Federal Bureau for
Superhuman Affairs, il cui arrivo è previsto entro sera.
“I genitori di David Lodestone, di Mobile, Alabama,” lo
schermo mostrò l’immagine tipica da album di famiglia, di un giovane acqua e
sapone, biondo, sorridente, con giusto quello spruzzo di lentiggini che davano
l’impressione del piccolo cavaliere sbarazzino alla conquista del mondo,
“offrono una ricompensa di cinquecentomila dollari,” la cifra lampeggiò sotto
la foto “a chiunque dovesse ritrovare il ragazzo scomparso dal luogo della
morte di Jaques e Linda Barclay. Le autorità, memori della lunga serie di
incidenti e spoliazione del patrimonio faunistico seguito, due anni fa, dagli
omicidi[xxxv] erroneamente attribuiti
alla creatura nota come Wendigo,
diffidano i privati cittadini dall’intraprendere iniziative non autorizzate…”
Lo schermo fu spento. Ora di
entrare in azione!
Il loro velivolo era in
modalità-stealth. All’occhio nudo, sembrarono apparire dal nulla, sei degli
angeli protettori del Popolo, il
formidabile Power Pack:
Ø
Sir Wulf, il
capobranco, grigio timberwolf americano in armatura blu e scarlatta. Cavalcava
il suo fedele drago meccanico.
Ø
Ferocia,
licantropa dal pelo rossiccio e grigio, la strega venuta da un lontanissimo
passato. Usava la sua magia, per levitare verso il suolo.
Ø
Jon Talbain,
il Campione del Popolo, dal pelo nero e bianco. Sedeva dietro a Sir Wulf.
Ø
Kody,
pelliccia rossa rada e criniera bionda, figlio di una strega umana e di un mannaro.
Stava in piedi accanto a Ferocia, anche lui sospeso su un paio di dischi di
energie mistiche.
Ø
Maximus Lobo,
licantropo mutante, coadiuvato nella discesa da Ferocia.
Ø
Il Predatore nel Buio, massiccio alieno lupino dal pelo bianco/argento. Per
lui, nessun tipo di supporto. La creatura andava in caduta libera!
Ovviamente, il Predatore fu
il primo ad arrivare a terra! Il suo impatto scosse diversi alberi. La nuvola
di polvere era troppo fitta per vedere se fosse rimasto tutto intero…ma quando
gli altri lupi atterrarono, il Predatore emerse con appena un velo di polvere
sul manto.
“Niente male,” disse Jon,
saltando giù dal ‘destriero’. “Mi pare di ricordare che una volta una tagliola
ti ha quasi segato una gamba[xxxvi]. Hai preso le vitamine,
da allora?
","
rispose l’altro, nel quasi incomprensibile adattamento della sua lingua nativa
all’Inglese. ""
“Abbiamo il tempo per
sentirla,” disse Ferocia, mentre tracciava con gli artigli delle figure
di…insetti, nell’aria. Quando ebbe finito, pronunciò una parola in una lingua
morta da oltre diecimila anni, e le creaturine di luce sciamarono veloci nel
fitto degli alberi. “I miei avatar
faranno la maggior parte del lavoro, e su una distanza superiore. Li ho
istruiti a cercare la magia del Wendigo, ovunque lui si nasconda, e a scovare
gli umani.”
Sir Wulf annuì, maledicendo
l’assenza di Karnivor –i suoi poteri
mentali avrebbero spianato la strada ancora più efficacemente[xxxvii]…Ma era inutile ululare
alla preda persa. “Qualunque sia la ragione, restiamo uniti. Avremo bisogno di
tutta la nostra forza combinata, se dovessimo incontrare il branco di Wendigo…E
da ora, silenzio. Non si parla durante la caccia.”
“Sissignori, sono in tanti, adesso. Almeno una mezza dozzina,
e potete scommettere che ce ne saranno ancora!
Aumentano di numero, come un maledetto virus…”
la sua non era solo la voce di un vecchio. Era la voce di un uomo il cui
orgoglio era stato da tempo barattato con una bottiglia di alcool a poco
prezzo. I muscoli si erano persi nel grasso generosamente donato dalle
abitudini etiliche.
L’uomo puzzava di alcool e
disfatta. Il tempo, e la lucidità, che gli restavano erano usati solo per
costringere involontari ascoltatori a condividere la sua follia personale. “Ma
vi siete chiesti come mai si sono trovate le ossa solo di un cadavere? E tutti gli altri? Solo i loro*urk!*” una mano lo
afferrò bruscamente per il colletto della giacca a vento bisunta.
Ovviamente, gli ‘ascoltatori’
non erano tenuti a dargli retta, come il proprietario della locanda, che
nonostante non fosse proprio un fusto, non mostrava difficoltà nello spostare
il disgraziato attraverso l’ambiente fumoso. Sparpagliati versi di
incoraggiamento venivano dai tavoli.
“Inutile che ti dimeni,
Paul,” disse l’oste, mentre un cliente apriva la porta per facilitargli
l’imminente ‘espulsione’. “Abbiamo già abbastanza problemi con i grilletti
facili, senza bisogno di te che cominci a terrorizzare i turisti. E ringrazia
che quei pochi che sono arrivati stanno ancora dormendo.” Pronunciate quelle
parole, diede un’ultima spinta.
Paul barcollò fuori. Inciampò
sui suoi passi, rovinò sui gradini e terminò a faccia in giù nella neve. In
altre circostanze, cioè in uno stato di ubriachezza meno tosto, avrebbe almeno
lanciato le sue migliori imprecazioni. Invece, emise solo un grugnito, mentre
il suo ginocchio urtava contro una pietra. “Tanti…tanti…” ripeteva, mentre si
sentiva sprofondare sempre più nel torpore alcolico…A quel punto, di morire
assiderato non gli importava un granché…
Un paio di forti braccia lo
tirarono su senza sforzo. Si ritrovò appoggiato a qualcuno, ma a quel punto il
vecchio Paul era svenuto.
La porta si aprì. A quell’ora
del mattino, la clientela non si poteva definire certo ‘rumorosa’…Pure, un
silenzio di morte calò fra gli astanti. L’attenzione generale si canalizzò sui
sei stranieri, che entrarono come fossero stati i padroni del locale. Uno di
loro, un tizio dai tratti marcatamente ispanici, ed i capelli neri, reggeva il
vecchio Paul. Gli occhi dello straniero erano due fuochi di carbone, occhi da
assassino, che sfidavano silenziosamente chiunque a discutere il suo atto di
altruismo.
L’unica donna del gruppo era
poco più di una ragazza, una bellezza femminile appena maturata, dai lunghi
capelli rossi. Era anche l’unica a sembrare…spaesata. Al suo fianco, come una
sentinella, procedeva un omone che se non era il re di tutti i taglialegna poco
ci mancava. Barba nera lunga, capelli corvini lunghi fino alle spalle, e
muscoli che sembravano esplodere dalla sua maglietta senza maniche; un mostro
d’uomo che camminava con la grazia di un lupo…
Un’immagine mentale che fece
presa su diversi astanti, che non poterono evitare di pensare la stessa cosa
del quarto straniero -corti capelli castani, un volto affilato e nobile, con
due occhi che erano fuochi di giada. Vestiva di gran classe, con tanto di
mantellina e bastone dal pomo d’oro, e nonostante ciò, il modo in cui spostava
casualmente lo sguardo sulla gente, spingendola ad abbassare il proprio
sguardo, ricordava troppo quello di un lupo intento a selezionare la pecora più
appetitosa…
Il quinto uomo era il
ritratto di un selvaggio in abiti civili. Giacca di pelle su maglietta bucata,
blue-jeans spessi e lisi all’altezza delle ginocchia. Capelli biondi indomati e
basette lunghe fino alla mandibola. Un trasandato il cui volto parlava a sua
volta di un predatore tosto.
Il sesto avrebbe potuto
essere scambiato -no, non ‘avrebbe potuto’: quello era un punk fatto e finito, con il suo bravo chiodo, capigliatura bionda
tenuta su dal gel, occhiali neri, e pizzo su un volto altrimenti liscio come
una pesca.
Era proprio il punk, a
guardarsi intorno come se avesse appena trovato il paradiso. “Razzo! E dire che
mi tocca infilarmi in una camera di simulazione, per godermi questa rusticata!
Ehi, sei tu il main, qui?”
L’oste, a cui il giovane si
era rivolto, fece uno sguardo come a chiedersi se quel coso lì fosse vero… “Chiedo scusa..?”
“Sì,” fece il ragazzo, con un
gesto impaziente della mano. “Il main, il copyrighter…il direttore, quella roba
lì!”
L’uomo mostrò il suo migliore
cipiglio combattivo. “Io sono il proprietario. E voi sareste..?” dal suo tono, era chiaro che avrebbe corso il
rischio di una denuncia per maltrattamenti, se la risposta non gli fosse
piaciuta. In quel paese, le cose più moderne che fossero giunte erano il fondo
a microonde e la parabolica TV. Quel giovane linguacciuto era un’offesa
ambulante, turismo o non turismo!
“Io sono Zed,” rispose il
ragazzo. Come in un gioco di prestigio, mise mano al taschino del chiodo, e ne
estrasse una serie di documenti insieme ad una carta di credito color platino.
“E i miei amici sono,” indicò la ragazza “Rahne,” poi il re dei taglialegna,
“Sigmund,” poi l’ispanico, “Carlos,” poi il ‘nobile’, “Nikolai, ma Nik andrà
bene lo stesso,” e infine l’ultimo, “Ilya. Ci piacerebbe una bella camera, di
quelle grandi. Ah, e se ci prepari anche una bella branda, coperte e un paio di
litrozzi di caffè di quello così forte che ci puoi lasciare un cucchiaino in
piedi. E alla svelta.”
L’oste aveva gli occhi
sbarrati a pesce, e quasi boccheggiava come tale. Tuttavia, qualunque cosa
volesse dire il moccioso, era anche vero che la ‘plastica’ era roba di quella
che perdere simili clienti lo avrebbe tormentato a vita ed oltre. Di
malavoglia, l’oste si ricompose, e allungò il registro per le firme. “Se però
quel vecchio ubriacone fa dei danni, vi sbatto fuori a calci, chiaro?”
“Codificato,” rispose Zed, mentre
il resto del gruppo si allontanava verso le scale.
Aperta la porta ed entrati,
l’ispanico andò subito verso il bagno. “Madre
de Dios, quest’essere puzza come mio padre!” Entrò nel bagno, e poco dopo
si udì il suono dell’acqua riempire la vasca da bagno. “Fortunatamente, siamo
stati noi i primi a credergli.”
“Forse i soli, a credergli,”
ribatté Zed. “Non si è mai scannerizzato più di un Wendigo per clock. E
dobbiamo fare in fretta a tanare gli altri, prima che si scateni il panico.”
La decisione di mandare una
squadra verso il paese non era tanto campata in aria -infatti, analizzando dati
come l’area degli omicidi, i tempi, le impronte ed altro ancora, appariva
chiaro che da qualche parte nel paese c’era la tana dei mostri…Una conclusione
a cui anche l’FBSA sarebbe giunta presto. Precederli era di importanza
vitale…anche perché il Consiglio del
Popolo aveva un terribile sospetto sull’anomala diffusione dei Wendigo…
Il guaio era che i mostri
antropofagi, giunto il giorno, scomparivano.
A tutti gli effetti, se ne perdeva ogni traccia, fisica e magica! Rintracciare
i loro alter-ego umani era impossibile…
Almeno, fino ad ora. Fino
all’inaspettato colpo di fortuna: il vecchio Paul.
“Voglio solo sperare,” disse
Carlos Lobo, “che la ‘conoscenza’ di questo relitto non sia autosuggestione
alcolica…”
“Parli così solo perché è
umano?” chiese Rahne Sinclair, entrando a sua volta. Aiutò il licantropo Messicano
a spogliare il vecchio Paul, ed insieme lo adagiarono nella vasca.
“Nostro padre era così,”
rispose Lobo. “Ed eravamo felici, io ed Eduardo, che lo fosse. Perché se non
era completamente stordito, si divertiva a picchiarci. Viejo maldido.”
Rahne si morse un labbro: lei
era stata nella mente, nei ricordi di Carlos[xxxviii]…Ricordava
ancora vividamente i due bambini stretti l’uno contro l’altro, a consolarsi, a
sperare in un minimo di protezione dalla follia, dal dolore…
In silenzio, i due lavarono
l’uomo.
In quel momento, bussarono
alla porta della camera: erano un paio di camerieri, con branda, materasso e
coperte. Sotto l’attento sguardo degli ospiti, disposero il tutto in una delle
camere da letto. Quando ebbero finito, se ne andarono senza neppure pensare di
chiedere la mancia –erano già abbastanza contenti di non venire sondati dagli
occhi di quella strana gente…
Intanto, fuori, sul terrazzo,
‘Sigmund’ scrutava intensamente la valle sottostante, illuminata dal Sole
appena sorto.
I suoi occhi brillarono di
rosso, mentre osservava lo scorrere delle energie della biosfera –colori e
flussi alterati, un risultato della corruzione di Gaea. Equilibri antichi come
la vita erano stati scossi alla radice, e forse questa crisi dei Wendigo ne era
una conseguenza…Una di tante
conseguenze…
Ad ogni modo, nessuna traccia
del mostro o di maghi umani. Solo quei patetici cacciatori, niente che un
avviso alla squadra nelle foreste non potesse risolvere…
L’uomo tornò dentro
l’albergo.
L’idea era semplice, in
fondo: distrarre l’attenzione degli umani in zona, ‘sistemare’ le loro armi e
veicoli, e proseguire indisturbati le ricerche. Ed aveva anche funzionato. Le
scimmie, costrette a muoversi a piedi su quel terreno, dovevano fare ricorso ai
loro preziosi elicotteri, per gli interventi rapidi.
Nascosto fra le ombre e la
vegetazione, il branco osservò l’arrivo dei due mezzi. Sir Wulf aveva già posto
un visore monoculare sull’occhio destro. Allo stesso tempo, un auricolare gli
trasmetteva le comunicazioni fra i due apparecchi…o almeno, avrebbe dovuto. Perché i due apparecchi
mantenevano un rigoroso silenzio radio…
Ma non era quello, a
preoccupare il timberwolf: in fondo, quel comportamento non era che la
conseguenza del fatto che i due apparecchi fossero militari. Visti dall’esterno, erano solo due velivoli non
contrassegnati, neri, due modelli civili, senza armi…senza armi visibili.
Il visore rivelava ben altra verità!
Era come avere la vista a raggi X, e Wulf vide gli uomini armati e le armi
pesanti a bordo! Solo quei due mezzi avrebbero potuto fare a pezzi un intero
branco di Wendigo.
Restava solo da chiedersi:
chi erano? Gli informatori del Popolo nascosti fra gli umani avevano confermato
che l’FBSA non sarebbe effettivamente giunta prima di sera. Non c’erano
‘missioni segrete’ in programma, non organizzate da quell’ente, almeno…
Gli elicotteri passarono
sopra le loro teste, diretti verso il punto di arrivo del branco. Maledizione!
Se si limitavano ad azzopparli, avrebbero solo finito col fare arrivare i
rinforzi. D’altro canto, non fare nulla significava averli fra i piedi ad ogni…
L’attenzione generale si
rivolse al Predatore! La creatura emise improvvisamente un ringhio tremendo, e
schizzò via dalle ombre dove si era nascosta!
Il pilota vide il fulmine
argenteo muoversi nella vegetazione, con la stessa facilità che se stesse
correndo lungo un terreno pianeggiante. “Signori, ci siamo. Vediamo come sapete
usare i vostri fucili.”
Sir Wulf vide gli elicotteri
deviare all’inseguimento del Predatore. Continuavano a mantenere il silenzio
radio –il che voleva dire che, chiunque fosse lo sponsor, c’era un’altissima
probabilità che si trattasse di localizzare ed uccidere, senza tanti
complimenti…
Pensando queste cose, il
capobranco ed il resto dei lupi si gettarono all’inseguimento degli elicotteri –i
quali, nonostante spingessero a tutta manetta, non riuscivano a stare dietro
al…
Contatto! Un fruscio di
statica, seguito dal ronzio del decodificatore, poi l’orecchio di Sir Wulf
intercettò la conversazione da un elicottero. “…a voi. Ripeto: un Wendigo si
sta dirigendo verso di voi. Cristo, è veloce.
Persino più degli altri, passo.”
“Base Echo a Echo-22.
Potrebbe non essere un Wendigo. Ripeto, potrebbe non essere un Wendigo. Anzi, credo che il tuo cagnolino abbia
appena avvertito la presenza dei suoi simili.”
A quelle parole, per poco Sir
Wulf non inciampò sui suoi passi! Hanno
catturato dei Predatori?? Nessun media ne ha dato notizia! Il che voleva
dire che il personale di questa ‘Base Echo’ era senza dubbio coinvolto in
operazioni illecite, e da prima della
corrente crisi!
Quello che udì subito dopo
non fece che confermare tale certezza. “Lascialo arrivare…Anzi, spingilo nella
nostra direzione, giusto nel caso che cambiasse idea. L’area è libera fino a
noi. E da questo momento, ripristinate il silenzio radio. Base Echo, chiudo.”
Inutile perdere altro tempo,
a quel punto. “Kody! Abbattili!”
La risposta fu pressoché
immediata, senza esitazioni. Del resto, ad esclusione della sua famiglia
adottiva del Circo Quentin, Kody non aveva alcuna ragione per amare gli
uomini, responsabili della morte dei suoi genitori!
L’elaborato bracciale d’oro
al polso destro si accese di energia, e si fuse.
In un istante, abbandonata la sua forma, si ricompose, nella mano del mannaro,
in una spada.
Senza smettere di correre,
Kody menò un largo fendente con l’arma dalla lama d’oro. Rami di alberi furono
tagliati di netto da un’invisibile arco; l’aria stessa sembrò deformarsi,
mentre l’arco si espandeva,
raggiungeva gli elicotteri,
e li colpiva in pieno! I due
apparecchi esplosero all’istante.
Il giovane mannaro rimase a
bocca aperta, sorpreso da quello sfoggio di potenza. Guardò la sua arma tornare
ad essere un bracciale…La Windcutter donatagli da Wildfang il Caduto
era straordinaria! Se solo quel testardo felino non si fosse suicidato[xxxix]…
“Ottimo lavoro,” disse Sir
Wulf, spezzando il filo dei suoi pensieri. “Adesso bisogna allontanarsi, e in
fretta, prima che l’improvvisa sparizione degli apparecchi ci porti addosso
tutto il loro esercito. Ferocia..?”
La mannara-strega annuì.
Poteva essere nuova a questo secolo, ma sapeva ancora valutare l’importanza di
una pronta ritirata! Mormorò una Parola…
…E quella stessa Parola
apparve, sotto forma di sigillo luminoso, ai piedi di ogni lupo, incluso il
Predatore nel Buio. Prima che lui potesse reagire, il sigillo lo aveva avvolto
nella propria luce. Un attimo dopo, il branco era scomparso.
Il suono dell’esplosione
arrivò fino alle orecchie degli ospiti dell’albergo. Ci furono diversi mormorii
riguardo all’instabilità del tempo.
Naturalmente, Rahne, Zed e
Carlos riconobbero subito la natura di quel suono. Un attimo dopo, preceduta da
uno scintillio, l’immagine astrale di Sir Wulf apparve in cima al tavolo
intorno a cui i tre erano seduti. Rahne sobbalzò, ma fortunatamente non solo
l’immagine era visibile solo a lei ed i suoi compagni, ma nessuno fece caso a
lei, visto che il trio occupava un isolato posto d’angolo.
“Branco, abbiamo un
problema,” esordì Wulf, e riassunse la situazione. Alla fine, disse, “Quindi,
dobbiamo modificare la nostra tattica: voi sei, per ora, sarete da soli. Fate
l’impossibile per rintracciare e neutralizzare i Wendigo in forma umana. Noi
faremo la nostra parte con questa ‘Base Echo’. Buona caccia.” E scomparve.
Zed fece spallucce, e poi
fece un cenno ad una cameriera che aveva visto anni migliori -in compenso, era
l’unica donna in quel locale a potersi permettere di tenere testa ad un
camionista incattivito dalla ciucca. “Cosa ti servo, biondino?” chiese con una
voce da troppe sigarette.
“Un Fantasma di Fuoco,” disse
prontamente il ragazzo. All’espressione incuriosita di lei, Carlos intervenne
con un secco, “Due scotch doppi on the rocks, e per lei un frappè al cioccolato
con soda.”
La donna annotò velocemente
l’ordine, poi, guardando con curiosità il terzetto, disse, “Siete dell’Esercito
della Salvezza o cosa?”
“Parla di quell’anziano,
Paul?” chiese Rahne con una punta di durezza. “Il Signore ci ha insegnato ad
avere compassione di chi soffre, e di aiutare i bisognosi. Crede che basti,
come ragione?” Prima che potesse aggiungere altro, la donna disse, “Lui è fuori
da ogni grazia, bambina. Era un trapper, uno dei migliori…fino a quando non
ebbe la scellerata idea di portarsi il figlio a farsi le ossa in una delle sue
spedizioni. Lì, incontrarono il Wendigo.
“Il ragazzo, Paul Jr., morì;
aveva diciotto anni. Il vecchio Paul sopravvisse, ma la sua mente era andata
per sempre, senza contare l’ira della moglie, che col divorzio gli tolse ogni
centesimo…Alla fine, cominciò a bere. Credevamo, speravamo, che gli sarebbe
passata presto.” La donna sospirò. “Poi, invece, durante l’ennesimo tentativo
di disintossicazione, prese ad usare l’eroina. Quel vecchio mulo ha una fibra
di ferro, e riuscì a tirare avanti, laddove altri sarebbero morti. E c’è
anche…”
“Danielle, per la miseria!”
fece l’oste, picchiettando con le nocche sul bancone.
La donnona fece un sorriso
imbarazzato. “Scusate il cianciare di questa vecchia matta. Vado a prendervi la
roba. E per la nostra piccola samaritana, ci aggiungiamo qualcosa di speciale,
al suo ordine!”
‘Danielle’…Rahne sospirò.
Dio, quanta voglia aveva, di rivedere la sua vecchia amica…
Zed iniziò a giocherellare
con un elastico teso fra le dita, facendo del suo peggio per imitare il suono
di uno scacciapensieri. Fino a quel momento, la sua tattica si era rivelata
vincente: attirare l’attenzione, distrarre gli altri, era decisamente più
efficace che cercare di agire mimetizzati, nell’ombra. I pochi sguardi seccati
che risposero all’esibizione del giovane non andarono ai suoi piedi.
Nessuno si accorse del
curioso fenomeno di ‘partenogenesi’ delle scarpe di Zed. Nessuno vide la gomma
delle suole generare minuscole creature meccaniche, che, una volta
libere dalla loro ‘madre’, prendevano a sciamare in tutte le direzioni…
Base Echo
“Energie mistiche, eh? Ci
mancava solo quel maledetto Sciamano, a guastarci la festa!”
Procedevano lungo un
corridoio illuminato da due file ininterrotte di neon, lungo il pavimento e
lungo il soffitto. A parlare, era stato un uomo -il ritratto vivente del
veterano di tutte le accademie, con barba ormai grigia, corta e folta, un
fisico ingrigito come i suoi capelli, con una pancetta da troppa scrivania e
svariate diete per contenere i danni. Vestiva un lungo camice bianco pieno di
medaglie e mostrine varie. Sulla cintura, la fibbia mostrava un ologramma di un
globo terracqueo stilizzato e circondato da una corona d’alloro avvolta intorno
ad una coppia di spade; una corona di bandiere di varie nazioni circondava il
tutto.
Accanto a lui, procedeva un
omino che, per contrasto, sembrava appena partorito da una commissione d’esame.
Non c’era una sola medaglia o mostrina, sul suo camice, ma era assolutamente
immacolato, dai capelli biondi cotonati alle scarpe lucidissime. “Veramente,
nessuno ha citato Alpha Flight, Generale. Le analisi, anzi, suggeriscono
un altro tipo di…”
L’anziano gallonato fece un
cenno dismissivo. “Bla bla bla. Se non è stato Sciamano, è stata la sua degna
figliola, Talisman, o qualche altro loro amico pellerossa. O magari
qualcuno dei Vendicatori. Quei boy-scout con manie di grandezza stanno
cominciando a ficcare il naso dappertutto, peggio di uno stormo di comari
annoiate, e siamo costretti a muoverci con i piedi di piombo. Altrimenti, altro
che abbatterci elicotteri come se fossero i padroni del mondo!”
Ad un certo punto, una porta
scorrevole si aprì sulla loro sinistra. Loro entrarono.
“Almeno è pronto questo coso,
signor Pulmann?”
“Uh, sì, Generale.” Si
trovavano ora in una stanza a geometria ottagonale, illuminata da deboli luci
rosse. Le pareti erano coperte da spesse piastre metalliche. Non si vedeva un
solo cavo o tubazione, e tutti i monitor erano strettamente olografici, con i
generatori d’immagini posti nel pavimento.
C’era solo un oggetto, al
centro della stanza: una teca di cristallo antiproiettile, piena di un liquido
trasparente, nel quale galleggiava un corpo! Il corpo di un uomo, che per
corporatura e costume, a due tonalità di marrone, Rahne avrebbe subito
riconosciuto come il temibile Wolverine.
Pulmann sorrise servilmente
al suo superiore. “Abbiamo terminato gli ultimi test poco fa. Obbedirà senza
fare storie, e con i suoi artigli ed ossa di adamantio saprà fare strage degli
intrusi, chiunque essi siano.”
Il misterioso Generale annuì,
soddisfatto. “Ottimo. Allora scateniamolo. Quasi vale la pena rimandare qualche
test con i Predatori nel Buio, per godersi questo spettacolo…”
Episodio 19 - Di uomini e
mostri (II parte)
Villaggio di Saint-Lo,
Columbia Mountains Regions, Canada
In piedi, sul terrazzo,
l’uomo scrutava intensamente la valle sottostante, illuminata dal Sole appena
sorto. Era un uomo grande, robusto, dalla lunga barba corvina, vestito di
spessi jeans ed una maglietta senza maniche. I vestiti erano appena in grado di
contenere la sua forma.
I suoi occhi brillarono di rosso, mentre osservava lo scorrere
delle energie della biosfera –colori e flussi alterati, un risultato della
corruzione di Gaea. Equilibri antichi come la vita erano stati scossi alla
radice, e forse questa crisi dei Wendigo ne era una conseguenza…Una di tante conseguenze…
Ad ogni modo, nessuna traccia
del mostro o di maghi umani. Solo quei patetici cacciatori, niente che un
avviso alla squadra nelle foreste non potesse risolvere…
L’uomo tornò dentro
l’albergo.
E vi trovò l’inaspettato!
“Ti stavo aspettando, Fenris di Asgard, figlio di Loki,” disse
il lupo mannaro al centro della
stanza. Anche se era nudo, era impossibile capire se fosse maschio o femmina:
la sua pelliccia era così nera che sembrava ottenuta strappando un frammento
alla Notte stessa. Del suo muso, si potevano distinguere solo le bianchissime
zanne. I suoi occhi erano piccoli soli gialli, attenti, scrutatori. Stava in
piedi, torreggiante e solenne, sulla figura di un uomo anziano, intento a
dormire della grossa su una branda. O per lo stordimento, o forse per altre
ragioni, l’uomo rimase beatamente ignaro dello strano incontro.
L’uomo robusto, un
travestimento che andava in giro col nome di ‘Sigmund’, inchinò profondamente
la testa in segno di rispetto. “Non mi aspettavo davvero una visita di un Consigliere del Popolo, Milady,” disse,
con una voce pacata ma ugualmente spaventosa a sentirsi, inumana. “A cosa
dobbiamo l’onore della Vostra venuta?”
Darika avanzò con il passo
lieve di un fantasma. Neppure guardandola di profilo, si potevano distinguere
caratteristiche femminili. Solo il colore della sua pelliccia la distingueva
dai suoi ‘fratelli’. “Sei chiamato a partecipare a un momento cruciale per il
futuro del Popolo.”
Non importava, in quel
momento, che Fenris fosse o no un Dio. Era, per propria volontà, un membro dei
difensori del Popolo, il Power Pack. E in quanto tale, il giuramento di fedeltà
al Consiglio lo vincolava come ogni altro lupo Mannaro e Naturale della Terra;
almeno fino a quando tale giuramento coincideva con i propri interessi…E, a
prescindere da tutto ciò, Fenris non poteva che provare rispetto per delle
creature mortali già anziane quando Asgard doveva ancora sorgere.
Darika spiegò con attenzione
i particolari della missione. Alla fine, l’’uomo’ sorrise con una bocca
frastagliata di zanne. “Se me lo consentite, Milady, intendo ricorrere ad un
travestimento a cui avevo pensato da tempo…e che potrà comunque tornare utile
al Branco, in futuro. Anche se non comprendo perché ci sia bisogno proprio di
me, in un momento come questo, e per una cosa così semplice.”
La Consigliera annuì.
“Percepisco di quale scelta si tratti, e hai la nostra approvazione. Quanto
alla tua scelta, sappi che quel posto è saturo delle forze senza controllo di
migliaia di spiriti inquieti. Considerati la scelta più…sicura. Ora, andiamo.”
Come miraggi, le due figure
tremolarono. E svanirono[xl].
“Ragazzi, va tutto bene?”
Erano in tre, al tavolo: Rahne
Sinclair, Carlos Lobo e Zed. I tre, giunti insieme a Fenris ed altri due
mannari del Pack, inseguivano una loro pista per trovare le cause di
un’anomalia che stava seminando il terrore in quell’area del Canada: un branco di Wendigo.
Wendigo: il mostro cannibale,
la maledizione vivente, un essere che rinasceva ogni qualvolta un essere umano
pasteggiava delle carni di un proprio simile…E, sempre, il fenomeno non aveva
interessato più di una persona per volta. Almeno secondo le cronache.
E secondo il buonsenso. I
cannibali non erano necessariamente esseri solitari: un intero club, per quanto
ristretto, di simili pervertiti che praticassero ritualisticamente tale
pratica, avrebbe infestato le foreste Canadesi di brutto, e più di una volta.
L’umanità era stata dunque
assistita da una lunga, cieca fortuna, in tutto questo tempo? Improbabile.
Tuttavia, per quante colorite
ipotesi si potessero fare, i fatti restavano. Wendigo era un solitario. Quello
che stava succedendo era una tragica eccezione, e forse, la spiegazione
riguardava questi tre campioni del Popolo molto da vicino -se i Consiglieri
avevano ragione, e di solito l’avevano.
La pista aveva portato la
squadra di sei fino a Saint-Lo: i mostri apparivano di notte e scomparivano
all’alba, e il loro campo d’azione aveva, come centro, proprio il villaggio
turistico, meta obbligatoria per i turisti diretti al Glacier National Park in
cerca di emozioni ma non di percorsi difficili.
Il sottobranco era stato
fortunato, ad incontrare un potenziale testimone oculare, un vecchio di nome
Paul, lo stesso che ora stava dormendo nella camera occupata dai mannari. Lo
stesso che, ora, era rimasto solo!
La presenza di Darika era
stata come un’esplosione empatica, nei cuori e nelle menti del trio: poco ci
era mancato che si mettessero ad ulularle il loro benvenuto! E, invece, se ne
erano rimasti lì, apparentemente a gustarsi le loro ordinazioni, in realtà con
uno sguardo quasi vitreo…
Poi, brutalmente come era
apparsa, la presenza della Consigliera era svanita! E Fenris con lei!
Era stato a quel punto,
accorgendosi delle espressioni scioccate dei tre stranieri, che la cameriera
che li aveva serviti, un donnone di nome Danielle, si era loro avvicinata, ed
aveva posto la domanda.
Carlos reagì per primo. Senza
dire una parola, si alzò, cioè scattò, in piedi, rovesciando la sua sedia e
quasi il tavolo. Corse davanti ad un’esterrefatta Danielle, e poi verso le
scale. Coprì i gradini a tre per volta, e giunse alla loro camera. Spinse sulla
maniglia…e all’ultimo istante, si ricordò della chiave. Un buon duplicato, a
dire il vero, per grazia di Zed, ma servì allo scopo.
La porta fu aperta, e il
mannaro Messicano entrò. Si guardò intorno: tutto a posto; anzi, il vecchio
continuava a dormire il suo sonno da ubriaco…
Carlos si sedette a vigilare
su di lui, vergognandosi di avere ceduto al panico. Con i loro sensi, e gli
altri fuori, a controllare le strade, ed il vecchio lontano dalla finestra, le
probabilità che un attentato alla vita dell’umano riuscisse a coglierli di
sorpresa erano pressoché nulle…
Di sotto, Danielle guardava
con ammirazione verso le scale. “Devo cominciare a ricredermi su di voi
giovanotti: raramente ho visto qualcuno preoccuparsi di quel vecchio
rottame…almeno, da quando è diventato un vecchio rottame.”
“Non meritiamo tutti una
seconda possibilità?” chiese Zed, distrattamente, sorseggiando la sua birra.
La donna annuì, altrettanto
distrattamente, mentre preparava il suo blocchetto e un mozzicone di matita.
“Se lo dite voi…Piuttosto, cosa prendete da mangiare? Qui non siamo al parco,
stranieri.”
Il duo prese gli articoli più
economici sul menu, e quando Danielle si fu allontanata, Rahne si rivolse a
Zed. “Qualcosa non va? Sembri…assente. Non hai trovato niente?”
Il giovane dai capelli
biondi, tirati all’indietro e sostenuti da generose dosi di gel, fece una mezza
smorfia. “Già, i microidi mandati in esplorazione non hanno nulla da
segnalare per quanto riguarda variazioni energetiche ed altre tracce a noi
‘invisibili’. Proprio così…” E sprofondò nuovamente in un pensoso silenzio.
Rahne fu abbastanza delicata da non insistere, per ora. Del resto, cosa avrebbe
potuto dirle, proprio durante questa missione? Che fra pochi giorni,
sarebbero stati tutti morti? Non proprio una bella iniezione di morale,
nossignori!
“’Turismo’.” La parola uscì
dalle labbra come fosse stata la definizione di qualcosa di spregevole. E per Nikolai Jossiphovich Apokalov, non c’era
niente di più vero, alla vista dell’attività che riempiva il villaggio. Sì, la
prudenza era diventata parte integrante degli odori, delle parole e dei
movimenti degli umani, ma ugualmente erano intenzionati a sfidare il fato…
“Patetici plebei. Andare in
giro a spalancare gli occhi come pecore al macello e seminare spazzatura come
se si trovassero nella loro dacia. È un miracolo che questa terra mantenga
ancora un aspetto di verginità.”
Apokalov procedeva per le
strade come se fosse stato il padrone del posto. Chi lo udiva, al massimo gli
lanciava un’occhiata rabbiosa o diffidente, faceva per rispondergli…poi, si
accorgeva degli occhi di Apokalov. Occhi di un assassino fatto e finito,
che aspettava solo un pretesto…
Quando l’ennesimo locale
decise che la propria pelle non valeva una discussione con l’arrogante
straniero, il compagno di questi disse, “Sai, tovarich, per un certo periodo
della mia vita ho davvero creduto che voi figli dello Zar foste la causa
di tutti i mali della Rodina. Se vi si potesse votare, adesso, metterei
la firma. Anche se diversi di voi erano degli stronzi caccialupi.”
Nik osservò l’altro: a parte
la licantropia, non avrebbe potuto essere più diverso, in tutto. Ilya
Dubromovitch Skorzorki, alias Volk era Siberiano, non Russo. Era letale
quanto e forse più di Apokalov, ma si faceva notare per i suoi modi e l’aspetto
rozzi. Maglietta bianca e impermeabile di cerata nero. Blue Jeans di
terz’ordine e stivali alti in cuoio nero; quello era sia il suo abbigliamento
‘ordinario’ che quello ‘da battaglia’. Attirava così vistosamente l’attenzione,
insieme al suo marcato accento, da distrarre l’attenzione sul suo vero scopo,
durante quella che era un’attenta caccia.
“Non la mia famiglia,”
disse Nik, nel suo Inglese imparato attraverso i migliori tutori privati che le
ricchezze di famiglia potessero permettergli. “Anche se i miei antenati, di
lupine avevano solo le loro fantasie. Sentito niente di interessante,
piuttosto?”
“Solo quello che hai sentito
tu: elicottero in arrivo.”
Nik si tolse una ‘cipolla’ dal
taschino; era un pezzo placcato di fine oro massiccio, con una testa di lupo
incisa sul dorso. Lo aprì con uno scatto. “Hm. Sono in anticipo.” Sia lui che
Ilya puntarono gli occhi verso il cielo, occhi capaci di vedere a distanze ben
più elevate rispetto a quelli umani; e non c’era dubbio, l’elicottero era
quello della polizia, e veniva dalla direzione del vicino aeroporto. C’era da
scommettere che portava gli agenti speciali dell’FBSA, mandati in soccorso
della polizia locale; i Canadesi non li avevano espressamente chiesti, ma dato
che una delle ultime vittime era un cittadino Americano…
Ilya guardò verso un altro
vicolo. “Già. Meglio sbrigarci, prima che diventi troppo affollato.”
Dirigendosi verso il vicolo,
Nik ne approfittò per chiedergli, con un tono di voce così basso da rendere le
parole inimpercettibili ad un umano, “Come mai hai scelto di diventare lupo?
C’erano dei Votati, nella tua famiglia?”
“Non so cosa siano questi
Votati, ma una cosa è certa: come sicario del KGB, ho avuto modo di lavorare da
solo in molte occasioni, spesso muovendomi nelle steppe…E fra una missione e
l’altra, ho imparato a conoscere i lupi; ho cacciato con loro, corso insieme a
loro, e lottato con loro…Li ammiravo e li amavo come nessun altro al mondo.
“Ci sono popoli umani che
pensano di avere sofferto, ma nessun uomo è stato perseguitato come i lupi, e
loro sono ancora lì, a ricordarci che faranno l’impossibile per continuare ad
esistere quando l’Uomo si sarà estinto per la propria stupidità.
“Volevo essere come loro, e
mi sono offerto volontario per l’innesto di geni di lupo. I miei superiori
volevano l’arma finale, ma neppure loro poterono controllarmi a lungo, una
volta che avevo ottenuto il mio scopo…Eh?”
Ogni loro senso era teso al
massimo. Suoni e odori provenienti dalle case avevano ben pochi segreti. Fino a
quel momento, la tensione fra le mura domestiche avrebbe potuto essere pesata,
ogni famiglia e single erano come bombe in attesa di esplodere…
E, finalmente, l’esplosione
ci fu. Da un appartamento al secondo piano di una palazzina, per la
precisione….Cercavano di mantenere un tono basso quanto bastava per sfogare i
loro rancori. Gli incauti!
“E cosa avresti intenzione di
fare, con quella?” La domanda la pose, in tono di sfida, una voce femminile,
giovane.
Una zaffata di vento portò
giù l’odore attraverso una finestra chiusa ma non stagna; odore di metallo e
polvere da sparo! Ed insieme a quell’odore, la puzza di paura e di rabbia di un
maschio anziano. “Intendo impedirti di commettere una sciocchezza, Marie! Non puoi
metterci in pericolo tutti, hai già fatto abbastanza sciocchezze.
Questo….problema passerà, se solo vorrai…”
L’odore delle emozioni si
stava intensificando. L’umana adulta era presente, e taceva; era facile
immaginarla in un angolo, immobile, capace solo di osservare ad occhi sgranati,
troppo spaventata per metterci parola…
“Passare?” La voce della
ragazza era un crescendo d’ira. “Voi potete fingere che vada tutto bene, che nessuno
in questo cazzo di paese ne sappia nulla! Mi dispiace, papà, i mostri esistono,
e sono qua fuori, pronti a divorarti, mentre voi tacete, sperando che non si
accorgano di voi! E vuoi sapere una cosa? So chi sono e so come evitarli;
quindi, papà, piantala con quella pistola e lasciami uscire. Non potrai
impedirmelo per sempre…” Ma, già al ‘so chi sono’, in strada non c’era più
nessuno ad ascoltarla…
“Non te lo posso permettere.”
La pistola era puntata, ma le mani del vecchio tremavano. La sua espressione
severa era spezzata dal labbro tremante e dalle lacrime che avevano appena
iniziato a scendere. Come i licantropi avevano immaginato, la madre della
ragazza se ne stava seduta su una poltrona, ‘freddata’ con il piattino con
tazza di tè sul grembo. Aveva l’aria di chi non riuscisse a capire se quello
spettacolo stesse accadendo per davvero o meno.
Il vecchio scosse la testa
per l’ennesima volta. “Noi ti vogliamo bene, Marie, ma questo deve finire. Lo
capisci? È solo una questione di…”
Marie era una ragazzina,
appena sulla soglia della maturità, il corpo già promettente ma vestita come la
teenager che ancora era, con tanto di una zazzera castana condita da cosmetici
ad effetto-gel. Ancora una volta, Marie levò gli occhi al cielo con fare
drammatico. “Papà, non puoi dirmi cosa fare per…ODDIO!”
Avvenne in un attimo! Più
tardi, alla Polizia prima ed all’FBSA poi, Thomàs Caldron avrebbe ammesso, con
propria grande vergogna, di essere stato preso da un senso di mostruoso
terrore, come se dalla porta fosse arrivato l’angelo della morte in persona. La
stessa sensazione sarebbe stata riferita dalla Sig.ra Antoniette, che avrebbe
aggiunto di essere svenuta un attimo dopo. Nessuno dei due avrebbe saputo
descrivere l’intruso, se non come una specie di ombra, velocissimo. Aveva
aperto la porta con una sola spallata, distruggendo come niente la serratura,
si era introdotto ed aveva portato via Marie fra le sue braccia, senza il
minimo sforzo, per poi gettarsi dalla finestra.
Quanto alla testimonianza di
Marie, be’, torniamo al momento in cui vide la porta di casa spalancarsi verso
l’interno, mentre la serratura saltava. Il condominio era stato realizzato in
economia, e quella era una zona a tasso quasi nullo di criminalità: le
porte blindate erano roba da cittadini-femminucce!
Marie non ebbe neppure il
tempo di pensare ad una frase di avvertimento per il padre. La mostruosa ombra
nera fu dentro -era una testa di lupo,
quella sulle spalle?- e le fu addosso! Sentì un braccio pieno di pelliccia e
muscoli duri come il ferro afferrarla come fosse stata senza peso, e l’attimo
dopo sentì vetro e legno spaccarsi. Frammenti cristallini e schegge sottili le
si infilarono nei capelli e le graffiarono le guance, poi cominciarono i
sobbalzi. L’adrenalina scorreva a fiumi, rendendola conscia di ogni
particolare, dall’aria fredda al proprio cuore impazzito, all’odore animale che
l’avvolgeva. Chiunque fosse quel tizio, non era umano! Non si era messa ad
urlare, fino a quel momento, perché era stata troppo spaventata; poi,
improvvisamente decise che non aveva davvero voglia di vedere come sarebbe
stata zittita!
Le evoluzioni del mostro li
avevano portati sui tetti, e da lì era iniziata una corsa veloce. La polizia si
stava facendo sentire, finalmente, ma sembrava così lontana..!
Poi, la creatura si fermò.
Senza molta grazia, Marie fu depositata a terra, dove atterrò sul sedere. Prima
ancora che potesse spiccicare parola, un dito artigliato le si posò sulle
labbra. Dio, non aveva mai visto un artiglio così simile ad un pugnale!
Non così da vicino, almeno!
“Ssshh,” disse la voce del
mostro, una voce gutturale e profonda. Lei staccò a fatica lo sguardo da quel
dito, e incontrò un paio di occhi di puro smeraldo, accesi dell’inconfondibile
fuoco assassino del predatore. Gli occhi di un lupo.
“Un solo grido, e pasteggerò
con le tue carni.”
Marie annuì freneticamente.
Gli credeva, oh, come gli credeva. Istintivamente, chiese, “Chi…cosa
sei?”
Restando accosciato,
l’uomo-lupo dalla pelliccia nero-bluastra, completamente nudo ad eccezione di
alcune fasce piene di tasche disposte sul torace, intorno alle spalle, ai polsi
ed alle cosce, disse, “Mi chiamo Hellwolf, miss Marie. E lui è il
mio…collega, Volk. E abbiamo qualche domanda da farti.”
Lei si voltò a guardare un secondo
licantropo. Aveva un pelo leggermente più lungo, di una sfumatura
grigio-azzurra, ed un ciuffo nero che lo coronava come una corta criniera.
Indossava una specie di armatura, che non aveva bisogno di coprirlo
completamente per sembrare letale. In una mano, il mannaro portava una pistola
-e chissà perché, quel particolare quasi la fece scoppiare in una risata! Che
cavolo se ne facevano quei mostri, di un’arma da uomini? “E…cosa
vorreste chiedermi? Hm? L’ingrediente segreto della nonna per la crostata di
neonato? Oppure*glick!*” deglutì, quando si vide una mano piena di quegli
artigli circondarle la gola.
“I mostri. I Wendigo. Hai
detto di sapere dove sono. Diccelo, e ne uscirai viva.”
“I..?” Marie deglutì ancora,
quando avrebbe voluto mettersi a ridere di nuovo. “Vi sbagliate. Non stavo
parlando di quei mostri, ma dei miei amici. Lo giuro,
Diotipregocredimi!”
I due mannari si scambiarono
un’occhiata che era un punto interrogativo.
Marie stava quasi ansimando, avendo
finalmente realizzato in quale mortale pericolo si trovava. “I miei
amici…alcuni sono tossicodipendenti. La droga è arrivata a Saint-Lo con dei
turisti qualche mese fa, e alcuni miei amici ora sono nel tunnel, sono loro i
‘mostri cattivi’ secondo mio padre, volevo solo provocarlo. Oddio, ti prego,
non volevononvolevo…”
Odore e tono di voce
parlavano di verità. La mano fu ritirata. I due mannari bestemmiarono qualcosa
in un dialetto Russo. Nella stessa lingua, si scambiarono qualcosa, e
finalmente si rivolsero di nuovo a lei, tornando all’Inglese.
“I tuoi amici…quelli
drogati,” disse Volk, la cui voce, nonostante le inflessioni della gola
bestiale, era meno morbida, più rauca, della voce di Hellwolf, “Conoscono i
bassifondi di questo paese?”
“Uh…” rapidissima occhiata a
‘wolf, “Bazzicano il ‘quartiere fantasma’. In origine, erano i magazzini, ma
dopo che una slavina ne ha travolti la metà, nessuno si è preso la briga di
prendere gli altri e ripulire la zona. Lo sanno tutti che i tossici si radunano
lì, ma chiudono gli occhi, e…” vide un altro scambio di occhiate e di assensi
fatti di fliccar d’orecchie. Poi, Hellwolf disse, “Portaci lì.”
Carlos cominciava a chiedersi
se non avesse fatto un colossale errore a scegliere proprio la strada del Pack,
per incamminarsi verso la redenzione!
Da quando il lupo era emerso
per la prima volta, Carlos aveva deciso di adottarne i tratti più sanguinari
che la cultura aveva applicato all’animale. Aveva fatto propri quei tratti in
tutto e per tutto, decidendo che così era che un lupo forgiava la propria vita.
E aveva trascinato il suo povero fratello, Eduardo, nella sua sete di
sangue…
Come si era sbagliato! Ben
altra cosa, era il re delle foreste, e accettandone le vere vie, stava
scoprendo di stare per bruciare un ponte molto importante con il suo passato, e
proprio ora che credeva di stare innamorandosi…
Innamorandosi di Glory
Grant. La donna di Eduardo, la sola donna dopo la defunta Esmelda
capace di placare il cuore del lupo…
Dio, come le mancava! E,
forse, visto come stavano procedendo le cose fra Rahne e Jon Talbain,
c’era davvero una possibilità concreta che non avrebbe mai potuto essere più
che un…buon amico, per lei. E niente altro…Hm?
Sirene della polizia! E, un
attimo dopo, un crescendo di voci concitate dalla strada. Questa non ci
voleva!
In quel momento, l’odore del
loro ospite cambiò Era ancora immobile, ma era chiaro che ormai era prossimo ad
aprire gli occhi…
E Paul aprì gli occhi, di
colpo. I suoi sensi furono subito all’erta. Era pienamente cosciente dell’ambiente…e
della presenza alle sue spalle. Nonostante fosse tutt’altro che tranquillo,
riuscì a mantenere il suo respiro sullo stesso ritmo di quello del sonno,
sperando di ingannare chiunque stesse vegliando su di lui…
“Ben svegliato, hombre,”
disse Carlos.
Cavolo! Paul si voltò. Il sonno lo aveva un minimo ripulito
dal veleno, ed ora poté rivolgersi allo straniero con una parvenza di lucidità.
“Prima di doverti maledire, potrei sapere il tuo nome?”
Sentendolo parlare, Carlos si
accigliò. Quando lo avevano salvato da sicuro assideramento[xli],
quell’uomo, nel suo stato di ubriachezza, gli era sembrato uno spirito
tormentato, sofferente, ma basicamente una brava persona. Adesso, invece, c’era
qualcosa di…oscuro, in lui. E non tanto per le sue parole, quanto per le
emozioni che le oscuravano. Anche il suo odore era drasticamente cambiato,
venato da qualcosa che incitava il mannaro a cambiare forma e strappargli la
gola…No, in un certo senso, quest’uomo non era la stessa persona di ieri
notte.
Carlos si presentò. E,
qualunque altra cosa stesse per chiedergli Paul, l’uomo fu interrotto
dall’aprirsi della porta. Carlos fu il primo ad accorgersi del brusco
accentuarsi dell’’aura’ negativa dell’uomo, anche se solo per un momento.
Rahne e Zed entrarono.
“Carlos,” disse lei, “gli altri hanno forse scoperto qualcosa. Sono sulla
pesta, adesso, e ci terranno aggiornati. Dobbiamo…” solo allora, si accorse di
Paul. E anche lei, Carlos vide, si irrigidì, in guardia, per un istante. Per
contro, Zed non ebbe alcuna reazione.
Paul si alzò in piedi.
“Magnifico. Ora che ci siamo visti tutti, vi ringrazio per l’aiuto eccetera
eccetera; scusatemi, ma devo proprio andare. Non ho avuto un goccio da ieri,
e…” Aveva iniziato ad incamminarsi verso la porta, quando fu afferrato per un
braccio.
“Non così in fretta,” disse
Carlos. “Dobbiamo parlare. Di una nostra comune conoscenza. Di Wendigo.”
Il vecchio si morse il labbro
inferiore: sapeva, dalla loro postura e dalle loro espressioni, che mentire non
gli sarebbe servito. Erano del Popolo! I loro sensi erano acuti, loro avrebbero
scoperto tutto, in un modo o nell’altro. C’era solo una cosa, da fare… “Io non
ho nulla da dirvi. Perché non lasciate in pace un povero vecchio?”
Trasformazione! Mentre
pronunciava quelle parole, voce, odore, postura -era il vecchio Paul, la
vittima di un fato crudele, e basta. Carlos esitò, allentò la presa.
Paul ne approfittò per
spingerlo via, con una forza insospettata, e uscì di corsa dalla porta aperta,
gridando a pieni polmoni, con tutta la paura che potesse mettere su, “Aiuto!
Mutanti! Mostri! Mi vogliono uccidere!”
Carlos, Rahne e Zed lo
seguirono al volo, ma quando anche loro si avventurarono per le scale,
scoprirono che Paul, alla fine, godeva di un minimo di rispetto da parte dei
compaesani; perché una folla si era radunata alla base delle scale, e nessuno
sembrava bene intenzionato verso gli stranieri!
“Mi sa che abbiamo toppato di
brutto, vero?” fece Carlos, osservando Paul prendere il largo attraverso
l’uscita, scortato da un poliziotto. L’ironia era che, forse, quel casino non
sarebbe successo, se non fosse stato per la proditoria azione di Hellwolf, che
aveva aggiunto una tacca alla tensione generale…
“Fermi dove siete, muties!”
fece qualcuno fra i civili, puntando una Magnum a tamburo all’indirizzo del trio.
Anche il proprietario del locale fece lo stesso, con una doppietta.
“Ritirata veloce, Zed,”
sussurrò Rahne. “Sei pronto?”
In tutta risposta, il giovane
cambiò di colpo forma! Il suo corpo si trasformò in una spessa barriera fatta
di circuiti e metallo! Come previsto, il civile e l’oste spararono verso la
fonte del movimento. I loro colpi si infransero contro la barriera vivente. E
quando la barriera si ritirò, scorrendo di nuovo come liquido dentro la stanza,
anche gli altri due se n’erano andati!
Lo stupore generale non durò
molto, giusto il tempo di bestemmiare e dirigersi lungo le scale,
all’inseguimento. Ma, posti i piedi sui primi gradini, ci fu il suono di uno
schianto, seguito da quello…di un razzo??
Il piccolo apparecchio, una
sorta di deltaplano a motore, si levò nel cielo dopo avere poco elegantemente
sfondato il muro della camera. Di sotto, le sirene si moltiplicarono, e il
panico iniziava a farsi largo fra la gente.
Questa strategia era stata
attentamente discussa nel Pack, mentre si lanciavano verso il Canada. Era
meglio che fosse Zed, cioè Warewolf, ad attirare tutta l’attenzione
possibile su di sé, in modo da lasciare più spazio di manovra agli altri. La Phobia
doveva essere usata per distrarre eventuali spettatori solo se strettamente
necessario.
Rahne e Carlos stavano
sdraiati parallelamente nel corpo del mannita. “Non corriamo rischi inutili,”
disse la licantropa Scozzese. “Non con l’FBSA in arrivo. Preparati a fare come
dico…”
L’apparecchio fece una
cabrata perfetta, e tornò verso il villaggio. Scese di quota, fino a sfiorare
la larga Main Street. Era velocissimo! Si lasciava dietro una scia di polvere e
neve. La maggior parte della gente scappò a gambe levate non appena aveva visto
la manovra. Nessuno si sarebbe fatto del male, ma questo, naturalmente, non lo
sapevano.
In compenso, com’era
prevedibile, ci fu qualcuno, più d’uno, che decise che quell’’invasione’ era la
goccia che faceva traboccare il vaso. Qualcuno armato, che non esitò un istante
a puntare e sparare!
Miracolo od ottima mira che
fosse, i proiettili andarono a segno! La rosa di pallettoni colpì sia l’ala che
uno dei propulsori. Fiamme e volute di fumo si levarono dall’apparecchio, il
cui assetto vacillò visibilmente. Per un attimo, l’uccello artificiale sembrò
essere lì lì per cadere. Poi, con un’ultima fiammata dei razzi, esso si
impennò. Uscì dal villaggio, e al culmine della sua parabola, precipitò.
Pochi istanti dopo, si udì un’esplosione, e una colonna di fumo e fiamme si
levò al cielo.
Ci furono delle grida di giubilo
fra la folla. Prima uno, poi un altro, poi tutti coloro che avevano assistito
si precipitarono all’inseguimento.
“Sto per vomitare. Giuro che
sto per vomitare. Oddio…”
Normalmente, Marie non si era
preoccupata più di tanto per i suoi ‘amici’. Anzi, da quando l’avevano
minacciata per rubarle i soldi per le loro dosi, lei aveva fatto proprio quello
che qualunque benpensante si premuniva di fare in simili occasioni: aveva
voltato loro le spalle, decidendo di dimenticarli. Poi, quando i massacri nel
Parco erano iniziati, giorno dopo giorno, Marie aveva cominciato a
preoccuparsi.
Alla fine, che le piacesse o
no, quei ragazzi erano stati suoi amici da quando erano bambini, in un
paese dove ci si conosceva tutti…E quella sera, voleva andare proprio da loro.
Quando quei mostri le avevano
detto di portarla al Quartiere Fantasma, non le era passato per la testa di
fare l’eroina e prenderli in giro: aveva avuto paura, e se ne sarebbe
vergognata dopo. Per ora, voleva almeno vedere se i ragazzi stessero bene.
La puzza della carne
putrescente, del sangue e degli escrementi li aveva raggiunti nel momento in
cui avevano messo piede nella zona disastrata: era come una cappa, opprimente,
che gridava loro di andarsene, e in fretta! I lupi avevano reagito drizzando il
pelo e snudando le zanne. Se lei lo sentiva così forte, come doveva
essere per loro?
Avevano camminato in quel
posto di morte, con Volk ed Hellwolf più prudenti che mai. A quel punto, Marie
aveva capito che non li avrebbe trovati vivi…Ma, ancora, sperava, e pregava…
Le preghiere le morirono
dentro quando, aperta la porta arrugginita di un magazzino, si erano trovati di
fronte la fonte del fetore. E di qualcos’altro. E tutti seppero di essere
arrivati nella tana dei Wendigo.
Hellwolf disse, “Voi restate
qui.” Ed entrò.
Erano in cinque, tutti
maschi, gli amici di Marie. Cinque ragazzi la cui gioventù era stata rubata
prima dall’eroina e poi da ben altri tipi di mostri. I loro corpi straziati
erano disposti in un cerchio perfetto, ai vertici di un pentacolo disegnato con
il loro stesso sangue. Al centro del pentacolo, della materia grigiastra era
stata usata per tracciare una Parola. Il Sole faceva capolino attraverso
squarci nel soffitto, illuminando corpi sventrati e dissanguati. Hellwolf
riconobbe il segno dei morsi e degli artigli, così come a morsi erano state
aperte le scatole craniche ora prive di cervello. E materia cerebrale era
quella che componeva la Parola…
I suoni dei conati di Marie
lo riportarono al problema immediato. Si rivolse a Volk in Russo. «È come
sospettava il Consiglio: questa Parola è stata estratta dal Darkhold. C’è la mano di Chton dietro a questa follia.»
«Non
credevo che il Popolo-Ombra potesse arrivare a tanto,» rispose l’altro,
scuotendo la testa. «Non dovrà restarne in vita uno solo, o la Caccia troverà
nuovo vigore…Ma perché lo hanno fatto? E’ così…umano…»
«Discuteremo
di psicologia comparata dopo, Bolscevico. Adesso, dobbiamo mettere al sicuro
l’umana, o ci sarà di impaccio per il compito che ci aspetta.»
“Parlavate
di me, per caso, stranieri?”
Si
voltarono tutti di scatto, Marie ed i lupi -questi ultimi alquanto sorpresi per
essere stati colti di sorpresa in quel modo!
Soprattutto
dal vecchio Paul. L’uomo emerse dalle ombre del magazzino; procedeva con
sicurezza di sé, lontano anni luce dall’ubriacone indifeso. Come per Fenris,
quello era solo un simulacro, un guscio che gli tornava comodo per mescolarsi
alla gente, attirarla in trappola…e mangiarla. “Sssìì, tutta questa carne da offrire in pasto
alle potenze oscure. Il mio signore ne sarà tanto felice. E mi darà tanta forza
in più, per dargli altre anime…” L’aura di morte lo circondava, la corruzione
lo seguiva ad ogni passo. Era peggio che posseduto, era cosciente di esserlo ed
era completamente pazzo! “Quella lingualunga di Danielle…tsk, se solo avesse
saputo. Se solo avesse saputo che Paul non incontrò il Wendigo, quella notte
fatale…Ci eravamo persi, sapete? Molto stupido, da parte mia. Cinque giorni
senza provviste, in mezzo alla tormenta. Avevamo fame, ma io ne avevo di più, molta di più. Lo avete capito,
alla fine, vero? Appartengo al Popolo-Ombra, e ho pagato la mia fame diventando
Wendigo…Ohh, ma non avrei sacrificato la mia vita, o il mio nuovo potere, la
mia invincibilità.
“So
che la maledizione finisce col saltare da un cannibale all’altro, lasciandosi
dietro un cadavere e un’anima dannata per sempre. E così, ho deciso di
rivolgermi al nostro vero signore, e alle arti oscure, per fare diventare parte
di me una maledizione che gli Dei Antichi stessi avevano posto.” La carne iniziò
a tremare, i capelli cambiarono colore. I denti diventarono zanne acuminate,
gli occhi braci rosse. Una coda spuntò dal bacino di un corpo improvvisamente
muscoloso e robusto. La voce divenne un ruggire ferino, intrisa di sfumature di
odio puro, di sete di sangue. “La maledizione è saltata al nuovo stolto di
turno, ma io ho mantenuto il potere, perché, in fondo, non c’è affinità fra i figli degli Dei
Antichi?”
Il
suo volto era un incrocio fra quello del Wendigo e quello del lupo, a riprova
della veridicità delle sue parole.
Questa
creatura non era il Wendigo. Era molto peggio! Era un mannaro capace di spargere la
maledizione di entrambe le progenie degli Dei Antichi…
Episodio 20 - Di uomini e
mostri (III parte)
Base Echo, Columbia Mountains
Region, Canada
Il cuore della base, il
nucleo operativo di questa struttura nascosta fra le montagne più impervie, era
una grande stanza cilindrica, alta venti metri, divisa in quattro livelli. Ogni
livello conteneva cinque celle spaziate in modo regolare. In ogni cella c’era
una creatura umanoide…ma molto più possente di un umano, di postura digitigrada
su zampe lupine, il corpo nudo coperto da una folta pelliccia bianco-grigia. I
loro crani erano indubbiamente lupini, e nei loro occhi scarlatti brillava un
odio senza pari.
Ognuno dei Predatori nel Buio era sospeso in una
specie di vasca piena di un liquido verde chiaro. I loro arti erano saldamente
tenuti insieme da manette di adamantio B. Dalle loro schiene uscivano dei tubi
metallici, ognuno collegato ad una vertebra della colonna spinale; i tubi erano
collegati alla parete della cella, ed aggiungevano tormento ai prigionieri.
“Mi auguro di vedere dei
risultati molto presto, sig. Pulmann,” disse l’uomo dalla barba e capelli
grigi, avvolto in un camice bianco sbottonato e pieno di mostrine. Camminava
impettito di livello in livello, le mani infilate nelle tasche del camice,
fissando le creature con disprezzo e divertimento.
Il suo nome era Vincent Lagorge, ed aveva dedicato la
sua vita alla scienza…o, per la precisione, ai risultati che la scienza poteva portare. Non importava con quale
metodo, quest’uomo si era tristemente distinto per la sua capacità di
raccogliere informazioni con i mezzi più cruenti. Come conseguenza, i suoi
risultati erano stati interamente disconosciuti dalla comunità scientifica. E
per quegli esperimenti, Lagorge era stato condannato all’ergastolo
Fu la misteriosa
organizzazione nota come lo Stato a
liberarlo dalla prigionia. In cambio della sua ‘morte’, e di una fedeltà incondizionata,
i suoi nuovi datori di lavoro gli offrirono mezzi pressoché illimitati…e la
Base Echo, in un’area tranquilla, ricca di animali per i suoi esperimenti,
abbastanza vicina alla civiltà da garantirgli qualche cavia umana ed abbastanza
lontana dalle metropoli da non doversi preoccupare delle autorità.
Recentemente, Lagorge aveva
avuto la fortuna di imbattersi in un intero branco di quelle elusive,
leggendarie creature. Dalle loro potenti ghiandole contava di ottenere una
droga stabile capace di fare impallidire quelle patetiche trovate da studenti
del D-K e del POWER. Se fosse riuscito a trasferire la potenza fisica dei
Predatori in un uomo, mantenendo la lucidità di quest’ultimo, lo Stato avrebbe
avuto i soldati perfetti, invincibili!
Purtroppo, recentemente, la
loro segretezza era stata messa a rischio dalla presenza in zona di un’altra
leggenda delle foreste: il Wendigo.
Il maledetto mostro mangiauomini doveva scegliere proprio quell’area, per le
sue razzie! Fortunatamente, le autorità canadesi -memori delle conseguenze di
un panico incontrollato nella popolazione, con vigilantes improvvisati, vittime
innocenti, e soprattutto un poliziotto pedofilo quale colpevole invece che il
mostro cui erano stati attribuiti i delitti- avevano deciso di elargire sanzioni
dure, ed anche il carcere, a larghe mani a chiunque si fosse permesso di agire
senza il loro permesso.
E così, almeno, le sole
pattuglie nella foresta erano quelle delle Giubbe Rosse. Presto, però, ci si
sarebbe messa anche l’FBSA, ad indagare. Perdere tempo non era un’opzione; non
quando un altro Predatore, ancora libero, vagava per le foreste.
“Stiamo veramente facendo il
possibile, Signore,” disse l’azzimato e più giovane Adrian Pulmann, che gli
camminava affianco, consultando il suo palmare. “Il guaio è che, una volta
estratte dal corpo dei Predatori, le loro cellule degenerano velocemente, non importa a quale stadio di conservazione
le portiamo…Mutano talmente in fretta che non ci è possibile fare un’analisi
dettagliata del DNA. Sappiamo solo che non sono lupi. Anzi, la complessità dei
cromosomi suggerisce che siano basicamente umani.”
Lagorge annuì. “E se le
uccidessimo, la loro intera struttura cellulare potrebbe andare in pappa. Tss,
stupidi mostri! Ma non importa: uno solo di voi non potrà fare certo il
miracolo di liberarvi, non soprattutto dopo che il nostro ‘cane da guardia’ lo
avrà sistemato a dovere.” Ridacchiò.
Voi che mi conoscete col nome
di Predatore nel Buio sappiate che il
mio nome è Vurcan, e che io ed i miei
fratelli apparteniamo alla stirpe dei Devianti.
I miei antenati ebbero la
ventura di nascere con l’aspetto che si è poi trasmesso di generazione in
generazione. Essi furono un evento raro, per la nostra gente, a Lemuria: due gemelli, maschio e femmina,
con lo stesso aspetto.
Sfortunatamente, tale
singolare coincidenza era anche considerata una maledizione da alcuni sacerdoti
estremisti. I miei antenati furono banditi insieme ai loro genitori, costretti
a vivere senza alcun aiuto dai loro simili e con l’ombra perenne della
persecuzione da parte degli umani e degli Eterni.
In qualche modo, i due
piccoli riuscirono a sopravvivere. Dovettero imparare molto presto il valore
della cooperazione, e quando furono maturi decisero di accoppiarsi tra loro pur
di restare uniti; non credo ci sia stata altrettanta devozione fra un Deviante
ed un altro, se non in rarissime volte, nella nostra storia.
Quell’accoppiamento ebbe
anche il risultato di dare vita ad una stirpe uguale ai genitori, un’altra
rarità. In questo modo si perpetuò una razza a parte, prolifica, ma costretta a
limitarsi nel numero, pena il venire scoperti.
Nei nostri peregrinaggi,
durati secoli, senza una tana fissa, i miei antenati, il primo branco, giunsero
in un posto strano, una piccola città di nome Revelation. Gli umani che l’abitavano erano davvero la società
più…originale che avessero mai incontrato. Accolsero noi Predatori per i profughi che eravamo, e ci lasciarono
usare la miniera come tana, mentre sarebbero stati loro stessi a procurarci il
cibo.
Io nacqui qualche anno dopo.
Possedevo una personalità molto indipendente, e quando fui cresciuto abbastanza
da procacciarmi il cibo da solo, lasciai il branco ed iniziai a vagare per il
mondo, sicuro nella mia giovanile arroganza di essere invincibile, di non avere
nulla da temere da nessuno. L’unica cosa che fu permesso di prendere fu questo
ciondolo composto da una scheggia di un cristallo
cronale presente nella miniera.
Imparai quanto fosse sciocco
tale atteggiamento, quando una semplice tagliola quasi recise la mia gamba[xlii]. L’umano di nome
Wolverine mi salvò la vita, e fu il primo essere al di fuori di Revelation che
potessi chiamare amico. Nel tempo, mi
salvò altre volte[xliii] dalla perfidia degli
altri umani…ma era destino che non potessi conoscere la pace.
Una serie di eventi portò me
e due miei nuovi amici indietro nel tempo[xliv],
per la precisione duecentocinquanta anni prima, proprio all’epoca del primo
branco. Riuscii a rintracciarli, e mi misi al loro comando, per qualche anno.
Usai la mia esperienza per
prevenire molte morti dei nostri, ed anche per aiutare qualche volta dei membri
del Popolo[xlv]…ma così facendo,
inconsapevolmente, ancora una volta preda del mio affrettato giudizio, avevo
dato origine ad una diramazione temporale.
Stavo minacciando la mia esistenza e quella della mia gente, e non sapevo come
rimediare. Avevo il cristallo, ma non sapevo come usarlo.
Fu allora che si presentarono
a me il Consiglio del Popolo e Opal-Luna Saturnyne Mastrex dell’Onniverso.
Secondo le direttive temporali, lei avrebbe dovuto togliermi il cristallo e
condannare all’oblio coloro che avevo salvato. Il Consiglio intercedette per
noi, e chiese che fossimo messi semplicemente in condizione di non nuocere;
sarebbe stato il destino, a suo tempo, a decidere il nostro cammino.
Opal accettò, e noi
‘anomalie’, come ci chiamò lei, fummo ibernati. Per essere ancora più sicura,
però, la Mastrex alterò le emissioni del mio cristallo, in modo che il tempo,
per me, continuasse a passare. Contava sul fatto che se fossi morto, i miei
simili non avrebbero pensato a prendere il cristallo.
Nel ventesimo secolo, fummo
liberati, ironicamente, proprio dall’inquinamento atmosferico, che sciolse la
nostra prigione[xlvi]. I miei fratelli,
purtroppo, erano affamati, e fecero scempio di molti degli umani di un vicino
insediamento; ancora una volta, in quell’occasione, fu Wolverine a impedire che
il massacro proseguisse. Io ero quasi impazzito per l’azione combinata del freddo
e dell’età, e fu lui a riportarmi alla sanità. Lasciammo il luogo della nostra
prigione, per tornare fra le foreste.
Purtroppo, anche se Opal-Luna
mi aveva tolto il cristallo, le sue energie erano diventate parte di me,
conferendomi quel potere di ‘ripetizione’ temporale che talvolta ho usato. Ma
il prezzo da pagare per la libertà continuiamo a pagarlo, io ed i miei fratelli
e sorelle: il nostro branco non può riunirsi a quello di Revelation. Noi
dobbiamo restare morti, per loro.
Ho accettato di unirmi alla
vostra lotta per ripagare almeno il debito di vita contratto con il
Consiglio…Ma non posso dimenticare il mio dovere verso coloro che devo
proteggere, a qualunque costo, incluso l’abbandonarvi, se necessario.
Nel folto delle foreste
canadesi, cinque lupi mannari si scambiarono occhiate pensose, quando quel
racconto fu terminato.
Purtroppo, quando
Ø
Sir Wulf,
timberwolf americano, il capobranco del Power Pack,
Ø
Ferocia, la
licantropa-strega dell’era Hyboriana,
Ø
Kody, il
giovane mezzosangue figlio di mannaro e di strega,
Ø
Jon Talbain,
il Campione del Popolo,
Ø
Maximus Lobo,
potente membro del ramo mutante dei licantropi,
avevano intrapreso, insieme
al resto del Pack, la missione di rintracciare un Wendigo in odore di
licantropia, l’ultima cosa che si erano aspettata era di scoprire che i simili
del loro compagno, il Predatore nel Buio
erano prigionieri di una qualche organizzazione umana. Questo rappresentava un
problema non da poco, e non tanto per la liberazione degli innocenti in sé:
quello che Wulf temeva era il rischio di attirare indebita attenzione sul
Popolo. L’ultima cosa che si auspicavano era un’alleanza fra l’alto sacerdote
di Set, Thulsa Doom…
Ma, nel bene e nel male, il
Predatore era branco. Il suo destino era il loro. E potevano solo sperare che
gli altri se la sarebbero cavata, nel frattempo[xlvii]!
Sir Wulf posò le mani sulle
spalle della possente creatura dalla bianca pelliccia, e gli leccò il muso.
“Sei branco e combatteremo con te. Abbiamo solo bisogno di un piano adatto.” E,
che gli altri fossero d’accordo o no, ora che il capobranco aveva parlato, lo
avrebbero seguito fino all’inferno se necessario.
“Solo una cosa non capisco,”
disse Talbain. “Perché la storia dell’’alieno’, e lo strano accento? Se ci
avessi detto la verità fin dall’inizio, ti avremmo accettato con maggior gioia.
Il Popolo conosce bene le sofferenze di chi è costretto a nascondersi dalle
persecuzioni…”
“Ho chiesto al Consiglio di
perpetrare l’inganno,” lo interruppe il Predatore, “perché non volevo che
attraverso di voi i nemici dei Devianti decidessero di colpire il mio branco.
Mi ero costretto a pensare a me stesso in termini diversi, per ingannare un
telepate non molto potente.
“Se dovevo morire, sarebbe
stato senza coinvolgere gli altri…Ma ora, non posso farcela da solo.” La sua espressione
era di grande sofferenza, le sue orecchie piegate, sembrava così fragile. “Dobbiamo fare presto.”
Sir Wulf si voltò a guardare
nella direzione delle montagne. “E presto faremo, se…” le sue orecchie
triangolari furono le prime a fliccare. Altre quattro seguirono a ruota. Il
vento aveva cambiato direzione, solo per un momento, ma era stato sufficiente.
Aveva portato non odori, ma
un suono. Di un passo! Vicino.
Dietro di loro.
Non appena i lupi lo ebbero realizzato, qualcosa esplose dalle fronde! Un
qualcosa di umano, a braccia protese in avanti…e aguzzi artigli che spuntavano
dai suoi pugni! Talbain, il più vicino all’aggressore, reagì altrettanto
velocemente, facendo scattare una zampa di taglio, gli artigli uniti ed estesi
come pugnali.
Contatto.
Un lungo squarcio si disegnò
lungo la spalla sinistra del Campione del Popolo -niente che il fattore di
guarigione della sua specie non potesse risolvere. Almeno, l’attacco fu
sventato…o quasi. Gli artigli del lupo avevano scavato uno squarcio nel torace
dell’altro…ma questi non ne sembrò affetto. Atterrò con una capriola proprio
davanti al Predatore, e si preparò a colpirlo al ventre… Ma, per quanto veloce,
non lo fu abbastanza per gli arti del Deviante, che afferrò entrambi i polsi in
una presa indistruttibile. “Sei veloce, Albert,
ma non abbastanza, te ne sei dimenticato?”
“Albert? È quello il suo nome?” fece Talbain, ora
quasi completamente guarito.
In effetti, quello che li
aveva appena attaccati era senza dubbio Wolverine,
nel suo classico costume marrone da X-Man.
“Non ha odore: è un
roboooff!” il Predatore fu colto di sorpresa dalla reazione successiva della
macchina, che fece leva per scaraventarlo sopra di sé! Il Deviante finì contro
un albero. Solo a quel punto tutti videro le scintille, e non il sangue, che
uscivano dalla ferita al petto di ‘Wolverine’ -una ferita che si stava
rapidamente rimarginando…
“Un robot?” Sir Wulf estrasse
l’elsa della spada, per poi generare una lama di luce. “È abile. Vediamo come
se la cava con un ex Cavaliere di Wundagore!”
Una sfida che al robot andava
benissimo, evidentemente, perché si gettò addosso al capobranco senza pensarci
su due volte. Wulf si chinò leggermente, pronto ad accogliere
quell’attacco…invece, all’ultimo istante, saltò, compiendo una capriola sopra il
robot.
Purtroppo, anche la macchina
fu altrettanto lesta nel rispondere! Piroettò su sé stessa, pronta a colpire
ancora prima che Wulf terminasse la caduta…quando un braccio peloso grosso come
quello di un grizzly lo afferrò per la collottola.
“Stai diventando noioso,”
disse Maximus Lobo. “Io preferisco definirmi ‘efficiente’.” E sottolineò il
concetto scaraventando ‘Wolverine’ con la faccia contro una roccia,
sbriciolando quest’ultima. “Ferocia?”
A quel punto, una sorta di simbolo di luce le apparve addosso. Il
robot fu preso dagli spasmi, e crollò a faccia in avanti.
“Macchine…” Ferocia fece
sparire la Parola usata per fermare Albert. “Non ho mai capito perché siano
tanto valutate.”
Wulf rinfoderò la spada. “Hai
lavorato di squadra, Maximus. Ben fatto…Hm,” annusò l’aria e fece fliccare le
orecchie, “nessun altro nelle vicinanze. Dovevano avere pensato al solo
Predatore, quando lo hanno mandato. Era lui, l’obiettivo.”
“E adesso rischiamo di essere
noi,” disse Jon, indicando la macchina. “Se ha una telecamera addosso, siamo
appena stati scoperti.”
Wulf annuì. “Non abbiamo
molta scelta, allora…Ferocia, preparati a fare come ti dico…”
“Non è possibile. Non ci
credo.”
Lagorge era fortemente
perplesso, contrariamente al terrore aperto manifestato da Pulmann. “Che simili
creature esistessero davvero non lo credevo possibile.”
L’immagine mostrava
un’inquadratura di tutto il Pack. “Mi chiedo cosa abbia a che fare il Predatore
con loro…Che ci sia un grado di parentela...?”
Pullmann osservò la familiare
luce accendersi negli occhi del suo superiore. Un attimo dopo, purtroppo,
Lagorge disse, “Devo averli. I veri lupi mannari: con simili soggetti, le
ricerche che potrà portare a termine. Dobbiamo farli arrivare qui, in un modo o
nell’altro!”
Il suo sottoposto divenne
pallidissimo. “A…andare da…quelli?”
Lagorge levò gli occhi al
cielo. “Insomma, giovanotto! Cos’è? Vi è presa la fifa tremens tutto d’un tratto?
E comunque, no, non sarà necessario andare alla loro ricerca: sono sicuro che
verranno loro da noi...soprattutto,
se gli diamo un bell’incentivo…Cosa?”
in quell’esatto momento, le luci si erano spente.
“Le luci di emergenza! Perché i generatori ausiliari non sono stati ancora
attivati?!”
Le tenebre erano assolute. I
monitor e le consolle erano morti come l’illuminazione. Lagorge sapeva bene che
senza corrente, neppure l’impianto di ventilazione poteva funzionare; per
nascondere Base Echo, avevano realizzato un circuito chiuso…
“Se pensano di essere furbi…”
Lagorge mise mano ad un pacchetto che teneva in tasca -il kit concepito proprio
per quelle emergenze, consistente di comunicatori con batteria autonoma e
visore notturno con lampada incorporata. L’uomo indossò il tutto, e attivò il
comunicatore. “Lagorge a Sicurezza. Rapporto.”
“Sezione 1,” giunse la
risposta dopo un rapido gracchiare, “nessun intruso da segnalare.”
“Sezione 2, l’entrata non è
stata attaccata.”
“Sezione 3, entrata
secondaria integra, niente da segnalare.”
“Sezione 4, non ci sono segni
di sabotaggio al gruppo di alimentazione principale.”
“Sezione 5, le celle di
contenimento sono integre. Nessun segno di…Chi è là?” il soldato si voltò di
scatto, abbracciando l’area con il suo visore notturno.
“Sezione 5, cosa sta succedendo?” la voce di Lagorge quasi
gli perforò l’auricolare. Il soldato quasi fece un salto. Vecchio caprone borioso… “Er, sezione 5, niente da segnalare.” E chi vuoi che entri qui, se tutte le porte
sono belle chiuse? Ci vorrebbe una bomba atomica per sfondarle…uh? Un
soffio d’aria calda, dietro di lui. Che
diavolo..? “Ted, se questo è uno dei tuoi scherzi del cavolo, ti…” non
aveva fatto in tempo a voltarsi, che qualcosa di peloso gli afferrò il collo in
una morsa tremenda! L’uomo avvertì un breve dolore quando le sue vertebre
furono stritolate, poi più nulla.
“Hai sentito?” La soldatessa
si irrigidì, puntando la sua arma nella direzione di quella specie di schiocco.
Il suo compagno coprì il resto dell’area. “Sì. Cosa vedi?”
“Niente, per…oddio…” il suo
visore arrivò ad illuminare il corpo ancora caldo del soldato morto, un rivolo
di sangue che usciva dalle orecchie e dalla bocca. Si preparò a comunicare a
Lagorge dell’omicidio…
In quel momento, udirono il
ticchettio; veloce, come di unghie di cane contro il pavimento. Si voltarono
entrambi di scatto, pronti al fuoco…E restarono paralizzati dall’orrore,
vittime della Phobia, alla vista di
Sir Wulf che correva verso di loro. Il lupo mosse ad arco la sua spada-laser;
il calore della lama di energia cicatrizzò all’istante le ferite, mentre le
teste rotolavano via.
Scene simili, con poche
varianti, si ripeterono nel resto della stanza cilindrica. Senza la minima
pietà, ogni membro dello staff, civile o militare che fosse, fu ucciso.
Terminato quel macabro compito, Sir Wulf, Vurcan al suo fianco, disse,
“Ferocia, prepara molte Parole di guarigione per gli altri Predatori. Ne
avranno davvero bisogno, fra poco. Vurcan, procediamo. Dovremo andare uno per
volta; fai capire loro che devono resistere ancora per poco, non importa quanto
male farà.” Sostituì la lama-laser con una lama monomolecolare, e con un
fendente aprì la prima cella. Si ritrovò la pelliccia impregnata del liquido
verde, e ignorando il fetore chimico che da solo era una tortura per una
creatura dal naso sensibile, prima tirò via i collegamenti dalla schiena. Il
Predatore prigioniero emise un lungo uggiolio/ringhio. Il suo simile lo
accarezzò e gli parlò come un padre ad un figlio, cercando di chetarlo come
meglio poteva.
Wulf tagliò via le manette.
Solo a quel punto, la Parola di guarigione apparve intorno al corpo del
poveretto, quasi incosciente dal dolore.
La cosa si prospettava lunga…
“Sezione 5. Sezione 5. Rispondete,
sezione 5!” Ora Lagorge era davvero
preoccupato. Non aveva dubbio che in qualche modo quei lupi fossero entrati…E
se liberavano i Predatori, sarebbe stato un massacro senza pari…Eppure, la sola
cosa che occupava la sua mente era che i suoi esperimenti sarebbero falliti. E
questo era inammissibile.
“A mali estremi…” mormorò,
digitando una serie di pulsanti sul suo comunicatore. Fatto! I sistemi di
alimentazione potevano essere stati disattivati, ma c’erano parecchie batterie
nei droni da combattimento! Se quelle bestiacce gli avevano rovinato gli
esperimenti, non c’era ragione di prenderle vive! Voleva dire che ne avrebbe
esaminati i pezzi!
Il comunicatore gracchiò.
“Controllo, qui Sezione 8! Gli intrusi sono qui! Ci sentite?”
“Abbiamo bisogno di rinforzi!
Per l’amor di Dio, fate presto!”
Esplosioni e grida
terrorizzate venivano, anche se smorzate, dalla porta blindata. I tre soldati
nella stanza puntavano le armi, pateticamente consci di essere del tutto
indifesi se le cose che stavano
massacrando i loro camerati là fuori avessero fatto irruzione. Una cosa era
certa: i poveretti avevano sparato con tutto quello che avevano, e non era
servito, almeno a giudicare dal terribile silenzio che ora aveva sostituito la
battaglia…
“Si sono fermati,” disse un
soldato, con un filo di speranza isterica nella voce. “Non possono passare
attraverso la porta. Non possono…” in quel momento, nel buio, si udì il suono
di tessuto lacerarsi.
Poi fu il panico! Uno dei
soldati era una copia esatta di Maximus Lobo. La creatura saltò addosso alle
sue prede. Le prede spararono all’impazzata. Fu un massacro intenso ma breve.
Quando finalmente il drone cadde, crivellato di proiettili, non c’erano rimasti
soldati in piedi.
Solo a quel punto, la porta
fu praticamente scardinata da un paio di potenti mani artigliate.
“Ottimo, Maximus,” disse
Talbain, entrando insieme a Kody ed Albert. Vurcan gettò via la lastra
metallica. Albert si avvicinò ad una teca. “Elsie
Dee, mi senti?”
La teca conteneva…una
bambina. Una creaturina di non più di sei anni, con i capelli biondi raccolti
in un paio di trecce, e un vestitino rosa-caramella. Appena il robot ebbe
parlato, gli occhi di lei si aprirono…ed emisero un bagliore di energia. “Oh,
Albevt! Stai bene!” il suo volto si
aprì in un gran sorriso.
Albert tirò fuori gli artigli
-adamantio B, non certo roba da stare alla pari con quelli del vero Wolverine,
ma sufficienti a demolire lo spesso cristallacciaio della teca. “Ce l’ho fatta
a liberarti, come ti avevo promesso. Stai bene?”
Lei si mise seduta, e lo
abbracciò. “Sì, sto bene. Quegli aguzzini hanno cattuvato gli amici di Puppy.
Dobbiamo aiutavli!”
“Ci stiamo già pensando,”
disse Talbain, presentandosi. “Noi siamo il Power Pack. E tutti gli amici
di….Puppy sono nostri amici. E ora forza, che dobbiamo raggiungere gli altri.”
Uccidere personale indifeso,
disarmato, non era stata un’azione degna del suo codice cavalleresco…ma la
vista delle sevizie a cui i Predatori erano stati sottoposti era ancora
sufficiente a convincere Sir Wulf che lo avrebbe rifatto, se necessario. La
complicità in simili atrocità non meritava pietà!
Lui e il Predatore stavano
liberando il sesto prigioniero. Dolce Madre Natura, erano tutti coscienti. Lui non avrebbe mai resistito ad una simile
tortura, ne era certo…
“Pare che abbiamo compagnia,”
disse Ferocia, pronta a concentrarsi su un’altra Parola. “Per favore, non
chiedetemi di sistemare anche questi, non ora.”
I passi metallici venivano da
tutte le porte. Sapere che i tre guerrieri avrebbero avuto il tempo di
intercettarli non era di aiuto -non potevano materialmente distrarsi dal
compito in corso…
I droni entrarono. Robot
smeraldini, tozzi, con un occhio solo incassato nel cranio senza volto. Le loro
mani erano cannoncini, i loro corpi alloggiamenti per altre armi. Erano creature
concepite per un solo scopo: distruzione totale dell’avversario.
Sir Wulf e il Predatore li
ignorarono, mentre deponevano a terra il settimo prigioniero. Ferocia chiamò
una Parola.
Il robot più vicino ai
bersagli acquisì i bersagli. Sollevò le braccia…
Un nunchaku sfondò senza fallo il suo occhio elettronico, e trapassò
il suo cranio come fosse stato vetro!
Privo di input sensoriali,
impossibilitato a eseguire i comandi, il robot si disattivò.
“Quando fanno così, mi
piacciono di più,” disse Talbain entrando dalla porta da cui il robot era
venuto. Gli altri lupi, Elsie Dee ed Albert, seguirono a ruota.
I droni decisero che la nuova
minaccia meritasse priorità. Tre di loro aprirono il fuoco su Talbain. Gli
altri si concentrarono sulla squadra di Wulf.
Il Campione del Popolo evitò
le loro raffiche saltando come un grillo, rendendosi un bersaglio impossibile
ancora prima che lo inquadrassero. Kody annientò le macchine concentrate su
Talbain facendo ricorso alla magica spada Windcutter
che non solo poteva generare un campo di vuoto, ma poteva anche tagliare
qualunque metallo.
Per quanto riguardava la
difesa dei Predatori, quel compito lo assolse più che egregiamente Maximus: la sua
stazza non ingannasse, riusciva a saltare da un drone all’altro con la velocità
del fulmine! E i suoi artigli squartavano il metallo eficacemente come coltelli
roventi nel burro!
“Fin qui tutto bene,” disse
Wulf, che finalmente fu affrancato dal liberare i prigionieri, grazie all’aiuto
di Albert e dei suoi artigli. “Ma se questo posto disponesse di un sistema di
autodistruzione con una propria alimentazione, saremmo fritti. Maximus, puoi
trovarlo?”
“Non è un problema.” Diceva
sul serio. Poteva eseguire l’ordine con la stessa facilità con cui aveva
trovato i Predatori ed Elsie Dee. Si trattava solo di leggere le menti del
personale…ah, trovato!
“Signore, cosa sta facendo?”
“Non si vede, testa di
cavolo?” disse Lagorge. “Tutto è perduto. Non solo il mio lavoro, ma l’intera
base è stata compromessa. Inutile mandarvi al macello inutilmente: gli ordini
sono chiari, del resto. Quando si mette male così, l’unica è non lasciarsi
tracce dietro. Che muoia Sansone con tutti i Filistei!”
Pulmann lo vedeva, ma non ci
credeva. “Signore, ci sono i gas, la nuclearizzazione locale…Si fermi!” Si gettò addosso al suo
superiore, ma questi, con una forza insospettata, gli diede un pugno che gli
ruppe il visore lo mandò a sbattere a terra. “Traditore! Ti consegneresti al nemico? Lo dicevo io, che ci
vogliono delle persone di fegato, per questo lavoro!” e riprese a digitare il
codice.
“So dov’è, so chi lo manovra,
ma non posso intervenire.”
“Cosa?” Sir Wulf si sentì
mancare la terra sotto i piedi. “Perché?”
Maximus sorrise. “Ordini
superiori.”
In quel momento, Wulf
ricevette un messaggio, direttamente nella sua mente!
L’immensa gioia che provò fu
mitigata solo dall’urgenza dello sviluppo. “Branco, vi voglio pronti per un
teletrasporto. Abbiamo l’infermeria disponibile.” L’istante successivo, Sir
Wulf, Talbain Kody, Maximus, Ferocia, Albert, Elsie Dee, Vurcan ed ogni singolo
Predatore libero o prigioniero che fosse, sparirono
Con una risatina maniacale,
Lagorge terminò di comporre il codice, sotto lo sguardo assente, spento, dei suoi
uomini. Poi, ci fu solo una grande luce…
Astronave Umbra, in orbita intorno alla Terra.
“Parecchi geologi
impazziranno dalla curiosità,” disse il lupo chino sulla consolle che stava
mostrando un grafico della detonazione. Karnivor
sorrise. “È stato divertente giocare con le loro menti, finché è durato. È da
tempo che non ne trovavo di così malleabili.”
Wulf lo abbraccio da dietro
le spalle e gli diede dei morsetti sul collo. “E sono felice anch’io di
rivederti, lupo solitario. Come mai ci hai messo così tanto?”
L’altro gli diede una
grattata sul muso. “Sono stato occupato con…un vecchio amico[xlviii]. Tanto te la stavi
cavando benissimo da solo.”
Wulf scosse la testa. “Io,
forse, ma i Predatori…Madre Natura, sarai in grado di guarirli? Le loro
ferite…”
“I sistemi di bordo possono
curare ferite peggiori di quelle. Gli umani sono stati molto attenti a non
ucciderli, dopo tutto. Ci vorrà tempo, ma vedrai che si riprenderanno…”
“Era quello che volevo
sentire dire,” disse Vurcan, entrando nella stanza. Se già la sua voce era
minacciosa di suo, ora l’odio traspariva ad ogni parola. “Karnivor, ti affido
la loro sicurezza. Per quanto riguarda me, capobranco, voglio solo una cosa:
restare con voi, per arrivare a sterminare i nostri comuni nemici. E non mi
fermerò finché ci saremo riusciti.”
[i] E prima de PETER PARKER, L’UOMO RAGNO #30!
[ii] Epp. #
[iii] Ep #2
[iv] CAMPIONI #12
[v] THE MIGHTY THOR #316-317
[vi] TMT #478-479
[vii] THOR #12-13
[viii] E come può vedere chiunque abbia letto MARVEL COMICS PRESENTA #13
[ix] Per la precisione, confinati nell’Interregno, nelle pagine dei SUPERNATURALS
[x] I particolari esclusivi nell’Ep. #4!
[xi] Correntemente e prossimamente su RANGERS
[xii] THOR ANNUAL #10!
[xiii] Tutto questo sta succedendo in SPIRITI DELLA VENDETTA #5
[xiv] NEW WARRIORS #5
[xv] Come spiegato in WOLVERINE MITA #102
[xvi] GLI INCREDIBILI X-MEN #12
[xvii] WOLVERINE Play #41
[xviii] In X-FORCE MUSA #90-91
[xix] Essendo la prima l’omonimo Inferno scatenato da N’Astirh
[xx] Ultimo ep.
[xxi] Sempre ultimo ep.
[xxii] Per sapere perché, correte a leggere LA TELA DEL RAGNO #
[xxiii] CONAN THE BARBARIAN #234
[xxiv] WOLVERINE MITA #102
[xxv] Avvenuta nel lontano GIANT-SIZE SUPER-HEROES #1
[xxvi] UOMO RAGNO #34
[xxvii] UOMO RAGNO Corno #35
[xxviii] Spiegata in futuro su SPIRITI DELLA VENDETTA #11
[xxix] Tutto questo spiegato in MARVEL COMICS PRESENT #85-90
[xxx] Ep. #15
[xxxi] La brevissima apparizione dell’incubo’ in questione su I NUOVI MUTANTI (Cloak & Dagger) #18 Play Press
[xxxii] In THOR #16
[xxxiii] Chi? Lo scoprirete presto, su PALADINS
[xxxiv] MARVEL COMICS PRESENT #22
[xxxv] STAR MAGAZINE #14-15
[xxxvi] WOLVERINE Play Press #29
[xxxvii] Karnivor è correntemente impegnato su L’UOMO RAGNO #36-37
[xxxviii] Ep. #4
[xxxix] SPIRITI DELLA VENDETTA #11
[xl] Sulle pagine di RANGERS #19, per la precisione.
[xli] Ultimo ep.
[xlii] WOLVERINE #29 Play Press
[xliii] WOLVERINE #40-41 PP
[xliv] WOLVERINE #48 PP e 77 MITA
[xlv] In futuro su STRANGE TALES
[xlvi] WOLVERINE #75
[xlvii] Questo episodio si svolge contemporaneamente al #18
[xlviii] MARVELIT TEAM-UP #1